Recensioni

Panorama spinoziano. Letture di V. Vitiello

Due articoli-recensioni di Vincenzo Vitiello su recenti pubblicazioni italiane sul pensiero di Spinoza.

 


"Se l'uomo è il centro. Le strade della filosofia nella crisi della politica. Stiamo assistendo alla fine della polis? Il pensiero ha ancora un destino nella sfera pubblica o guarda oltre di essa?"

di Vincenzo Vitiello (l’Unità 03.02.13)

«Certo è strano non abitare più la terra»: questo mesto verso di Rilke descrive non la crisi del nostro tempo, ma il suo trionfo. Il trionfo dell'appropriazione umana della terra e del tempo, il trionfo della storia e della politica. A questa appropriazione, che, seguendo il racconto di Genesi (2, 19-20), inizia da quando Dio concesse all'uomo la facoltà di dar nome agli animali della terra e del cielo, la filosofia ha dato un contributo notevole, concependo la vita buona come quella vita che si realizza nella comunità degli uomini padroni della terra e di tutto quanto sulla terra cresce e vive. Mestizia di poeta separato dal mondo, quella di Rilke? O non piuttosto un sentimento, frustrato, di più profonda partecipazione alla vita del tutto? Forse la crisi della polis, sottraendo alla filosofia il suo tema principale la res publica, come la suprema res humanaapre l'orizzonte del pensiero oltre la soglia dell'umano. Si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione in filosofia, che, in contrasto con quella «copernicana» di Kant, definirei «tolemaica», dacché segna il passaggio dalla riflessione del mondo a partire dall'uomo alla considerazione dell'uomo muovendo dal mondo. E qual filosofo della nostra modernità ha contribuito a questa trasformazione più e meglio di Spinoza?
Biagio de Giovanni, filosofo della politica che ha sempre accompagnato l'attività di studioso con l'impegno politico, in un suo recente libro, Hegel e Spinoza. Dialogo sul moderno, ha ampiamente argomentato sulla risposta di Spinoza alla crisi del moderno: la scissione io-mondo è più «avanzata» di quella hegeliana, perché non «redime» il finito, assorbendolo nel processo della universale ragione come suo momento necessario, ma lo «salva», e cioè lo «serba» nella sua finitezza, entro il «libero» spazio della sostanza eterna. Altra volta ho rilevato la vicinanza di questa interpretazione della sostanza spinoziana all'Ereignis di Heidegger, l'evento puro che tutto pro-voca ed accoglie, e nulla impone. Vi torno su, in questa sede, perché Spinoza, lo Spinoza che de Giovanni non esita a dire «il mio Spinoza» , pur teorizzando la razionalità dello Stato, procede oltre il «politico», verso quella fondazione etica della 'comunità' che non è in potere della comunità.
Per l'autore del Tractatus theologico-politicus e del Tractatus politicus «sostanza» è il nome della «natura» in cui l'uomo abita, e solo perché abita in essa, può comunicare con altri, può, cioè, far comunità. L'etica di Spinoza ha come tema la natura che non è solo punti, linee e figure geometriche, è sovratutto corpo vivente, Leib, e cioè: passione, sentimento, amore e odio, letizia e tristezza, immaginazione. È, nel linguaggio di Rilke, la Terra oltre la Città: la Terra che «salva» l'uomo nella sua finitezza e libertà. È questo il messaggio? Il nuovo messaggio della filosofia?
Dal 1991-'92 son passati vent'anni! Carlo Sini tenne un corso alla Statale di Milano su La verità pubblica e Spinoza. Pubblicato la prima volta nel 2005, è stato riedito nel IV volume, tomo I, delle sue Opere, in questo inizio d'anno. Essendo stato già recensito su queste pagine, posso andar subito all'essenziale, che è già tutto nello stile del testo, che ha conservato l'andamento della lectio, della lettura. Della lettura non d'un libro, ma del mondo, quale si es-pone nel pensiero che si fa nell'atto stesso di dirsi, di scriversi. Questa la verità pubblica del mondo (e non sul mondo). Verità che non è, perché in via di farsi, come il mondo. In questa pratica di pensiero Spinoza da «oggetto» diviene soggetto del pensiero, sorgente che non si conosce, meglio: che non è altrove che in ciò che essa alimenta. Pertanto non ha senso voler distinguere quello che è di Spinoza da quello che è di Sini e non perché non lo si possa fare, ma perché facendolo, si cristallizza il pensiero, gli si toglie vita.
Sini leggendo Spinoza, lo «continua» (per usare il verbo felicemente scelto da Massimo Adinolfi per il titolo del suo libro, appunto: Continuare Spinoza). Di qui l'arditezza delle analisi siniane, dalla negazione che gli attributi della sostanza siano due, pensiero ed estensione, o addirittura infiniti, alla affermazione che l'essenza della sostanza è «espressa» nel «sive» che congiunge-separa Dio e natura: Deus sive natura. Invero le due tesi dicono il medesimo: perché se «i due nomi (pensiero ed estensione) sono l'identico trascolorare della sostanza nella loro differenza», cosa mai può essere la sostanza fuor del «trascolorare»? Il «sive» è il segno, la traccia che l'evento del trascolorare lascia nel pensiero, come nel corpo, in cui trascolora. Ma l'evento non è la traccia: pensieri e corpi, per dirla con Spinoza, non sono la sostanza. La verità pubblica del mondo non è il mondo. L'evento puro, il mondo, di cui il «sive» è segno o traccia, «non è pensabile e non è da pensare». L'evento puro del trascolorare dell'Indifferente nelle differenze non lo si pensa, lo si vive. In esso e di esso viviamo. Nella verità pubblica, oltre la verità pubblica: nella polis, oltre la polis. È un libero «trovarsi accanto» a uomini come a erbe e pietre e animali, oltre il «con-esserci» dell'ordine giuridico, delle leggi e della giustizia. Sini chiama mondo, quel che Rilke nomina terra.
Pur nella grande differenza di metodo, intenti e scrittura, le analisi di de Giovanni e di Sini convergono nel risultato. Lontani entrambi dal mito della terra incontaminata, trovano la terra, o, come entrambi amano dire, il mondo - ciò che dà stabilità e potenza al fare - nei conflitti della politica e pur nelle distruzioni delle guerre. Qui, nell'aiuola che ci fa feroci, e non altrove si «salva» il finito. O meglio: è già da sempre salvato. La nostra «salvezza» (de Giovanni), la nostra «eternità» (Sini), non è certo nella miseria delle nostra differenze, ma nella sovrabbondante ricchezza della sostanza, dell'evento, del mondo, che, peraltro, è solo in quelle differenze. Fuor di queste sarebbe solo Silenzio. Mi chiedo se non sia questa un'ultima rassicurazione necessaria all'uomo per non pensare alla morte: dell'uomo, del mondo, della Terra. Per Spinoza il filosofo pensa la vita, non la morte. Per Spinoza.

 

Continuando Spinoza per proseguire a scoprire il mondo

 
Un libro di Massimo Adinolfi - Continuare Spinoza, Editori Internazionali Riuniti, 2012 - riporta l’attenzione sul grande filosofo e sulla sua analisi

 

di Vincenzo Vitiello (l'Unità 10.3.13)


L’interesse per Spinoza è in costante crescita: ne testimoniano le recenti edizioni italiane dell'Opera Omnia, quella di Filippo Mognini per Mondadori, e l’altra, con originale a fronte, di Andrea Sangiacomo, presso Bompiani; i fascicoli speciali del "Pensiero" (2011/1) e di "Teoria" (2012/2) dedicati appunto al filosofo olandese; i libri di Sini (Archivio Spinoza) e di de Giovanni (Hegel e Spinoza. Dialogo sul moderno), di cui ci siamo occupati su questo giornale alcune settimane orsono, e più recentemente il saggio di Massimo Adinolfi, dall’impegnativo titolo: Continuare Spinoza. Un’esercitazione filosofica (Editori Internazionali Riuniti, 2012). Un libro, questo, fuori degli schemi della cultura filosofica tradizionale. Adinolfi, infatti, non «analizza» Spinoza, non lo spiega, né lo «contestualizza»: lo continua. Fa filosofia con Spinoza. La sua «scrittura» è pienamente conforme all’esercizio: il libro non ha note, né divisioni in capitoli e paragrafi. Certo discute le principali interpretazioni che del pensiero del filosofo olandese sono state date da filosofi e da storici, ma nella forma di un dialogo ininterrotto, meglio ancora di un transito continuo da pensiero a pensiero, senza pause come in un unico respiro; e senza ritorni, dacché riflettere per Adinolfi non è piegarsi sul già fatto, al contrario è andare-innanzi, proseguire. Il pensiero come vita. Ove il primato spetta alla vita, non al pensiero. Di qui la critica radicale d’ogni logicismo e gnoseologismo: ciò da cui muove la filosofia non è il pensiero, ma il mondo. E mondo è ciò che Spinoza chiama «sostanza», che non attende il pensiero che la dimostri, perché è la dimostrazione che sta nella sostanza-mondo, e ne dipende. Questo il senso della definizione spinoziana del pensiero quale attributo della sostanza. Attributo al pari del corpo (o estensione) pur esso espressione del mondo. Qui l’ordo e la connexio tra idee (pensiero) e cose (corpo), non indica un parallelismo tra due, ma l’esporsi della sostanza-mondo in forme diverse, che non sono due, più che una, essendo l’idea pensiero del corpo, nel senso soggettivo ed oggettivo del genitivo, e quindi il corpo espressione «materiale», estesa del pensiero.
Palese l’influenza della interpretazione spinoziana di Sini, che si mostra anche nell’insistenza di Adinolfi nell’affermare il carattere di evento della sostanza. Continuare Spinoza ha anche questo significato: togliere alla sostanza ogni e qualsiasi stabilità, fissità. Sostanza è movimento, divenire, transito. Dio, la sostanza spinoziana, è solo nei modi, nelle affezioni, e cioè: non genericamente nel mondo, bensì negli enti. Ché mondo non è il contenitore degli enti, ma l’eterno transitare negli enti, eterni pur essi in e per questo transitare. In e per questo farsi ente del mondo, farsi cose della sostanza. Eterno è l’ente nel flusso della vita, nel flusso eracliteo della Lebenswelt, del mondo della vita.
Continuare Spinoza è quindi continuare a pensare, e continuare a pensare è continuare a vivere. In ciò il conatus di Spinoza: la volontà e la potenza di essere, di ek-sistere dell’ente nel mondo, del mondo nell’ente. Spinoza – afferma Adinolfi – ribalta il rapporto essenza-esistenza: è l’esistenza la base, il fondamento dell’essenza. «Viva chi vita crea!» – possiamo ripetere con Goethe a commmento di queste pagine personalissime, in cui avverti la potenza del pensiero di Spinoza.
E tuttavia a libro chiuso vien fatto di dire: propter philosophiam, philosophandi perdere causas. Come sempre nelle filosofie «arcontiche» – quelle che, a partire da Aristotele, s’afferrano a quel «primo» che non cade nel dubbio perché è ciò che ogni dubbio sostiene, che si sottrae al domandare perché è all’origine di ogni domanda –, anche in questa impegnata ed impegnativa esercitazione filosofica alla fine tutto si salva, tranne la filosofia. Tranne la domanda sul mondo. Perché sarà pur vero che la domanda sorge nel mondo, ma in filosofia ciò che anzitutto è in questione, è il luogo della domanda. Un circolo non virtuoso, questo tra domanda e mondo, anzi vizioso, viziosissimo, perché nell’atto stesso di sottrarsi alla domanda il mondo ricade in essa, e nel punto in cui è oggetto di domanda vi si sottrae. In questo circolo, volens nolens, è anche Adinolfi, quando distingue il pensiero dell’essere dall’essere del pensiero (l’essenza formale dell’idea dal suo contenuto obiettivo: p. 235 e ss.). Chi o che cosa opera questa distinzione? E dove? La ri-flessione torna ad imporsi. Torna ad imporsi il pensiero sempre in lotta con sé, diviso: inizio anche quando rifiuta d’esserlo.

 

 

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