G. Miligi Critiche della democrazia e altri "comunismi"

di Gianluca Miligi

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Introduzione. Trascorso ormai più di un ventennio dalla caduta del Muro di Berlino, la democrazia non ci pare certo in buone condizioni, soffre quantomeno di una forte crisi di identità. Fine delle ideologie totalitarie, periodo di pace mondiale, esportazione del sistema democratico in Paesi “politicamente arretrati”, almeno secondo le formule più in voga: il problema è che tutto ciò, posto che fosse possibile, non è avvenuto in quanto doveva essere soltanto la facciata ideologica e propagandistica di tutt’altri, complessi, fenomeni geopolitici. Quindi un dato di partenza, centrato da punti di vista opposti, è che la democrazia versa in uno stato “aporetico”: «Nel mondo del dopo Guerra fredda il concetto di democrazia – disancorato dai rigidi ormeggi ideologici di questo periodo – è andato alla deriva». O, seguendo Giovanni Sartori, la democrazia, perduto il nemico esterno, ossia il sistema comunista in Europa, “scoperchia il vaso di Pandora dei problemi interni”. Per riflettere su un argomento davvero complesso ed epocalmente decisivo – qual è il rapporto tra status attuale e statuto “ontologico” della democrazia? –, è opportuno prendere spunto da un recente libro, importante poiché si tratta di un volume collettaneo che raccoglie autorevoli contributi: In che stato è la democrazia?[1] Giocando con i termini, si potrebbe subito rispondere che – almeno per gli autori di cui ci occuperemo più da vicino – la democrazia non è in nessuno Stato, cioè non è in nessuno degli Stati, poiché non può essere, consistere, nello Stato in quanto tale. Una tesi, variamente articolata, su cui torneremo a più riprese.

Un filo rosso problematico, non contenutistico, tra i vari saggi in oggetto possiamo individuarlo nella convinzione che i discorsi sulla democrazia si svolgono ormai su un quid che non si vuole e/o non si è in grado di definire. Si rischia così di scadere nella mera “chiacchiera” se almeno non si coglie il carattere anfibolico del suo concetto, cioè se non si distingue preliminarmente, come propone di fare Giorgio Agamben, tra democrazia come forma di costituzione e democrazia come tecnica di governo. Più in generale, in questo inizio di terzo millennio la democrazia è diventata ormai un “significante vuoto” (Wendy Brown), “un caso esemplare di insignificanza”, come dichiara Jean-Luc Nancy, qualcosa «che vuol dire tutto […] e quindi non vuol dire niente» o, più precisamente, “non può più dire niente”. Anche Kristin Ross, partendo da Auguste Blanqui, inizia il suo saggio chiedendosi se anche oggi, come un secolo e mezzo fa, ‘democrazia’ sia una “parola di caucciù”, “gommosa”, ossia termine vago e banale. Ricordiamo en passant che in Italia fu il già citato Giovanni Sartori, più di mezzo secolo fa, a parlare di “democrazia confusa” a causa dell’indeterminatezza del significato del concetto stesso di ‘democrazia’. La democrazia rimane comunque «l’emblema dominante della società politica contemporanea», come sostiene, in termini negativi, Alain Badiou. Colin Crouch dichiara invece che non bastano più solo i due concetti di democrazia o non-democrazia per descrivere la fase storica attuale. Questa infatti sarebbe segnata piuttosto da una postdemocrazia, ovvero dalla parabola discendente della democrazia stessa, dalla sua involuzione, da uno stato di stanchezza, di disillusione riguardo le istituzioni democratiche e da altri gravi e preoccupanti sintomi, dei quali l’autore dà lucidamente conto in un suo libro. Dopo due millenni e mezzo di storia, in ogni caso, l'intrinseca ambiguità, genericità, vuotezza o insignificanza del concetto di “democrazia” pesa ormai in maniera esiziale sul pensiero politico, il quale, però, in generale non sembra orientato a risolverla: per incapacità, debolezza o disinteresse. Eppure il suo obiettivo principale dovrebbe essere proprio la critica dell’“emblema” democratico e, insieme, l’elaborazione di nuovi modelli che rispondano alle peculiari questioni sociopolitiche ed economiche poste dalla realtà attuale, sempre più complessa e globalizzata.

Alla luce delle suddette considerazioni, il titolo-questione – In che stato è la democrazia? – del volume da cui partirà il nostro excursus deve essere così articolato: Cos’è oggi (la) democrazia? e In quali termini deve essere concepita la democrazia? In primo luogo è opportuno aver chiaro che demos-kratìa “in sé” o concettualmente e “in origine” o genealogicamente (storicamente) non implica il meccanismo della rappresentanza, «costituzioni, assemblee deliberanti, partecipazione, libero mercato, diritti, universalismo, o anche uguaglianza. Il termine esprime l’affermazione semplice e puramente politica che le persone si autogovernano e che la totalità, e non una parte o un Altro, è politicamente sovrana» (W. Brown, Oggi siamo tutti democratici…). In generale, sulla prima delle questioni complementari di cui sopra – che cos’è oggi la democrazia – il dato evidente, rilevato in particolare da Badiou e Žižek, è che la democrazia liberale, in gran parte dei Paesi occidentali, presenta una duplice dimensione. Se su un piano empirico «“rappresenta” – rispecchia, registra, misura – la dispersione quantitativa di opinioni differenti, quello che il popolo pensa dei programmi proposti dai partiti e dai loro candidati, e così via», su quello “trascendentale” rappresenta o istanzia, e quindi privilegia esclusivamente, un certa, ben precisa, visione della società, della politica e del ruolo degli individui al suo interno: il sistema capitalistico-individualistico (Žižek). La democrazia, sostiene Badiou, «è rappresentativa solo nella misura in cui essa è innanzitutto rappresentazione del consenso nei confronti del capitalismo, oggi ribattezzato “economia di mercato”. Questa è la sua corruzione di principio». Un determinato sistema economico quindi ha corrotto e corrompe il corpo democratico, e si tratterebbe di corruzione nella forma: la democrazia attuale è tutt’altro che il regime dell’apertura e della neutralità. A prescindere da queste tesi, un pensiero che voglia essere veramente critico non può non esercitare il proprio “mestiere” mettendo in discussione ciò che è assunto dogmaticamente come presupposto indiscutibile: il valore planetario della democrazia occidentale…ma questa cos’è? E torniamo così alle due questioni di cui sopra. Ma, intanto, non sembra che una delle caratteristiche peculiari del sistema democratico consista nell’intrinseca ricerca di nuove e/o migliori adeguazioni al suo stesso principio? Per questo una critica democratica alla democrazia non è mai un paradosso o, peggio, un’autocontraddizione, al contrario (non si può dire lo stesso, ad esempio, del totalitarismo).

Alla diagnosi della crisi della democrazia attuale e all’analisi critico-decostruttiva di quest’ultima, negli autori che affronteremo da vicino si congiunge strettamente, e in maniera complementare, il ripensamento dell’orizzonte del politico in termini di comunismo. Ciò non implica però in nessun modo la riproposizione di un sistema ideologico-politico, quello del cosiddetto “socialismo reale”, che, incentrato sulla supremazia, antidemocratica in sé, dello Stato e sul Partito unico con il suo ferreo antiapparato burocratico, ha segnato gran parte della storia del Novecento: perché tutto questo ha dato luogo proprio a esiziali derive sia antidemocratiche sia anticomunistiche. È invece dalla necessità dell’idea del comunismo che si sviluppa, in modi diversi, il pensiero di alcuni dei filosofi e teorici della politica che, oltre a riflettere sul tema, hanno partecipato a un importante e significativo incontro seminariale internazionale tenutosi a Londra: il titolo era proprio On the Idea of Communism.[2] È utile individuare le premesse condivise su cui si basa questa teorizzazione di un “altro” comunismo, e per far ciò ci riferiamo direttamente a quanto scrivono i due curatori del seminario, Costas Douzinas e Slavoj Žižek. In primo luogo, l’idea di comunismo si oppone alla diffusa depoliticizzazione «sollecitando nuove forme di soggettività politica e facendo ritorno a un nuovo impegno di massa». Comunismo è l’idea di una filosofia e di una politica radicali e “precondizione di un’azione politica di trasformazione”, in primis di emancipazione contro il dominio e lo sfruttamento capitalistico neoliberista che producono enclosures, “recinzioni”-privatizzazioni di ciò che è “comune”, nella prospettiva della costruzione di un nuovo Commonwealth. Infine, comunismo è l’aspirazione a realizzare congiuntamente libertà e uguaglianza: la libertà non nasce senza uguaglianza, l’uguaglianza non si compie senza libertà. E ciò in una prospettiva teorico-politica contraria a ogni forma storicamente conosciuta di statalismo o collettivismo. Queste le premesse condivise o coordinate comuni di elaborazioni teorico-pratiche anche divergenti ma che, in ogni caso, hanno provato seriamente, ossia anti-ideologicamente, a fare i conti con la magmatica storia del Secolo breve.

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Introduzione
a. Badiou: il problema è politico, la democrazia, politica è la soluzione
Intermezzo. Ristrutturazione della democrazia
b. Nancy: il problema è politico, la democrazia, metapolitica è la soluzione
c. Žižek: problema è economico, il capitalismo, politica è la soluzione

 


[1] aa. vv., In che stato è la democrazia?, Roma, ed. nottetempo, 2010; gli autori dei saggi sono Giorgio Agamben, Alain Badiou, Daniel Bensaïd, Wendy Brown, Jean-Luc Nancy, Jacques Rancière, Kristin Ross, Slavoj Žižek.

[2] Il seminario si è tenuto presso il Birbeck Institute for the Humanities nel marzo 2009 registrando un notevole successo di pubblico; gli interventi – Badiou, Balso, Bosteels, Buck-Morss, Douzinas, Eagleton, Hallward, Hardt, Nancy, Negri, Rancière, Russo, Toscano, Vattimo, Žižek – sono stati tradotti in italiano in Aa. Vv, L’idea del comunismo, Roma, DeriveApprodi, 2011.