Guido Seddone. Libertà negativa e libertà positiva: la distinzione di Isaiah Berlin e successivi sviluppi del pensiero liberale

Guido Seddone. Libertà negativa e libertà positiva: la distinzione di Isaiah Berlin e successivi sviluppi del pensiero liberale

di Guido Seddone   >

 

Considerazioni preliminari

La libertà è la condizione individuale in cui la volontà agente non è dissociata dal suo agire, credere, pensare e provare emozioni. Essa è quindi una condizione personale o soggettiva in cui il contesto sociale e naturale non rappresenta una interferenza rispetto all’agire, credere, pensare e provare emozioni. La questione della libertà è interconnessa al problema delle prassi cooperative siano esse occasionali o istituzionali, fondamentalmente perché l’agente, integrato in queste attività, non le determina in maniera autocratica ma in maniera partecipata, cioè nel contesto della cooperazione stessa. La condizione di essere liberi in un contesto sociale è, quindi, differente dalla questione della libertà in generale che intende distinguere un agente libero da uno la cui volontà è determinata da fattori estranei alla sua soggettività. Per Kant, ad esempio, la nozione di libertà è connessa a quella di causa, per cui libero è l’individuo che determina degli eventi in maniera autonoma rispetto alla sequenza meccanico-causale del mondo empirico. All’interno del contesto cooperativo il problema della libertà assume invece delle caratteristiche diverse. Infatti, come membri di un gruppo ci si può trovare a svolgere attività o a fornire un contributo senza approvare completamente ciò che si fa, vivendo cioè una condizione di dissociazione della propria volontà dal proprio effettivo agire. Si è cioè coinvolti in un contesto pratico in cui operano altri individui liberi e in cui si possono subire le interferenze ed il dominio di altri simili e non della sola componente volitiva della propria soggettività. Il problema della libertà nell’ambito di prassi cooperative implica anche degli aspetti politici, come ad esempio l’assetto istituzionale e legale dell’organizzazione sociale in cui si è integrati, ma coniuga anche degli aspetti al contempo pratici e teorici. Infatti, la formazione individuale è connessa all’integrazione linguistico-sociale e il processo di riconoscimento è fondamentale nella costituzione della persona giuridica come del membro di un gruppo. Ecco che l’analisi delle nozioni di libertà e cooperazione richiede un ampio lavoro di discernimento teorico per giungere ad una definizione pratica.

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Si è fornita finora una definizione preliminare di libertà, come assenza di dissociazione della volontà dall’agire e pensare. Ma se il contrario della libertà è questa dissociazione, in cosa consiste la libertà? Se dovessimo seguire la distinzione di Berlin (1969) tra libertà in senso negativo e libertà in senso positivo avremmo due differenti definizioni. Per i fautori della nozione negativa, la libertà è assenza di interferenze, invece per i sostenitori del modello positivo libertà è auto-dominio (self-mastery), ossia potere sul proprio agire. Si evince, quindi, che per il primo approccio la libertà è questione di assenza di controllo, per il secondo il problema si concentra sull’origine della libertà stessa e sulla sovranità di ciascuno. Come vedremo queste due definizioni hanno dato vita a due differenti approcci nel pensiero politico moderno e contemporaneo, determinando il dibattito sino ai tempi più recenti. Inoltre, questa distinzione non giunge a delineare una visione univoca di libertà ma sembra piuttosto indicare la necessità di assumere una concezione ibrida, sebbene lo stesso Berlin mostri una predilezione per l’approccio negativo proprio della tradizione anglofona ed empirista. La mia preliminare definizione di libertà come assenza di dissociazione della volontà ha il merito di unificare i due approcci almeno nella fase iniziale dell’analisi. Infatti, l’agire si dissocia dalla volontà sia in presenza di una interferenza che impedisce di fare ciò che ci si propone, sia nel caso in cui il dominio arbitrario di un qualche sovrano si eserciti sull’autonomia individuale. Tale dissociazione viene definita da Hegel nei termini di alienazione, una condizione in cui l’agente è estraneo alle prassi, attività e dimensione sociale in cui lui stesso opera. Uno degli esempi maggiormente esplicativi forniti da Hegel è quello di Il nipote di Rameau, un musico la cui attività consisteva nell’adulare i potenti e tutti coloro che pretendevano di essere adulati e nell’accettare incarichi offertigli da personalità politiche importanti. Questa alienazione della personalità individuale è ciò che non consente all’individuo di superare la contingenza del particolare e di realizzare il carattere universale del pensiero nella realtà. Infatti, l’individuo soggetto alle interferenze arbitrarie di altri agenti, non è nelle condizioni di realizzare quell’assenza di dissociazione della volontà dall’agire che sola può stabilizzarne la sua autonomia decisionale e la possibilità di essere legislatore del proprio agire. Risulta abbastanza chiaro che solo una concezione ibrida di libertà che unisca aspetti della versione positiva e di quella negativa possa risolvere il puzzle. Di sicuro, mentre la versione negativa non distingue le tipologie di interferenze a cui si può essere soggetti, implicitamente inserendo anche le interferenze prodotte dal sistema legale, la versione positiva espone una concezione in cui la self-mastery individuale può riuscire a cogliere gli aspetti necessari delle leggi in un contesto interpersonale. In questo senso la proposta di Pettit (1999) di distinguere tra interferenze arbitrarie ed interferenze non arbitrarie, come quelle prodotte dalle leggi e dall’autorità legittima, permette di sanare il divario tra le due concezioni contrapposte appena illustrate. Infatti la sua proposta di considerare la libertà come assenza di dominio può essere intesa come una conciliazione delle due versioni. Io credo che una buona soluzione sia quella di sviluppare una concezione positiva di libertà integrata con aspetti della concezione negativa, come cercherò di mostrare nelle pagine che seguono.

Per poter fornire un’esaustiva definizione di libertà positiva è necessario trovare una nozione che possa contenere l’esatto contrario delle nozioni di dissociazione e alienazione; tra le tante possibili penso che la nozione hegeliana di beisichsein (essere presso sé stessi) meglio renda la condizione opposta a quella di dissociazione. In realtà quando affrontiamo il tema della libertà come quello dell’autocoscienza stiamo entrando in una dimensione in cui le istanze del soggetto incontrano quelle dell’oggettività, ossia in cui il soggetto considera se stesso come oggetto di cui poter essere sovrano. Le istanze soggettive, dalle più elementari come i bisogni materiali a quelle più complesse come il riconoscimento sociale, diventano cioè istanze oggettive nel momento in cui il soggetto stesso attraverso l’atto riflessivo le riconduce ad una dimensione reale. Essere presso se stessi significa esercitare un controllo sulla dimensione volitiva personale attraverso un atto spirituale, ossia riflessivo e concettuale, in cui la soggettività si può oggettivare in maniera definitiva. Questo è il motivo per cui il problema della libertà non può venire distinto da quello dell’autocoscienza né dalla sua versione positiva, ossia l’essere sovrani di sé stessi. La nozione di libertà come essere presso sé stessi ha il merito, a mio avviso, di prendere in considerazione la condizione di essere liberi nei termini di un traguardo o compimento della soggettività piuttosto che concentrarsi sul contesto circostante in cui l’agente opera. È quindi una nozione connessa ad una visione unitaria e coordinata del soggetto che organizza il proprio agire unitamente ad una giustificazione razionale del proprio Esserci, cioè del proprio essere e agire in un contesto già dato. Essendo quindi la libertà assenza di dissociazione, ossia un essere-presso-sé stessi, essa deve venire considerata unitamente alla dimensione coerente e unitaria della soggettività piuttosto che facendo riferimento meramente alle condizioni ambientali in cui il soggetto opera. Questo spiega perché la nozione negativa di soggettività non è affatto sufficiente a fornire una disamina esaustiva del problema libertà e cooperazione e perché sia necessario impiegare un approccio positivo o riflessione alla questione, secondo cui è il soggetto stesso ad essere la fonte del suo essere-presso-sé stesso. […]”