In occasione dell’uscita del volume di Stefano Micali Tra l’altro e…
Ugo Colombino, Brevi appunti su Uguaglianza ed Efficienza
1.
Nella Germania dell’800, nelle diverse regioni vigevano due regole diverse per la suddivisione della proprietà terriera tra gli eredi. Una prima regola assegnava l’intera eredità ad un solo erede, tipicamente il primogenito. Una seconda regola assegnava l’eredità suddivisa in parti uguali fra gli eredi. Nell’articolo sotto citato, dati dettagliati e tecniche di analisi statistica permettono di stimare l’effetto netto A PARITA’ DI ALTRE CONDIZIONI delle due diverse regole su vari indicatori che possiamo associare al concetto sintetico di “efficienza”: PIL, Produttività, Nascita di nuove imprese, ecc., osservati in un lungo periodo nelle diverse regioni.
I risultati indicano nettamente un effetto positivo della regola egualitaria sui vari indicatori di efficienza. Quest’effetto permane anche oggi.
Quali sono i meccanismi che producono questi effetti?
- A) Piccole proprietà terriere frammentate stimolano e permettono ai coltivatori e ai proprietari impieghi secondari nell’industria, con conseguente diffusione di altri skills e sviluppo della produttività.
- B) La disponibilità di una seppur piccola ricchezza permette scelte educative ed occupazionali che altrimenti non sarebbero accessibili, funziona come garanzia per accedere al credito, riduce l’avversione al rischio e stimola lo spirito imprenditoriale.
Si osservi che qui si parla di uguaglianza delle opportunità. La suddivisione della proprietà in parti uguali promuove l’eguaglianza delle opportunità ma non garantisce l’uguaglianza dei risultati fra gli eredi. Questa dipenderà dal talento, dal merito, dalla buona o cattiva sorte ecc.
L’articolo è chiaro e semplice. Accessibile anche a non-economisti. Chi non ha familiarità con l’analisi statistica può benissimo saltare la sezione 4.
2.
Dal 1982, tutti i cittadini residenti in Alaska (compresi i minori) ricevono un “dividendo” che oggi ammonta a circa 2000 dollari a testa. Si tratta di un dividendo dell’Alaska Permanent Fund, un portafoglio pubblico di investimenti finanziati con proventi delle risorse petrolifere. Sembra una cifra modesta, ma ad esempio una coppia con due figli riceve circa 8000 dollari all’anno. Ovviamente questo dividendo sostiene i consumi delle famiglie e riduce la povertà; ma quali sono gli effetti sull’efficienza (PIL, occupazione, produttività ecc.)? L’articolo linkato qui sotto esamina in particolare gli effetti sull’occupazione. Per valutare questi effetti, il metodo più semplice sarebbe confrontare quel che succede in Alaska con quel che succede in un’altra “Alaska” senza il dividendo. Questa altra “Alaska” evidentemente non esiste, ma la si può simulare costruendo una “Alaska” artificiale composta da un insieme di nazioni il più possibile simili all’Alaska vera. È un metodo noto come “synthetic control”. Il primo risultato è che il dividendo non ha effetti sull’occupazione totale (si compensano un effetto micro negativo e un effetto macro positivo). Quindi possiamo dire che aumenta l’uguaglianza (riducendo la povertà) ma non si riduce l’efficienza (misurata dall’occupazione). Il secondo risultato è che si ha un lieve aumento dell’occupazione part-time, e quindi una lieve diminuzione delle ore lavorate totali. Questo potrebbe essere giudicato come una diminuzione di efficienza. In realtà, altri studi mostrano che la possibilità di lavorare part-time (grazie al sostegno del dividendo) ha effetti positivi su altre dimensioni dell’efficienza (migliore cura dei figli, maggiore spazio per attività di re-training ecc.). Un aspetto importante di questa politica è il finanziamento, che non avviene tramite tassazione (che avrebbe comunque qualche effetto distorsivo) bensì tramite i proventi di una risorsa naturale. Si tratta quindi dell’uso di una rendita. I cittadini ricevono una dotazione che favorisce l’uguaglianza delle opportunità. È un punto da tenere ben presente quando si considerano politiche come il reddito di base universale o simili e che rimanda a Tom Paine, il primo autore di una proposta dettagliata di reddito di base (Agrarian Justice, 1797).
L’articolo è qui
Potete anche ascoltare un podcast.
3.
“Too poor to be efficient”.
Un articolo di Rosenzweig e Wolpin si inserisce bene in questo discorso su Uguaglianza ed Efficienza.
Si parla di una zona agricole dell’India. I contadini vivono in un ambiente caratterizzato da grande variabilità e incertezza climatica che si trasmette sull’attività produttiva e sul reddito. L’accesso al credito o alle assicurazioni è molto costoso e limitato. In pratica, per moderare le oscillazioni di consumo, i contadini usano parte dei fattori produttivi, in particolare gli animali da lavoro, investendo o disinvestendo a seconda che le condizioni siano buone o cattive.
Ovviamente i contadini fanno il meglio possibile dati i vincoli. Tuttavia, la conseguenza è che il livello dei fattori produttivi è inefficiente: troppo basso. Gli autori scrivono a questo punto una frase folgorante: i contadini sono “too poor to be efficient”, troppo poveri per essere efficienti. Un modesto sostegno universale del reddito dei contadini (stimano gli autori) li condurrebbe a mantenere un livello efficiente dei fattori produttivi. Il loro consumo aumenterebbe non tanto grazie all’effetto diretto del sostegno del reddito quanto grazie alla efficienza produttiva. Si tratta quindi di un intervento che migliora le opportunità di investimento produttivo e per questa via migliora anche i livelli di consumo.
La soluzione prospettata dagli autori naturalmente si può discutere: bisognerebbe verificare come viene finanziato il sostegno universale. Nel post precedente ho già suggerito che probabilmente la migliore fonte di finanziamento per interventi di questo tipo sarebbe la tassazione sulle rendite. Ma il punto principale è che l’articolo offre un esempio particolarmente istruttivo della relazione tra distribuzione volta all’aumento delle opportunità ed efficienza. Anche per una economia moderna. Pensiamo ad esempio alla possibilità di scelte educative e occupazionali inefficienti dal punto di vista della dotazione di talento, dovute ad un reddito familiare troppo basso o discontinuo (e naturalmente anche ai limiti – peraltro molto difficili da superare – dei mercati creditizi e assicurativi). In questa prospettiva, un sostegno universalistico del reddito andrebbe visto non tanto come redistribuzione ma piuttosto come aiuto a raggiungere un livello efficiente di capitale umano.
L’articolo non è semplice. Perfettamente accessibile per economisti con una buona preparazione in econometria. I non economisti possono benissimo limitarsi all’introduzione e alle conclusioni, o comunque saltare le parti più tecniche.
L’articolo è scaricabile in una versione working paper qui
4.
Il “secchio bucato”
Il “secchio bucato” o secchio che perde (leaky bucket) è un’espressione usata da Okun nel 1975 per definire il cosiddetto trade-off tra efficienza ed uguaglianza. Il trasferimento di risorse da un individuo (ricco) ad un altro (povero) in generale – secondo questo trade-off – implica una perdita di prodotto, sia perché il trasferimento implica costi amministrativi sia perché potrebbe ridurre gli incentivi a produrre: per il ricco, se deve pagare tasse più elevate sul suo lavoro, per il povero, che si trova a godere di un reddito non da lavoro più elevato. Sembra in contraddizione con quanto ho postato finora. Ma non è proprio così. Prima di tutto, che queste ipotesi siano valide oppure no dipende da come misuriamo l’efficienza e l’uguaglianza. E poi, leggere fino in fondo. Comunque, questo trade-off in qualche modo si può stimare empiricamente qui : vedi la prima figura qui sotto. In questo caso l’efficienza e l’uguaglianza sono misurate rispettivamente dal reddito pro-capite e da 1- Gini (Gini è un indice di disuguaglianza). Il trade-off è rappresentato dalla linea rossa. La tecnologia produttiva e la governance dell’economia e della società, per ogni dato livello di uguaglianza determinano il massimo di efficienza possibile e viceversa. Come si vede ci sono alcuni paesi molto prossimi alla frontiera, ad esempio Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, Norvegia, Danimarca. La loro diversa posizione lungo la frontiera segnala le diverse preferenze sociali circa il trade-off: gli Stati Uniti privilegiano l’efficienza a spese dell’uguaglianza. Il contrario vale per la Danimarca. Questi paesi fanno il meglio possibile nell’uso della tecnologia di produzione e della governance. La loro scelta, a questo punto si riduce a muoversi su punti diversi della frontiera. Guardiamo ora ai paesi che sono più o meno distanti dalla frontiera, come ad esempio, l’Italia, la Grecia, la Polonia ecc. Questi paesi non usano al meglio la tecnologia di produzione e/o la governance. Sono i paesi che hanno bisogno di “riforme” che li portino più vicino alla frontiera.
Nella seconda figura qui sotto, troviamo il caso (1): la Germania e le regole di suddivisione dell’eredità. La regola ugualitaria ha effetti positivi sull’efficienza e anche sull’uguaglianza (delle opportunità). In questo caso non c’è tassazione distorsiva, solo una norma diversa.
Il Caso (2) è quello dell’introduzione del dividendo petrolifero in Alaska: L’efficienza non cambia o diminuisce poco. L’uguaglianza aumenta. Il dividendo è finanziato dalla rendita di una risorsa comune (il petrolio).
Il caso (3) è quello dei contadini indiani, “troppo poveri per essere efficienti”. Un sussidio universale permetterebbe loro di produrre in modo più efficiente e per questa via godere di un consumo più elevato. Più efficienza e più uguaglianza (a patto che il sussidio sia finanziato da tasse non troppo distorsive).
5.
Thomas Paine, l’Alaska e la Norvegia.
Thomas Paine – ne ho già accennato parlando dell’Alaska -, un rivoluzionario riformista, dopo aver partecipato alle due rivoluzioni (americana e francese) che fondano le istituzioni moderne, scrive Agrarian Justice (1797), un libello motivato dagli effetti di un processo secolare allora ancora in corso, la recinzione o privatizzazione della terra: che a sua volta è una delle strade che conducono all’età moderna.
Paine vede la duplicità di questo processo. Da un lato, quel che egli definisce “civilizzazione”: una agricoltura più produttiva, migliori incentivi alle innovazioni grazie alla definizione dei diritti di proprietà e la possibile riallocazione dei lavoratori sui nuovi settori della manifattura. Dall’altro, la perdita dei diritti di accesso alla terra e la miseria di molti. La proposta di Paine è pagare a ciascun cittadino una somma fissa come risarcimento per la perdita del diritto (“naturale” secondo Paine) di accesso alle terre e come distribuzione di (una parte dei) benefici derivanti dall’uso privato di una risorsa (originariamente) comune. Questo trasferimento sarebbe stato finanziato con una imposta sul possesso di terra. Una imposta poco distorsiva.
Marx, rispetto a Paine, è tecnicamente un reazionario. Tutt’altro che statalista, Marx – anche se confida nel progresso tecnologico – sogna tuttavia la Comune: il ritorno al “common” seppur arricchito dallo sviluppo produttivo. Paine invece sa che il common è finito, non rimpiange lo stato “naturale” e cerca una risposta progressista dentro la “civilizzazione”.
Il problema affrontato e la soluzione proposta da Paine sono generalizzabili. Le innovazioni economiche, tecnologiche e istituzionali da un lato portano benefici, dall’altro: (1) privatizzano benefici che sono almeno in parte generati da risorse comuni (vedi più sotto: Kalle Moene); (2) cancellano diritti, cespiti, rendite e impongono costi che possono minare la piena realizzazione dei benefici stessi. Una versione aggiornata ed estesa della soluzione proposta da Paine consisterebbe allora nel progettare un meccanismo di ripartizione dei benefici che istituisca un diritto all’accesso (di base, minimale) ai benefici delle innovazioni (vedi anche il Basic Income Share proposto da Moene e Raj, citati più sotto). Non sarebbe una semplice operazione di redistribuzione ex post, bensì una sorta di contratto ex ante che insieme a specificare la ripartizione dei benefici determina anche gli incentivi che possono condurre alla generazione dei benefici stessi.
Se non c’è il petrolio, ci sono tante altre risorse che almeno in parte sono assimilabili a beni comuni: ad esempio il paesaggio, le risorse storico-artistiche ecc. con le “rendite” turistiche che ne derivano. La Norvegia, come l’Alaska, ha il petrolio ma non ha l’UBI. Ha tuttavia un economista, Kalle Moene, il quale, anche insieme a Debra Raj (New York University), ha scritto cose interessanti in proposito qui .
Moene usa il concetto di reddito “comune”. Sarebbe quella parte di PIL che non è attribuibile alla produttività specifica dei fattori di produzione, bensì a fattori “comuni” come la qualità delle istituzioni, le regole del gioco in base alle quali l’economia e la società funzionano (per gli economisti: direi abbastanza simile al concetto di produttività totale dei fattori). Qui una tesi supervisionata da Moene con un semplice esercizio di stima del reddito comune (si può vedere qui)
Qui un video.
*Ugo Colombino (Ph.D. Economics, London School of Economics) è Professore Emerito di Economia Politica presso il Dipartimento di Economia e Statistica “Cognetti De Martiis” dell’ Università di Torino. Ha svolto attività didattica e di ricerca anche presso l’Università di Salerno, Il Politecnico di Milano, il Central Bureau of Statistics di Oslo e il Luxembourg Institute of Socio- Economic Research (LISER). Principali interessi di ricerca sono il disegno e la valutazione dei sistemi fiscali e delle politiche sociali, la microsimulazione e la microeconometria. Ha pubblicato su numerose riviste scientifiche, tra le quali: Journal of Labor Economics, Journal of Human Resources, Journal of Applied Econometrics, Journal of Public Economics, Journal of Population Economics, Scandinavian Journal of Economics.