Ritornare a Spinoza

Andrea Sangiacomo

Ritornare a Spinoza
Appunti per una controstoria dell'ontologia dal punto di vista dell'infinito

 

Giornale Critico di Storia delle Idee

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1. Apocalissi della verità

C’è una storia dell’ontologia occidentale, ossia del filosofare rivolto all’Essere in quanto Essere, per la quale l’unica via davvero impercorribile e da cui è necessario allontanare il pensiero sembra quella che conduce alla parola di Parmenide. In quanto segue, non tracceremo una storia delle ragioni che hanno determinato tale situazione, né ci soffermeremo sui motivi, per altro noti e ampiamente riecheggianti in tutti i tempi, in base ai quali l’ontologia – almeno dal punto di vista macroscopico – è giunta a interdirsi ogni forma di eleatismo (Cfr. Severino 1989; Sangiacomo 2007, pp. 133-200). Ciò che qui vorremmo mettere a tema è piuttosto la controstoria dell’ontologia: ricognizione delle misure e dei modi in cui quella prima via è stata almeno in parte percorsa, nonostante il divieto della koiné filosofica di volta in volta dominante. Controstoria, quindi, che non parla di una tradizione unitaria, ma semmai delle falle in tale tradizione, dei suoi momenti di cedimento e – ciò che veramente interessa – degli scorci che in quei momenti sembrano aprirsi. Di essi ne affronteremo in sostanza soltanto due, corrispondenti alle filosofie di due pensatori, di pari grandezza, di uno dei quali abbiamo la fortuna di essere contemporanei: Baruch Spinoza ed Emanuele Severino.

Più in particolare, cercheremo di enucleare una struttura aporetica presente nel discorso severiniano in merito alla definizione dell’essente come negazione assoluta del suo altro, la quale può ricevere soluzione adeguata tramite lo sfruttamento teoretico di alcune tesi proprie di Spinoza legate a alla sua ontologia della pura affermazione. Ciò non ha in nessun modo il senso di una “confutazione” di Severino tramite Spinoza. L’impiego stesso di questi nomi è puramente antonomasico e usato come espressione sintetica per alludere a due distinti universi concettuali, che cercheremo semmai di mettere in dialogo. In questo senso, pure, ritornare a Spinoza è possibile proprio dopo Severino, ossia ponendosi e presupponendo l’orizzonte aperto dal linguaggio che testimonia il destino, all’interno del quale è ora possibile far emergere un’aporia che esige con necessità di essere tolta, non solo nella struttura originaria del destino – da cui è già da sempre e comunque tolta – ma anche dal linguaggio che ne porta testimonianza[1] (Cfr. Severino 1958; Id 1963). [...]