di Guido Seddone > Considerazioni preliminari La libertà…
Un Viaggio Nel Welfare Europeo: la cittadinanza, il lavoro (produttivo), il reddito
Di Giovanni Perazzoli >
Bristol, Gran Bretagna, 1984. Partiamo da una storia vera. Antonio arriva in Inghilterra dalla provincia italiana, ha 28 anni, un tentativo di laurea in Lettere finito fuori corso, una certa frustrazione compensata solo dall’ironia. La decisione di partire per la Gran Bretagna nasce da un programma tutt’altro che ambizioso. Vuole imparare l’inglese per poi tornare in Italia e cercare un lavoro qualsiasi. Farfuglia che vorrebbe provare a trovare un impiego come steward negli aerei.
Non ha una famiglia alle spalle che possa aiutarlo. Per chi ha le giuste conoscenze in Italia, si sa, è diverso; ma lui vive in provincia con la madre. Per «farsi una posizione», o meglio, per trovare un lavoro, un «posto», non ha assi nella manica. A 28 anni quante esperienze si dovrebbero già avere nel curriculum! Ma l’esperienza dei coetanei già laureati non lo ha incoraggiato a finire in fretta. Gli raccontano infatti dei curricula spediti come un ex voto alle aziende, o dove capitava, sempre e solo per ottemperare a una sorta di rituale scaramantico. Naturalmente, neanche una risposta.
In Gran Bretagna, Antonio inizia a lavare i piatti nella cucina di un ristorante italiano. La sera torna molto tardi. La signora inglese che gli affitta una stanza nella propria casa fa qualche domanda. Lui le racconta che lavora; e lei gli dice che, senza un contratto, è illegale. Lui alza le spalle. Lei gli ripete che è illegale. Lui la guarda interrogativo. Se non hai un lavoro, dice la sua landlady, devi andare al Jobcentre. Antonio traduce mentalmente in italiano «Jobcentre» con «ufficio di collocamento», e si dice, allora, che non serve a niente. La signora inglese insiste e lo squadra con rimprovero; gli dice anche di chiedere un sussidio di disoccupazione all’Unemployment Benefits Office, e di andare a chiedere un sussidio per l’alloggio in un altro ufficio. Antonio adesso proprio non la capisce, non sa come tradure quello che ascolta in italiano.
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Lavora per due settimane. E alla fine non lo pagano. Lavorava in nero, per cui semplicemente gli dicono che non lo avrebbero pagato. Così si fa accompagnare all’Unemployment Benefits Office dalla sua landlady. Mette una firma su un foglio. Quindici giorni dopo, senza aver mai lavorato un solo giorno legalmente in Gran Bretagna, senza neanche conoscere bene l’inglese, e, soprattutto, senza essere inglese, inizia a percepire un sussidio di disoccupazione settimanale che include anche il pagamento per la sua stanza in uno dei quartieri più belli di Bristol. Si stupisce per alcuni dettagli, come le due sterline settimanali per la lavanderia. Ad un certo punto arriva in casa il visitor inviato dall’ufficio che si occupa dell’Housing Benefit. Non deve sottoporre lui a un controllo, ma deve verificare che la casa sia in ordine: fa gli interessi dell’assistito. Deve accertarsi che gli spazi e i servizi siano corrispondenti alla legge, che non ci siano speculazioni o furbizie.
Antonio ha diritto a una serie di sconti: al cinema, nei centri sportivi, nei centri culturali. Ma soprattutto, pagando una minima percentuale delle fees, può frequentare un corso di inglese full time in uno dei migliori college della città. Il corso dura diversi mesi; per frequentarlo arrivano studenti da diverse parti del mondo: arabi dei paesi ricchi del Golfo, tedeschi, francesi, italiani… Devono pagare molti soldi, ma lui no, non li deve pagare perché è disoccupato.