Sul trasferire e tradurre


Sul trasferire e tradurre

lettura
Tullio Gregory Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca
Leo S. Olschki, Firenze 2006

di Gianluca Miligi


Lungo un arco di ricerca che dura da più di quarant’anni, Tullio Gregory, autorevole studioso, professore e Direttore dell’Istituto del Lessico Intellettuale Europeo e di Storia delle Idee (ILIESI - CNR), ha pubblicato in riviste specializzate numerosi contributi su questioni di terminologia filosofica: questo libro, edito con la consueta cura da L. S. Olschki, ne raccoglie tre particolarmente significativi - in quanto tracciano essenziali “linee di ricerca” - sotto il titolo Origini della terminologia filosofica moderna (Opuscula 1, 2006). È un generale approccio genealogico a guidare questi saggi: per specificarne meglio fisionomia e prospettiva riportiamo le chiare parole dell’Autore: «Se i segni linguistici sono un veicolo privilegiato delle idee, lo studio dei lessici nelle loro trasformazioni e ibridazioni può essere uno strumento di non marginale importanza per una storia delle culture e dei linguaggi nella loro dinamica realtà storica». Sugli àmbiti particolari di indagine, invece, è il latino moderno a costituire «uno dei settori privilegiati dei programmi del Lessico Intellettuale Europeo secondo due linee di ricerca: Il Lessico Filosofico dei secoli XVII e XVIII e l’inventario informatizzato dei termini e sintagmi tardomedievali e moderni non attestati nei lessici esistenti per il latino classico e degli scrittori cristiani antichi (Thesaurus mediae et recentioris latinitatis)» (p. 83).

Una rapida parentesi per segnalare che nel sito web dell’ILIESI si trova proprio una sezione di testi, davvero utile come strumento di studio, in cui si possono consultare in versione integrale alcuni ‘lessici filosofici dell’età moderna’: per nominarne solo uno, l’importante Lexicon philosophicum di Rudolph Goclenius (Göckel), edito a Francoforte nel 1613. A nostro giudizio, quindi, questo libro offre in primo luogo un importante stimolo, per studenti e studiosi, a non trascurare e, anzi, ad approfondire la conoscenza dei complessi semantici, in senso diacronico e sincronico, che intessono la terminologia filosofica fondamentale: cognizione complementare a qualunque analisi teoretica o filosofica stricto sensu.

Andando a sfogliare il testo, il primo saggio verte su “traduzioni e ritorno degli antichi nel Medioevo latino” (Nani sulle spalle dei giganti). Tutta la civiltà latina medievale può essere identificata come un processo di acquisizione e interpretazione «non solo delle opere della latinità pagana, ma di culture più lontane – greca, bizantina, araba, per trasferirne i contenuti, e il linguaggio, in nuovi contesti: aspetto non marginale della traslatio studiorum». Il punto fondamentale è che ogni passaggio - e si può sostenere che la storia consiste principalmente in “passaggi” – da una cultura, da una civiltà all’altra avviene all’insegna di un “trasferire” (trasferre), che è un particolare “tradurre”. Qui entra in gioco più direttamente il linguaggio come veicolo di idee, ma avendo ben chiaro, come sottolinea Gregory, che “ogni traduzione è interpretazione”. La linea di co-implicazioni del processo elaborativo della terminologia e delle idee è quindi: trasferire-tradurre-interpretare. Avviene così che le traduzioni mettono in crisi e rinnovano orizzonti intellettuali, contribuendo fortemente a “costruire nuovi sistemi” con conseguente mutamento, correlativo, della “concezione del cosmo fisico” e dell’“universo linguistico”.
In primo luogo si deve all’idea di un Logos unico o unica Ragione – Verbo, fons sapientiae - la presunta linea di continuità tra la cultura pagana e quella cristiana. Decisive ricadute storiografiche sono la valorizzazione e l’utilizzazione della prima in quanto anch’essa espressione epocale del Logos (trasposta, evidentemente, su un piano provvidenziale): perciò «Il recupero dell’antico avviene sotto il segno del logo pedagogo».

Per seguire poi in concreto il fenomeno dei “ritorni” e delle “nuove letture”, si presenta il caso dell’influenza esercitata dalle opere dello pseudo Dionigi Areopagita (in realtà scrittore del V-VI secolo). La traduzione del corpus dionysianum aprirà importanti itinerari di ricerca teologica, ignota ai latini, segnati dalla speculazione del tardo neoplatonismo. Approdo sarà la strutturazione ontologica (triadica, procliana) che media il rapporto tra Dio e il mondo della natura e degli uomini: un’angelologia che conferisce unità e coerente classificazione a quella biblica e protocristiana. In più, la rielaborazione del pensiero dionisiano da parte di Giovanni Scoto Eriugena – l’“elemento” di mediazione - aprirà la strada alla teologia negativa. Un portato di questo passaggio è l’introduzione di nuovi termini, tra cui, ad indicare la dimensione assolutamente trascendente di Dio rispetto alla realtà, quelli basati sul prefisso greco yper, che diviene supra, super, nella traduzione eriugeniana: p.e. supernaturalis, “sovrannaturale”, in largo e generico uso ancora oggi (pp. 10-11).
Fughiamo subito una domanda che potrebbe sorgere in chi si avvicina a questo tipo di ricerche, ossia la domanda se i loro risultati siano soltanto esempi di erudizione: la risposta è ovviamente negativa, poiché tali ricerche invece portano a riconoscere in concreto “nientemeno” che l’architettura, in questo caso, del cosmo fisico, metafisico e religioso proprio del Medioevo, sia nella speculazione che nel vissuto popolare.

Su tale versante, valore emblematico assume anche la fortuna medievale del Timeo platonico, “grande genesi filosofica” che va a fornire la possibilità di un’organica cosmologia, lo strumento - una volta definita l’attività “demiurgica” d Dio, il mondo come archetipo della divina sapienza e la funzione dell’Anima mundi - per un’ermeneutica della Genesi mosaica. S’imporrà poi, nel XIII secolo fino al Seicento, la cosmologia aristotelica, che rappresenterà «l’unica realtà nella quale si svolge la vita dei singoli e dei popoli, dell’impero e della Chiesa […]»

Gregory insiste sull’importanza sostanziale dell’opera dei traduttori, spesso e ingiustamente relegati in secondo piano per un inveterato pregiudizio sulla non originalità delle loro opera. I traduttori, i cui testi sono hanno centro di diffusione nelle università a partire dal XIII secolo, sono coloro che, ad ampio spettro – cultura umanistica e scientifica greca, bizantina, araba – rivelano i segreti di un’arcana sapientia e favoriscono trasformazione e ‘rinascita’ dell’Europa: è per loro tramite che essa verrà a disporre di un duraturo canone di autori di riferimento. Correlato non marginale, al contrario, di questo fenomeno è che oltre l’universo fisico anche quello linguistico, il patrimonio lessicale medievale, «viene mutato e ampliato dall’acquisizione, attraverso traduzioni, traslitterazioni, calchi semantici, di una quantità ingente di termini tecnici», i quali permarranno alle origini della terminologia scientifica e filosofica moderna.

Queste origini sono indagate dagli altri due saggi del volume. Gregory ricorda che alcuni umanisti, sulla scia di Petrarca, hanno criticato e condannato il lessico dei traduttori medievali, rei a loro giudizio di aver introdotto parole “barbare”, del tutto ignote alla latinità classica con questa esiziale conseguenza: “barbara simul et latina et graeca in unum confundere chaos”. Barbarismi – in realtà “neologismi” - che contaminerebbero la purezza e disordinerebbero l’architettura del latino. A questa visione negativa si oppone la linea – tra gli esponenti Alonso Garcia di Cartagena – che evidenziano come il latino stesso si sia giovato dell’acquisizione di termini del lessico di origine greca e, con essa, arricchito: a sostegno l’idea che esista una sola e medesima ratio che si esprime in lingue diverse. Questione rilevante è quindi non se si dia identità di un linguaggio moderno con quello antico, ma «se l’espressioni latine usate dai moderni servono a significare le res che intendono esprimere».
Attraverso le traduzioni barbare - con buona pace di Leonardo Bruni che rifiutava l’uso di aristocratia, oligarchia, democratia per optimorum gubernatio, pauciorum potentia, populare statum – si “riscopre una civiltà perduta”, si riapre un dialogo interrotto”. Storicamente viene sconfitta quella posizione che fu anche di Lorenzo Valla, il quale condanna, contro Boezio e i medievali, tutto il lessico ontologico della Scolastica (tra cui i sostantivi in –itas, decisamente importanti: si pensi solo a entitas o identitas). È invece questo che di fatto rimarrà nel linguaggio filosofico latino moderno per passare poi alle lingue volgari-nazionali. Sulla strada delle traduzioni medievali e rinascimentali dal greco e dall’arabo, proseguirà la neologia filosofica moderna con molte traslitterazioni e calchi (su componenti di matrice greca e latina): solo qualche esempio significativo: antropologia, aesthetica, dualismus, empiricus, monismus, ontologia, pessimismus, psicologia.

Nella prospettiva di George Steiner, secondo cui «Definita topologicamente una cultura è una sequenza di traduzioni e trasformazioni», per l’Autore si deve focalizzare l’attenzione anche su un altro piano, quello dei significati nuovi dati a termini tradizionali. Si profila così una distinzione importante che completa il quadro: oltre (a) la traduzione di un termine da un sistema linguistico ad un altro, e l’arricchimento del lessico latino in rapporto a nuove esperienze di pensiero, emerge (b) la traduzione come «interpretazione di tradizionali lessemi latini con radicali cambiamenti e slittamenti di significato, per inserirli in sistemi concettuali nuovi» (p. 54) e in nuovi plessi semantici. Su questo punto guardiamo all’esame della posizione di Kant (in concreto radiografata nel Kant-Index di N. Hinske). Al di là dell’“originale uso di "trascendentale”, indicativo è quello dei termini phaenomenon e noumenon (forma greca con grafia latina) insieme a Erscheinung, presente nei testi tedeschi. La preoccupazione kantiana è di differenziare il significato di ‘fenomeno’ da quello degli antichi – illusoria “parvenza”: esso diviene così tecnicamente “l’oggetto indeterminato di un’intuizione empirica” (p. 95 e sgg.). Come sottolinea Gregory, Kant ricorre spesso a parole o sintagmi latini per specificare il significato di termini tedeschi: per il filosofo di Königsberg più che l’introduzione di neologismi è opportuno usare termini più adeguati di una “lingua morta e dotta” e, se necessario, sottoporli ad una nuova definizione.

Se «L’uso di diversi registri linguistici è del resto comune in filosofi e scienziati del Seicento e Settecento», vogliamo ricordare en passant l’uso da parte di Leibniz del termine phaenomenon nel sintagma phaenomenon bene fundatum (il ‘fenomeno’ è tale se determinato dall’ordine relazionale della coesistenza, lo spazio, e dall’ordine della successione, il tempo). Ma ancora un esempio che può illustrare bene il nucleo delle questioni delineate dall’Autore: si pensi alla rilevanza, immediatamente teoretica, che può assumere la traduzione italiana del termine Erscheinung nella Critica della ragion pura. È evidente che la scelta per “apparenza” può comportare accezione limitativa a partire da una “pregiudiziale idealistica” e condizionare così l'intera lettura dell'opera.

Molto istruttive sono anche le escursioni sulla terminologia adoperata da Descartes, segnata da valori nuovi attribuiti a espressioni o termini tradizionali (vedi sui causa) e approfondimenti “tecnici” del significato, come nel caso di esprit. Da seguire le ricostruzioni dell’uso e le dimensioni semantiche di conscience (francese e inglese); un dato generale è la confusione-contiguità semantica di molti termini nel passaggio dal latino alle lingue volgari, e viceversa (cfr. pp. 60-69).
In àmbito tedesco si assiste all’opera di sostituzione di termini del lessico filosofico latino da parte di Christian Wolff, anche se tale lessico esibisce una “grande maturità” confermando la lingua latina come principale veicolo di cultura “accademica” (almeno in filosofia, diritto, teologia, scienze). Ma in epoca moderna le lingue nazionali s’impongono sempre più come veicolo di diffusione della filosofia al di fuori delle scuole e, si noti, come “strumento di liberazione e rinnovamento culturale”. A ulteriore testimonianza di quanto sostiene, Gregory cita il caso emblematico della versione luterana, riformistica, del Nuovo Testamento, e in particolare una decisiva scelta di traduzione: al per fidem latino viene infatti aggiunto da Lutero un avverbio - “alleine durch den Glauben” - con tutte le enormi conseguenze dottrinali che ne derivano. La morale, potremmo dire, è che troviamo «ancora una volta una traduzione alle origini dell’età moderna». Si può consultare, almeno come orientamento o suggestione, l’excursus sui termini nati dalla penna dei traduttori e non altrimenti documentati prima – aggettivi, adattamenti di verbi, calchi semantici in –tas, -atio, -aliis, -ivus,-ilii eccetera – trapassati poi nelle lingue nazionali (pp. 84-5).

Concludiamo con un’ulteriore messa a fuoco delle coordinate della ricerca di Gregory: da un lato, la traduzione – con, aggiungiamo noi, il “condensato” di pensiero ch’essa comporta – si esercita su un patrimonio culturale e linguistico diverso, proponendo sempre un’interpretazione totale e originale; dall’altro, di fronte a dimensioni speculative ignote, impone “in maniera cogente” la creazione di strutture lessicali idonee a trascrivere l’originale. In ultima battuta: il testo originale spesso sopravvive e viene rivalutato grazie all’opera, oscura talvolta ma costruttiva, della traduzione.

SocialTwist Tell-a-Friend
Feed Filosofia.it

Cerca tra le risorse

AUDIO



Focus

  • Laicità e filosofia Laicità e filosofia
    Che cosa significa essere laici nel nostro Paese, dove forte è l'influenza politica della Chiesa? Grandi personalità del pensiero e della cultura riflettono, per la prima volta insieme, su questa questione...
    vai alla pagina
  • 1
  • 2

_______________________________________________________________________________________________________________________________________________
www.filosofia.it - reg. ISSN 1722 -9782  Tutti i diritti riservati © 2016