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L’utile e la morale. L’interpretazione di Francesco Postorino della riflessione di Carlo Antoni sull’utile crociano
di Francesco Postorino >
Il problema dell’Utile
L’arte e l’utile, per Antoni, sono radicate nell’animo umano. L’uomo ha sempre interiorizzato l’infinito e ha sempre voluto, agito. La conquista storica del loro significato spirituale, a suo parere, andrebbe fatta risalire alla fine del settecento. Riprendendo delle osservazioni di Croce[1], Antoni asserisce che l’Estetica e l’Economica sono due scienze mondane sorte nello stesso periodo allo scopo di denaturalizzare il senso intuitivo[2] (Estetica) e di mettere a riparo dalle troppe dosi di moralismo la volontà individuale (Economica).
Con l’instaurazione della modernità l’arte rivendica il diritto di autonomia e di indipendenza. Le opere estetiche non rispondono più ad altre logiche se non a quella della gratuità. L’attività dell’arte non è più orientata al raggiungimento di fini estrinseci, cioè – dato per l’appunto il passaggio storico dall’epoca medievale alla modernità – non possiede alcun legame intrinseco con la sfera etica[3].
Il testo è tratto dal volume “Carlo Antoni. Un filosofo liberista”di Francesco Postorino (prefazione di Serge Audier, Rubbettino, 2016).
La filosofia moderna riabilita una componente importante del «senso» (l’intuizione) attraverso la lotta continua dell’emozione sull’intelletto, dell’irregolare proiettato verso le direzioni dell’infinito sulle monotone regolarità d’impianto matematico. La lezione inglese di Shaftesbury e di Hume, contro lo spirito francese, spiana la strada verso la nuova immagine della Poesia, per certi versi rinvigorita dal Kant della Critica del Giudizio e dalla rispettiva teoria (pre-romantica) del «sublime»[4].
La speculazione moderna trasforma altresì l’indirizzo speculativo. La logica scolastica, infatti, ammette solo «se stessa, l’identità con se stessa»[5], e il tutto, attraverso il paternalismo aristotelico, confluisce in un’idea formalistica di ragione. L’emancipazione dell’arte segna una rivoluzione anche sul versante gnoseologico. La logica discorsiva scende dal piedistallo trascendentale e, per dirla con Croce, si apre al mondo delle osservazioni, divenendo anzitutto logica induttiva, sperimentale[6].
L’utile presenta non poche difficoltà interpretative sia per Croce sia per Antoni.
Croce si reca a lezione da pensatori poco liberali al fine di imparare le ragioni dell’economia. Il Marx, rivisitato dal suo maestro Antonio Labriola, gli rammenta il principio realistico della forza. Il suo Machiavelli stabilisce una volta per tutte le leggi autonome della politica separandole dalle regole della morale. Da Hegel apprende il disgusto dell’atomismo; mentre della cultura tedesca stima l’affermazione della forza decisionale, in opposizione alle tiepide formulazioni del giusnaturalismo moderno da lui sempre avversate. Infatti, nel contesto della grande guerra, che vede da una parte una Triplice intesa assuefatta al democratismo umanitario e dall’altra una Germania guidata dalle teorie care a Treitschke, Croce premia il realismo di quest’ultima, condannando le ragioni teoretiche da cui muove la prima.
Durante il periodo del primo conflitto bellico, il suo quadro spirituale è ben delineato, solo che la sua visione filosofica della morale presenta, come ricorda Antoni, molte lacune. Anzi, si potrebbe dire che la consolidata distinzione all’interno dell’ambito pratico tra la volontà individuale (il fatto economico[7]) e quella universale (l’Etica), spesso lascia il posto all’eco marxiana e machiavelliana, alla voce della potenza e all’efficacia politica degli Stati. Solo la dittatura fascista riesce a mitigare le ragioni dell’utile suggerendo a Croce di riequilibrare quelle della morale. La sua storia della libertà, l’intimo significato del divenire assumeranno in seguito il connotato della moralità[8].
In realtà, la morale, in Croce, non ha mai avuto una nitida formulazione, ma solo un’approssimata indicazione dell’universale. Si pensi alla distinzione categoriale da lui sollevata in modo elusivo e collocata all’interno del versante pratico:
Attività economica è quella che vuole ed attua ciò che è corrispettivo soltanto alle condizioni di fatto in cui l’individuo si trova; attività etica, quella che vuole e attua ciò che, pur essendo corrispettivo a quelle condizioni, si riferisce insieme a qualcosa che le trascende»[9].
Essa sarebbe la storia, la coscienza dell’individuo, dello spirito. In seguito, per giustificare la portata etica dello spirito medesimo, della libertà della storia, l’etica si mostrerà sempre più vicina alla bellezza espressiva, al pensiero che riflette il vero, o all’utile medesimo, nel senso che le opere formalmente compiute all’interno di ogni singola sfera non sono altro che opere «buone»[10]. Insomma, il corretto andamento del ciclo spirituale (le prime tre categorie) farebbe scattare ipso facto la validità della morale.
La teoria speculativa di Croce, nella fase pre-fascista, simpatizza con una certa idea di volontà di potenza – senz’altro incompatibile con quella di un Nietzsche[11] o con il vitalismo osannato dagli irrazionalisti −, rivalutata in contrasto alla retorica professata da tutti gli adulatori dell’«Eden egalitario» e del cosmopolitismo astratto; ma se i suoi maestri gli suggeriscono l’originale introduzione della categoria dell’utile all’interno dello spirito assoluto, va precisato ancora che il suo intento non può essere equiparato a quello dei Marx, Treitschke, Hegel, o a quello palesemente antidemocratico di uno Schmitt, né a quello dei maggiori fautori dell’utilitarismo moderno: Bentham, Mill[12].
Il fine di Croce è di garantire l’autonomia delle quattro categorie trascendentali in un quadro che, com’è noto, ignora le separazioni di herbartiana memoria, perché anela all’interrelazione e al reciproco influenzarsi nel rispetto dei ruoli. Tanto è vero che il confine machiavelliano tra politica ed etica, Croce lo corregge in una direzione circolare fondata sul nesso dei distinti: politica ed etica, cioè, non possono essere due poli opposti e indipendenti, ma si rivelano distinti in quanto l’etica dipende dall’efficacia decisionale, e la politica non potrebbe prescindere da quel richiamo all’universale che la orienta verso fini giusti.
Si fa fatica, tuttavia, ad individuare una compiuta funzionalità del circolo dei distinti se una delle quattro categorie, la moralità, non possiede contenuto alcuno e si limita a registrare il cammino di un reale che si nutre solamente di bellezza, verità e utilità[13].
Croce non potrebbe ammettere un universale scevro di concretezza, data peraltro la sua convinta adesione all’intuizione kantiana della sintesi a priori. Una via di uscita, a tal proposito, può consistere nel qualificare come «concreta» la parte viva dell’utile e come sua protezione «universale» la categoria altrettanto trascendentale dell’etica, oppure immaginare le altre sfere (estetica, logica e utile) come una coerente particolarizzazione dello spirito universale simboleggiato dalla morale. Nondimeno, in entrambe le circostanze si spezzerebbe il vincolo della sintesi a priori che secondo l’autore si ritrova in ciascuna delle quattro categorie, compresa l’etica.
Le aporie[14] non si arrestano neppure quando lo stesso Croce scorge un pericolo nella sua riflessione filosofica dell’utile, cercando in una delle sue ultime letture hegeliane, come osserva Antoni, di ridurre la portata del vitale e dei suoi effetti a vantaggio di un’Etica[15] che continuerà a mostrarsi priva di carattere.
L’Utile di Antoni
Il problema di Antoni, una volta istituzionalizzato l’utile, è quello di attutirne non solo gli effetti, ma di frenarlo alla base. E se Croce, dopo averlo legittimato nel suo sistema, non riesce a disciplinarlo in maniera coerente, Antoni dapprima lo spiritualizza – ennesima adesione ai principi del crocianesimo[16] − e in seguito lo spoglia di ogni elemento promuovendo un sofferto riavvicinamento tra il carattere politico e quello etico all’interno del paradigma crociano[17].
Antoni accoglie la rivincita filosofica del vitale sul logorato moralismo di stampo medievale, anche se l’aspetto caratteristico della prima sfera pratica (l’utile) − l’energia creativa impiegata per motivi di «consumo» − non è facilmente determinabile.
Per Antoni, un individuo che realizza un’azione vuole qualcosa, ma questo individuo, nonostante non tocchi le vette alte dell’universalità e perciò del disinteressamento della volontà morale, non può rimpicciolirsi in un atomo ossessionato dai suoi interessi immediati. Non può, dunque, permanere vittima di un suo capriccio, annullarsi in uno spazio padroneggiato dall’effimero. Il suo volere deve volere qualcosa di concreto, deve soddisfare un interesse non riconducibile alle zone periferiche della dimensione individuale, dove prevalgono gli istinti e le insofferenze dello spirito. Non sarà un’azione compiutamente morale, nel senso universale del termine, ma è già in cammino verso quella meta intrisa di principi etici.
Si può notare che la raggiunta autonomia dell’utile rispetto alla pigra morale scolastica non dovrebbe avere come scopo il «benefico» consolidamento dell’aspetto egoistico dell’uomo, come vorrebbe la «legge di Mandeville», in forza della quale «qualsiasi azione può avere conseguenze che non hanno relazione con le sue motivazioni iniziali»[18].
L’utile, in Antoni, è in movimento verso i capisaldi etici. Il suo risveglio è necessario in quanto provoca una più pregiata consapevolezza dei fini morali. Se prima, nel periodo medievale, tutto era morale, nulla lo era sul serio. È indispensabile riscoprire il motore della vita, la vitalità, i primi granelli della volontà per rivisitare con maggior senso etico l’universale.
Solo che l’utile riscoperto guarda già altrove, giacché ogni azione realmente voluta è il riscatto di una nuova etica.
Il suo crocianesimo lo obbliga tuttavia al preservamento della categoria spirituale dell’utile, creandogli non pochi problemi. Tanto per incominciare, contrariamente al linguaggio crociano, la politica ha un fine etico. Ed essa verrebbe posizionata in un centro ideale tra gli interessi privati e la morale precostituita[19]. La sua idea di politica ha un chiaro segno universale[20].
La funzione morale assume una triplice veste: da un lato rappresenta lo sguardo sempre vigile di ogni atteggiamento volitivo; inoltre, offre il contenuto universale alla politica; dall’altro, però, la morale è un’altra struttura indipendente da tutte le altre, la quale non si esaurisce – al contrario di quanto accade in Croce − nel corretto e sistematico funzionamento delle tre categorie, ma è interpretata come promozione della vita[21], come un al di là rispetto a qualunque scelta politica.
Antoni vuol fare intendere che l’azione individuale, per quanto possa essere rispettosa di duraturi obiettivi morali, non conclude il potenziale etico. Il personaggio politico che ad esempio coltiva un ideale nella speranza di concretizzarlo a beneficio non soltanto di sé o della sua compagine di governo, ma a vantaggio di tutti (suoi elettori e non), un genitore che lavora per garantire il benessere dei propri figli ecc., realizzano opere essenzialmente morali – visto che il primo non antepone la sete di potere al bene pubblico e il secondo non sperpera il proprio denaro con il gioco d’azzardo −, ma Antoni avverte che la morale non finisce qui.
Egli asserisce che il dovere di un uomo non può limitarsi al suo ufficio[22], il quale «per quanto grande e importante, è pur sempre angusto di fronte all’infinito»[23]. Si evince che la categoria universale della politica, risulta «meno universale» rispetto a quel senso di infinito che ricopre i luoghi disinteressati della vita morale. Perciò, se si riflette in maniera emblematica sulla natura dello Stato, si scorge che l’errore compiuto da interpreti quali Hobbes, Rousseau ed Hegel non è altro che quello di beatificare uno spazio finito (lo Stato o la volontà generale) credendo che l’infinita potenza della morale si riveli perfettamente collimante con esso.
Così, a fianco delle due categorie teoretiche dello spirito − l’Estetica, quale attività gratuita del bello e la Logica, per adesso accennata come riflessione trascendentale dell’Essere in divenire − Antoni colloca: l’azione volitiva, quella politica con finalità morali e infine, come quarta sfera dello spirito, inserisce la Morale che dispone di un contenuto indeterminato, perché riflette il potenziale della vita, e pian piano si concretizzerebbe attraverso le azioni morali adempiute dal singolo.
La politica è più del vitale responsabilizzato ed è meno di quella morale che non andrebbe confusa con lo stesso scopo etico prefissato dalla politica stessa. In Croce non si trova un contenuto etico, in Antoni ne troviamo addirittura tre.
Se l’interpretazione è plausibile, l’individuo che si trova in uno stato di purezza, o per meglio dire di gratuità morale, è un soggetto che scavalca i recinti custoditi dagli enti determinati (famiglia, società, Stato), per approdare in un altrove dettato dalla sua interiorità.
Il linguaggio anti-hegeliano del suo discorso si fonda pertanto sulla consapevolezza che l’impegno etico, nel suo convinto disinteressamento, trascende il vincolo dei costumi o del passivo rispetto dovuto ad un apparato divinizzato (es. lo Stato). Di fronte agli errori del conformismo, infatti,
conviene rispondere che la coscienza morale, anche quando accetta e riconosce il dovere di fronte alle leggi e ai decreti dello Stato, non cessa mai di essere sovrana[24].
Il ruolo ambiguo della democrazia
Il quadro si complica ulteriormente se si riflette su ciò che Antoni intende per democrazia. Il significato che le attribuisce si riconduce alla manifestazione del diritto di voto e oscilla tra un momento universale, vissuto con finalità morali (la politica), e un atto dal valore ancor più universale perché sfiorerebbe addirittura la quarta categoria dello spirito (la morale). Il paradosso è che si tratterebbe di un atto politico senza però fossilizzarsi nell’ufficio corrisposto, in quanto, l’atto di voto, e dunque la democrazia che viene a compimento,
presuppone ed implica tutte quelle libertà individuali, che si collegano con quell’esercizio: di opinione e di pensiero, di coscienza e di parola, d’informazione e di comunicazione[25].
La democrazia si rivela la condizione necessaria per il mantenimento di una buona convivenza civile. Fin qui nulla di sorprendente per chi, come si vedrà alla fine, non rinchiude le esigenze della libertà individuale nelle roccaforti del privilegio o nell’ancien régime di ritorno. Ciò che invece sorprende, per un liberale di formazione storicista, è il ruolo trascendentale che ad essa fa ricoprire.
La sua democrazia, in effetti, può essere spiegata come il raccoglimento spirituale dell’io. L’esercizio di voto è l’intima esplicitazione di un carattere individuale che merita assoluto rispetto. Il voto narra una biografia, esprime una miscela di sentimenti e speranze. Il chiunque lascerebbe nelle urne elettorali un’impronta talmente viva di sé che investirebbe la natura di una comunità costituita da uomini liberi. E non dovrebbe essere aiutato o sviato ad esempio da un’élite intellettuale al fine di esprimere un voto più giusto, né subire altri tipi di ingerenze. Solo lui sa quel che è giusto in quel momento. La sua autenticità deve rispecchiarsi nel teatro nobile della politica e deve contare come tutte le altre. Si evince che, a torto o a ragione, in Antoni non può essere sostenuta nessuna variante pedagogica per quel che riguarda la libera manifestazione del voto elettorale[26]. Lontano da ogni riflessione olistica, organicistica o egalitaria nel senso quantitativo del termine, egli sposa una concezione individualistica della democrazia che affonda le sue radici nell’autogoverno dell’io.
Troppo svalutata se inserita fra i variegati atti etico-politici, ma al tempo stesso non attrezzata – si pensi ai legittimi motivi d’interesse che spingono comunque l’individuo nell’esercizio di voto − a rientrare toto corde nella cornice disinteressata della morale, la sua idea di democrazia presenta comunque un evidente respiro spirituale.
L’aspetto tecnico, che per il filosofo Norberto Bobbio è un fattore intrinseco ed essenziale allo scopo di qualificarla e contrapporla ai regimi dittatoriali[27], per Antoni si rivela uno pseudoconcetto: uno strumento che aggiorna la sua veste formale[28].
Il circolo crociano dei distinti è disegnato dietro un impulso kantiano, nutrendosi di «sintesi», della matura conciliazione tra soggetto e predicato, individuale e universale, contenuto e forma, storia e filosofia. Lo pseudoconcetto, sempre elaborato da Croce, consisterebbe in un atto di «analisi»[29] e richiama la fase del quantitativo, delle convenzioni, delle analisi matematiche, rientrando nelle utili attività dal carattere scientifico.
Antoni reputa convenienti le regole della democrazia, le modalità tecniche di voto, ma non sufficienti, anzi del tutto irrilevanti per quel che concerne la specifica dimensione spirituale del momento etico-politico. Già si notava che l’arte riposa nella convinzione interiorizzante dell’atto espressivo. L’empirico, invece, rappresenta una situazione pratica, utilitaria, a-spirituale e si trova a suo agio sul terreno dell’estrinseco.
È relativamente facile affrontare questo tema nella sede teoretica dell’estetica o della logica, dove il parallelismo fra l’«essenza» (atto espressivo o atto di logica) e la «precettistica» (i vari pseudoconcetti) riflette più in generale il rapporto tra la conoscenza e le funzioni di comodo-pratico, di cui l’individuo si serve al fine di custodire nella memoria i due volti del momento conoscitivo[30]. Molto più difficile è farlo sui riscontri pratici dello spirito rinvenibili nella terza categoria. In quest’ultimo caso subentra un anomalo confronto tra l’«essenza pratica» e i risvolti pseudoconcettuali che continuano, anche qui, a svolgere dei compiti sussidiari.
Prima di tornare al tema della democrazia, va precisato che per essenza dello spirito s’intende l’opera che si iscrive nel movimento dinamico della storia e che viene puntualmente intercettata dalla categoria di riferimento: le chiarificazioni artistiche (poesia, quadro, canto popolare ecc), le proposizioni filosofiche mosse dal bisogno socratico della verità e riagganciate al tessuto della storia, o ancora le azioni individuali e responsabilizzate che anelano all’impegno etico si intersecano con le rispettive sezioni categoriali.
La precettistica, gli pseudoconcetti, gli atti di comunicazione esteriore fungono invece da contorno. Questi ultimi si rivelano imprescindibili solo se accendiamo i propositi economici e selezioniamo in maniera arbitraria tutti quei materiali che possano preservare l’essenziale spirituale: la poesia scritta su carta si rivela, infatti, un ricordo indelebile e la rende viva nel tempo, immutabile, ma anche sempre nuova ogni volta che se ne riassaggia il verso. Il foglio, la penna, la parola che fuoriesce dalla voce dell’intrinseco e si traduce nel messaggio empirico rappresentano degli strumenti che servono a …; quando al contrario la poesia, nella sua purezza, e in generale il dono gratuito dei componimenti espressivi non servono a nulla. L’essenziale non è utile. L’essenziale, però, è il luogo positivo dell’intero quadro spirituale e coinvolge i passaggi di natura pratica dello spirito (utile, morale).
Non è difficile immaginare, a tal proposito, un vero paradosso nelle intenzioni crociane dell’utile. In merito alla stessa categoria spirituale dell’Economica s’intravede, infatti, un difficile rapporto di convivenza fra l’essenziale (il nesso sintetico dello spirito vissuto nell’incontro fra le opere-categorie) e l’esercizio utilitario inquadrato nelle «finzioni» dello pseudoconcetto.
In altri termini, in questo caso specifico, l’essenziale s’identifica con l’utile, anche se nel contempo insiste a farsi coadiuvare da un presunto intervento parallelo e altrettanto utilitario dello pseudoconcetto. In questo modo si rivela illusorio il tentativo di differenza imposto tra l’utile filosofico e l’utile empirico che l’accompagna[31].
Da una parte si scorge la volontà individuale consapevolmente perseguita dal singolo soggetto e che in Croce significa atto dello spirito pratico (essenziale, concetto puro); dall’altra parte, l’atto empirico o scientifico non si discosta dai parametri dell’utilità, ma assume un ruolo differente sul piano qualitativo (pseudoconcetto). Si potrebbe parlare di una doppiezza dell’utile, o di una situazione economica che sussume in sé il nesso sintetico (la volontà individuale) e parimenti il travaglio analitico.
Sia nell’una che nell’altra ipotesi si nota che la stessa decisione di spiritualizzare l’utile non ha di certo contribuito a sciogliere la controversia legata alla natura delle finzioni concettuali e soprattutto al loro comodo intersecarsi con le azioni utilitarie. Insomma, se nell’Estetica o nella Logica, ma anche nell’Etica il significato gratuito che, in modo peculiare, le accomuna potrebbe interloquire con la parallela variante utilitaria dello pseudoconcetto, nella sfera economica la questione, come si è visto, si complica.
All’eventuale obiezione che lo pseudoconcetto predispone schemi e funzioni di ogni tipo ed è quindi astratto-analitico per tal motivo, ma che astratta o analitica non può essere considerata l’attività economica che crea queste funzioni, Gennaro Sasso replica rievocando la natura «autoteleologica» della categoria dell’utile, in virtù della quale «il fine dell’attività economica è l’attività economica»[32], come tra l’altro sostiene lo stesso Croce: «il mezzo (o lo strumento) non può non coincidere con il suo processo del suo costituirsi»[33].
Concentrandoci sul tema della democrazia, e tenendo presente questo riscontro «autoteleologico», si fa fatica ad individuare, nel pensatore napoletano, il divario fenomenologico tra l’esercizio di voto (atto utile ed essenziale) e le tecniche empiriche dedite al corretto funzionamento del sistema democratico (pseudoconcetto).
In breve: è utile votare ed è utile in egual misura un sistema elettorale piuttosto che un altro. L’essenziale non riesce a discostarsi dall’utilità di comodo-pratico e il duplice rischio consiste nel ridurre l’intera portata dell’utile filosofico alla semplice attività empirica, oppure quello di sopravvalutare quest’ultima, rendendola autonoma tra le altre sfere dello spirito.
Il discorso si rivela diverso in Antoni, in quanto il suo modo di interpretare l’utile non è in sintonia con il pensiero crociano. La moralizzazione della terza sfera dello spirito, la rappresentazione «a scale» della categoria dell’utile, permetterebbe ad Antoni, in certe circostanze, di armonizzare l’essenziale sintetico e le attività dello pseudoconcetto.
La distinzione tra sintesi (l’essenziale) e analisi (pseudoconcetto) risulterebbe ancora più nitida, in Antoni, se ci si riferisce alla sua interpretazione della democrazia.
Quando si parla di politica e di democrazia, nella lettura del filosofo triestino, ci si trova sempre, occorre ripeterlo, all’interno della categoria dell’utile. Un utile, quindi, decrescente che vive uno stretto contatto con la dimensione dell’etica e che s’intreccia in maniera molto più forte rispetto al rapporto di unità-distinzione delineato da Croce.
La democrazia di Croce assume almeno due significati: uno positivo (e ambiguo) e l’altro negativo. Il primo mette in luce il ruolo della tecnica empirica, del necessario strumento che consente alla libertà creatrice di procreare con maggior cognizione, di disciplinarsi – sempre dietro la finzione dei concetti empirici – e mostrarsi più proficua o attendibile agli occhi dei suoi interpreti. In tal caso, la democrazia non è altro che lo pseudoconcetto, dunque un atto di analisi o un momento economico; ma, in quanto tale, si confonde con la portata utilitaria e sintetica che, come si è più volte sottolineato, s’identifica con la terza sfera dello spirito, ovvero con l’opera che non ammette divisioni fra l’universale e il concreto, tra il soggetto storico e la categoria e così via.
Quanto al ruolo negativo, andrebbe riferito che la democrazia, in Croce, è la vittoria ideologica del numero sulla qualità; il trionfo del «bieco» egualitarismo ai danni dell’unica sensazione di eguaglianza che il teorico napoletano auspica: l’eguaglianza nella libertà.
La democrazia per Antoni è qualcos’altro rispetto allo pseudoconcetto[34]. Essa guarda alla moralità senza conseguirla del tutto e coincide pur sempre con un atto pratico, cioè l’esercizio di voto; solo che quest’ultimo è la peculiare esibizione dell’unicità spirituale dell’individuo. Votare significa non solo esprimere una voce intenta a soddisfare un’esigenza civile. La democrazia acquisisce così un valore trascendentale in quanto offre all’individuo l’opportunità di raccontare se stesso. Il mezzo, dunque, è irrilevante ai fini dell’auto-comprensione dell’atteggiamento democratico.
Interpretando Antoni, anche una modesta alzata di mano in un’occasionale assemblea indicherebbe la forza rappresentativa del senso spirituale racchiuso nella personalità. La vittoria o la sconfitta che scaturiscono dal conteggio elettorale, evidenziano il doveroso riconoscimento attribuito a priori a tutti i protagonisti della società, sempre dietro un’impostazione strettamente individualistica, che in Antoni non significa espressione di atomismo o di egoistiche raffigurazioni di interessi sommati ad altri interessi, bensì è motivo di fervido incontro con il sentire dell’io.
L’irrilevanza del mezzo necessario allo scopo, non vuol dire, come peraltro precisa Antoni, che qualunque mezzo può essere scelto ai fini preposti. E non s’intende soltanto che il mezzo più opportuno deve essere naturalmente premiato rispetto a quello obsoleto, ma con più precisione significa che la scelta tecnica deve essere sempre adeguata al più alto rispetto da versare all’individuo. Va da sé che i regolamenti dal riscontro «illecito»[35] non possono rientrare in questa cornice democratica. In breve, il mezzo, che è altra cosa rispetto alla democrazia, deve viaggiare in comunione con le finalità trascendentali attribuite a quest’ultima.
La democrazia, nella sua lettura, tende ad avvicinarsi al linguaggio creativo dell’arte perché imperniata anch’essa sul senso del gratuito. Il disinteresse dell’arte (estetica) e l’interezza dell’io che si pubblicizza (politica/morale) formano lo spazio nevralgico di un individuo che si emancipa dalla natura, dal brutto, dal pericoloso insediamento dello pseudoconcetto entro le logiche spirituali.
La democrazia, nell’idea di Croce, non è compatibile con la creazione del bello. La prima riposa nella sfera empirica; la seconda è, per l’appunto, lo spirito nel suo abito estetico. L’attività democratica di Croce è inoltre religiosamente incompatibile con il suo quadro liberale e «metapolitico»; perciò la relega nell’alveare dello pseudoconcetto e la considera tecnicamente opportuna solo se le domande rivolte al contesto storico e sociale debbano ricevere soluzioni dal carattere «democratico».
La prospettiva democratica, sostenuta da Antoni, non abita un tempo preciso nel suo richiamo ontologico. Sembra più allineata ad un a priori che anticipa, come si vedrà, la storia. Essa è radicata nell’animo umano. L’individuo che si esprime, che esercita un atto motivazionale alle prese certamente con un contenuto storico, è un soggetto che ritrova se stesso nella sua pienezza spirituale.
Nel suo «se stesso» sfugge all’anonimato, al das Man enunciato da Heidegger[36], e si impegna a confermare il «Si» della sua coscienza morale; perde di vista la dimensione superficiale della storia, il contingente, e si offre al tempo di un individuo posto al confine tra il sensibile e il sovrasensibile, tra l’immanente − che egli non smette di rivendicare − e un universale non sempre intrecciato, a nostro parere, con il senso particolare della storia.
Riprendendo il rapporto fra l’espressione e lo pseudoconcetto illustrato dall’Antoni maturo in sede artistica, si potrebbe aggiungere, con qualche non lieve contraddizione, che l’empiria entrerebbe addirittura in maniera «determinante» e «concreta» nell’atto sintetico e volitivo che caratterizza la dimensione democratica.
In ogni caso, l’esercizio del diritto di voto è una voce attiva di cittadinanza che signoreggia sulle applicazioni tecniche, ed è la mia narrazione, che merita rispetto, non foss’altro in quanto scopre le sue radici nel senso vivo della dignità individuale.
[1] B. Croce, Le Due scienze mondane. L’Estetica e l’Economica, in Ultimi saggi, a cura di Massimo Pontesilli, Bibliopolis, Napoli 2012, pp. 49-62.
[2] C. Antoni, L’Etica moderna, in La restaurazione del diritto di natura, Neri Pozza, Venezia 1959, p. 106.
[3] Antoni, a tal proposito, sostiene che «in nessun paese la discussione sulla natura e i compiti della poesia ha assunto un’importanza centrale come nella Svizzera della prima metà del Settecento», dove emergeva «un sentimento antifrancese», in C. Antoni, La lotta contro la ragione, Sansoni, Firenze 1942, pp. 6-7.
[4] Ivi, pp. 188-191.
[5] C. Antoni, L’Etica moderna, in La restaurazione del diritto di natura, cit., p. 108.
[6] B. Croce, Ultimi saggi, cit., p. 54.
[7] Già nel maggio del 1900 – quindi diversi anni prima della pubblicazione del volume Filosofia della pratica − il teorico dei distinti, in una lettera indirizzata all’economista Pareto, distingue il fatto economico (l’utile) non soltanto dall’attività morale, ma sottolinea l’efficacia volitiva dell’azione economica in esplicita contrapposizione al tentativo di Pareto volto a separare le azioni «logiche» dalle azioni «illogiche». Per ulteriori approfondimenti si veda di Croce la seconda edizione del 1907 di Materialismo storico ed economia marxistica, Laterza, Bari 1968. Cfr., C. Ocone, Benedetto Croce. Il liberalismo come concezione della vita, pref. di Valerio Zanone, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005.
[8] In una lettera confidenziale che Croce indirizza a Enzo Santarelli, il filosofo della libertà dà ragione al giovane studioso sul fatto che i suoi primi lavori sistematici sulla Libertà, siano ispirati e configurati «dalla resistenza contro l’oppressione fascistica», B. Croce, Di un libro sulla libertà in Italia, in Scritti e discorsi politici (1943-1947), vol. II, Laterza, Bari 1963, pp. 311-312.
[9] Oppure quando sostiene che l’azione economica diviene morale allorché lo stesso atto utilitario lo si compie «con animo alto, con purità di cuore», riferimenti presi in B. Croce, La filosofia della pratica. Economica ed etica, Bibliopolis, Napoli 1996, pp. 219-222.
[10] C. Antoni, Commento a Croce, Neri Pozza, Venezia 1964, p. 205.
[11] Antoni stesso precisa che l’idea crociana «dell’indipendenza della politica dalla morale non è mai diventata una consacrazione etica della potenza. Croce non ha mai avuto nulla in comune con Nietzsche, ma neppure con quei pensatori che hanno attribuito allo Stato un carattere etico», C. Antoni, Liberalismo e liberismo, in La restaurazione del diritto di natura, cit., pp. 155-156.
[12] Su questi argomenti rinviamo a M. Mustè, Libertà e storicismo assoluto. Per un’interpretazione del liberalismo di Croce, in Croce e Gentile. Fra una tradizione nazionale e filosofia europea, a cura di Michele Ciliberto, Riuniti, Roma 1993, p. 101. Peraltro, si tratta di un’interpretazione che muove sostanzialmente dalle riflessioni esposte da Antoni.
[13] Più o meno alle stesse nostre conclusioni è giunto Antoni, il quale afferma infatti che la morale, in Croce, «una volta assunti come positivi i valori della politica, ossia gli interessi dello Stato, non poteva ammettere come legittimamente vigenti che le strette leggi della politica, la Ragion di Stato», in C. Antoni, Commento a Croce, cit., p. 202.
[14] Cfr. G. Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Morano, Napoli 1975.
[15] Croce, a detta di Antoni, «proclamando che la dialettica di Hegel non era una scoperta di logica, ma di alta etica, e cioè che la vita umana era l’eterno dramma del dissidio di vitalità naturale e di spirituale eticità, riconosceva bensì l’insopprimibile necessità della base vitale-economica, ma in quanto additava in essa la forza che resiste e si oppone al bene, ribadiva l’antica condanna», in C. Antoni, L’Etica moderna, in La restaurazione del diritto di natura, cit., p. 106.
[16] In una veloce analisi della riflessione filosofica e religiosa di Aldo Capitini basata, a suo dire, sull’attesa di «una realtà umana più “spirituale”, conquistata […] a detrimento del senso dell’importanza e dei diritti del vitale», il discepolo di Croce coglie l’occasione di elogiare l’autonomia e l’ottima funzionalità delle quattro sfere dello spirito, dove «anche la vitalità, pur volta, com’è, al piacere individuale, svolge una funzione universale, che è quella di rinnovare e perpetuare la vita e di promuovere, attraverso il lavoro e l’intrapresa, le opere economiche, che sono la base e condizione del vivere civile. Anch’essa, pertanto – conclude Antoni −, entra nel regno dei valori universali e merita la sua consacrazione», C. Antoni, La religione dell’avvenire, in Il tempo e le idee, Ed. Scientifiche italiane, Napoli 1967, pp. 123-128.
[17] Basti pensare all’improvvisa accelerazione dell’utile/vitale compiuta da Croce negli ultimi anni del suo impegno intellettuale; un’“accelerazione” che Antoni vive come un «dramma», visto che comincerà a credere che «il fondamento stesso dell’edificio antirrazionalistico che tenacemente Croce aveva innalzato in costante polemica contro le forze dell’antiragione, avesse all’improvviso preso a vacillare in sé stesso, minacciando di travolgere nel suo crollo ogni residua speranza», G. Sasso, Carlo Antoni e la cultura tedesca, in Filosofia e idealismo. Paralipomeni, vol. IV, Bibliopolis, Napoli 2000, p. 402.
[18] R. Cubeddu, Considerazioni su Mandeville e sulla scontentezza dell’alveare, in Il Politico, n. 1, 2015, p. 136.
[19] C. Antoni, Commento a Croce, cit., p. 206.
[20] Criticando in Croce il profilo «contraddittorio» inerente all’attività politica, Antoni è dell’avviso che «la politica può giustificare le sue dure necessità solo in quanto è attività che, superando l’immediato utile particolare, è diretta a quel bene, che è la salvezza della polis, ed in tal modo si muove sul superiore piano dell’eticità», C. Antoni, Il liberalismo, in La Restaurazione del diritto di natura, cit., pp. 126-127.
[21] A dire il vero, anche Croce utilizza questa espressione, dicendo che «il fine della morale è di promuovere la vita», solo che subito dopo sostiene che la vita «la promuovono tutte le forme dell’attività spirituale con le opere loro, opere di verità, opere di bellezza, opere della pratica utilità». B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Bibliopolis, Napoli 2002, p. 50. L’attività morale, pertanto, consiste nel rispetto diligente delle tre forme dello spirito e non prelude a nessuno scatto al di là di esse.
[22] Ivi, p. 209.
[23] Ibidem.
[24] C. Antoni, Commento a Croce, cit., p. 211.
[25] C. Antoni, La restaurazione del diritto di natura, cit., p. 142.
[26] In tempi recenti, e di fronte al dilagare del populismo democratico, dalle nostre parti alcuni studiosi avanzano una prospettiva pedagogica della democrazia, fondata sull’idea di un’«opinione pubblica consapevole», sull’«atteggiamento altruistico», inoltre sullo «spirito dell’eguaglianza» e persino sulla «cura delle parole», dato che la democrazia è «convivenza basata sul dialogo» e perciò «il mezzo che permette il dialogo, cioè le parole, deve essere oggetto di una cura particolare, come non si riscontra in nessuna altra forma di governo», G. Zagrebelsky, Imparare la democrazia, Einaudi, Torino 2007, pp. 9-38.
[27] N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1995.
[28] Secondo Antoni «è chiaro che, essendo la democrazia la volontà dell’individuo che si fa valere nelle sorti della cosa pubblica attraverso il libero voto uguale, che è il riconoscimento dell’individualità in sé e negli altri, non vi sono tipi diversi di democrazia, ma soltanto sistemi e tecniche diversi con cui questa volontà si inserisce nell’amministrazione della cosa pubblica: a cominciare da quella differenza, che contraddistingue le democrazie antiche dalle moderne, cioè dalla differenza tra partecipazione diretta all’assemblea e elezione dei rappresentanti», in C. Antoni, La restaurazione del diritto di natura, cit., p. 151.
[29] Sulle difficoltà dell’insediamento dello pseudoconcetto, con buoni argomenti Sasso riferisce che «non è vero infatti come da varie parti, e a partire da Kant, si è sostenuto, che non l’analisi precede la sintesi, ma la sintesi precede l’analisi. Vero è che né l’analisi precede la sintesi (perché senza una sintesi che le stesse alla radice non potrebbe mettersi in moto), né questa precede quella (perché, se la precedesse, in forza di che vi si risolverebbe, perdendo se stessa? In forza, forse dell’analisi? Ma l’analisi non può precedere la sintesi?. E, se è così, la conseguenza è chiara: né come analisi, né come sintesi, lo pseudoconcetto è possibile», G. Sasso, Filosofia e idealismo. Secondi Paralipomeni, vol. V, Bibliopolis, Napoli 2007, p. 132.
[30] Sasso, tuttavia, si chiede: «Per avere valore pratico e utilitario (e Croce lo ha visto benissimo), lo pseudoconcetto dev’essere azione, perché il valore coincide con l’attività, con l’atto concreto del suo costituirsi, esserci ed affermarsi. E l’azione economica non può costituirsi, esserci ed affermarsi che come «sintesi», come perenne risoluzione del disvalore (opposto) dal quale, perennemente, è agitata e insidiata. Ma lo pseudoconcetto è oscillazione analitica fra l’individuale e l’universale: come, dunque, può essere «sintesi»? E se non è «sintesi», ma «oscillazione» analitica, e se fuori della sintesi non c’è realtà, come può essere reale?», G. Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, cit., p. 75.
[31] Nonostante lo sforzo di cogliere il tratto caratteristico dello pseudoconcetto anche in merito alla trama della volizione individuale, qualificandolo, ancora una volta, esterno alle opere sintetiche dello spirito, e ci riferiamo in particolar modo alla sottile distinzione crociana tra la Filosofia dell’Economia – che richiama l’autentico atto volitivo dell’individuo − e la “Scienza dell’Economia” – diretta invece a raccogliere i dati empirici e ad analizzare astrattamente −, nonostante questo, si diceva, non sembrano irresistibili tali riflessioni non solo perché lo stesso Croce, in una pagina non marginale della Filosofia della pratica, ribadisce che «per formare concetti empirici, schemi e regole occorre (come altresì sappiamo) un atto di volontà», ma soprattutto se facciamo riferimento al contesto “autoteleologico” delle quattro forme spirituali, sottolineato da Sasso, e che adesso accenneremo in un caso specifico. In merito, comunque, alla precedente distinzione crociana rinviamo a B. Croce, Filosofia della pratica, cit., pp. 252-268.
[32] G. Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, cit., p. 78.
[33] Ibidem. E continua: «Posto infatti che l’attività economica produce uno strumento, tale strumento dovrebbe o identificarsi tautologicamente con lei, o costituire la condizione del suo prodursi e attuarsi. Ma posto che l’attività economica abbia bisogno di produrre uno strumento utile alla sua costituzione e attuazione, la conseguenza sarebbe la perdita della sua piena e reale autonomia. Ed essa perciò non potrebbe nemmeno produrre lo strumento mediante il quale si pretende che si produca e si attui come attività economica. Per poter produrre lo strumento del suo attuarsi, l’attività economica deve, innanzi tutto, esserci. Ma per esserci, essa ha bisogno dello strumento, che pure vien fatto dipendere da lei. La conseguenza è dunque un circolo vizioso», Ivi, p. 79.
[34] Si è detto che la differenza fra Croce e Antoni andrebbe ricercata anzitutto nel modo differente di guardare la democrazia da parte dei due studiosi. La questione concerne la dimensione dell’individuo. Antoni ne enfatizza la portata, mentre «nella persistenza della realtà individuale come ‘attrice’ della dialettica delle forme, in Croce l’individuo empirico trattiene un carattere strumentale, derivato in parte da Hegel […]. La strumentalità dell’individuo empirico crociano è da intendere come episodicità, occasionalità, desultoria carenza di consecuzione unitaria», V. Stella, Dal giusnaturalismo al gius-storicismo. L’interpretazione di Carlo Antoni, in Itinerari. Quaderni di studi di etica e politica, 1, 2011, p. 154.
[35] Si pensi alla legge “Acerbo” del 1923 applicata in Italia in occasione delle consultazioni politiche del 1924 e che, com’è noto, garantisce un’ampia maggioranza parlamentare al governo fascista.
[36] Un autore che, pur studiato con attenzione, egli non ama particolarmente.