Benjamin Barber, L'età dell'interdipendenza

"La Repubblica", 12 settembre 2010, sezione: PRIMA PAGINA

Traduzione di Elisabetta Horvat

Meno di un anno fa il mondo celebrava il decennale della caduta del Muro di Berlino. Quando, in quel 1989, le due parti «indipendenti» della Germania postbellica si fusero in un tutto unico, si coltivava la speranza di vedere il mondo finalmente avviato verso un' interdipendenza vera. Un'interdipendenza basata sulla cooperazione e sulla reciprocità, per dare infine un risposta democratica globale ai problemi non più risolvibili a livello nazionale: le sfide planetarie della guerra, della proliferazione nucleare, della droga, della rapacità dei mercati, dei cambiamenti climatici e della disuguaglianza tra Nord e Sud. Da allora, nuovi muri sono stati eretti - tra gli Stati Uniti e il Messico, tra Israele e la Palestina, tra un' Europa allargata ma sempre più paranoica e i vicini islamici, oggi temuti; ma anche tra India e Cina, entrambe potenze nucleari, o tra Corea del Nord e del Sud. Negli Stati Uniti, già leader mondiali nella promozione di istituzioni globali e di politiche multilaterali e multiculturali, gli attacchi terroristici dell' 11 settembre hanno suscitato un nuovo unilateralismo, pericolosamente provinciale, e una logorante paura dell' «altro», dell' immigrato, dell' «outsider». Oggi la nazione più multiculturale del pianeta teme profondamente quella stessa apertura e tolleranza che sono all' origine del suo primato in questo campo. Dovunque negli Usa, il movimento «Tea party», antimusulmano, anti-internazionalista e xenofobo, è divenuto uno strumento potente, quasi un talismano per tutti i populisti reazionari, e vede tutto il male nel mondo oltre i confini nazionali. In breve, in questo decimo anno del nuovo millennio la paura predomina nella realtà politica di nazioni un tempo coraggiose e democratiche, ivi compreso il grande Paese egemone, l' America. Ma oltre ad alimentare meschini campanilismi e risentimenti, la paura rende deboli. Paradossalmente - e irreversibilmente - le crude realtà del mondo che ispirano queste paure, questa nostalgia dell' indipendenza di un tempo, sono a loro volta interdipendenti. E non sembrano neppure scalfite dall' orgoglio sovranista dei governi o dalle varie forme di nazionalismo di cittadini arrabbiati scaturite dalla nuova politica della paura. Stiamo così affrontando la realtà del XXI secolo, che è quella dell' interdipendenza, con istituzioni «sovrane» indipendenti di tipo settecentesco. Ma per fermare il riscaldamento globale non bastano le risposte isolate di poche nazioni virtuose: in un campo in cui ogni risposta è essenziale, tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Allo stesso modo, il terrorismo non può essere imputato a qualche stato - canaglia o nazione ostile, ma nasce da Ong patologiche come Al Qaeda: formazioni che non appartengono a nessuno Stato, e stanno già mettendo in pratica l'interdipendenza nella sua forma più nefasta. Una logica consimile si ravvisa nella crisi finanziaria globale: come si è visto, i mercati finanziari globali si sottraggono alla vigilanza e alle regole dei singoli Stati, o delle loro banche nazionali e tesorerie. Non è più possibile scindere i problemi ambientali da quelli della disuguaglianza economica, e allo stesso modo i problemi della disuguaglianza non si possono disgiungere da quelli del terrorismo. Il quadro è planetario, l'intreccio globale. Come potevamo sperare di battere questi nuovi nemici con le antiquate strategie e istituzioni di tipo unilaterale? Le invasioni dell' Afganistan e quindi dell' Iraq, per quanto valorose, altro non erano che risposte futili della vecchia scuola (inchiodare lo Stato aggressore!) alle nuove realtà. L'America ha perso l' occasione di trarre un insegnamento proficuo dalle nuove forme interdipendenti dell' antagonismo globale. E tuttavia alcuni, che chiameremo cittadini globali - americani, europei, africani- hanno deciso di approfondire questi insegnamenti. In risposta alla logica nuovae non ancora familiare dell' interdipendenza, nel primo anno dopo l' 11 settembre un gruppo di studiosi, artisti, intellettuali, ma anche di leader politici, religiosi e civili hanno concepito un progetto nuovo: quello di convocare ogni anno una riunione in una «città globale», mostrando comei rappresentanti dei cittadini del mondo possono incontrarsi al di là delle frontiere e delle generazioni per immaginare e costruire un mondo di interdipendenza e cooperazione, non meno flessibile e dinamico di quello antagonista, di interdipendenza distruttiva, cui gli stati - nazione non possono più far fronte. Abbiamo esordito con una «Dichiarazione di interdipendenza» (consultabile on line). Il nostro primo incontro si è svolto nel 2003 a Philadelphia, capitale dell' indipendenza americana. Quelli successivi hanno avuto luogo annualmente - sempre il 12 settembre, «Giorno dell' Interdipendenza» - a Roma, Parigi, Casablanca, Città del Messico, Bruxelles e infine, lo scorso anno, a Istanbul, per discutere sui temi specifici che costituiscono le sfide dell' interdipendenza: come riconciliare le religioni che spesso, anziché unirci, hanno aperto spaccature laceranti; come trasformare problemi come quelli delle migrazioni di forza lavoro e dei capitali in risorse al servizio di un' economia globale giusta; come far leva sui quanto accomuna e collega tra loro le città globali per controbilanciare ciò che divide le nazioni sovrane alle quali appartengono. Il 12 settembre 2010, questo convegno si terrà per l' ottava volta consecutiva, con la partecipazione di oltre 150 delegati di decine di Paesi e la presenza contemporanea di una quarantina di giovani, nell' ambito di un colloquio parallelo. Stavolta la sede sarà Berlino, la città che due decenni fa ha abbattuto il suo muro. Tema di quest' anno: il cambiamento climatico e l' interdipendenza. Più che porre in rilievo le responsabilità dell' uomo in questo processo, i convegnisti si interrogheranno sulle possibili risposte dei cittadini ai rischi che esso comporta, al di là degli ostacoli frapposti dal sovranismo degli Stati. Parleremo dei muri psicologici eretti nelle nostre teste, nel momento stesso in cui svanivano anche le tracce del muro fisico di Berlino. Ispirati come sono dalla paura, questi nuovi muri servono solo a isolare, non certo a dare sicurezza. Imprigionano il bene senza riuscire ad escludere il male, segnando la demarcazione tra un «dentro» e un «fuori» che ormai non esistono più. Gli avvenimenti del 1989 a Berlino e quelli dell' 11 settembre 2001 a New York fanno presagire una nuova realtà: quella dell' interdipendenza come condizione della sopravvivenza umana. A Berlino, il 12 settembre, inaugureremo un movimento proteso verso ogni singolo cittadino, oltre i confini evanescenti del nostro mondo, volto a conseguire ciò che è ormai fuori dalla portata delle nazioni, comprese le più potenti: la possibilità di un'esistenza giusta e pacifica. La quale, di necessità, non potrà che essere comune e fondata sulla cooperazione.

BENJAMIN R. BARBER