'La pagina bianca', recensione

di Lorenzo Gabutti

Nel volume La pagina bianca. Thomas Bernhard e il paradosso della scrittura (Mimesis, Milano-Udine 2010), Micaela Latini, germanista con un retroterra di studi filosofici, affronta il tema della scrittura così come si evolve in tre romanzi dello scrittore austriaco Thomas Bernhard (1931-1989), rispettivamente La Fornace (Das Kalkwerk, 1970), Cemento (Beton, 1983) e Estinzione (Auslöschung, 1986), ultimo romanzo di Bernhard. Latini ripercorre in particolare il modo in cui in questi tre testi Bernhard rappresenta l’angoscia davanti al compito autoimposto della redazione di un testo scritto e il conflitto interiore generato dall’esigenza, anche etica, di scrivere.

La Fornace è incentrato sul caso di un uomo che da anni si impegna per scrivere un trattato sui suoni, che ritiene essere ben delineato nella sua testa e che egli pensa che sarà un capolavoro, ma del quale egli non riesce a buttare giù neanche la prima frase: egli attribuisce la colpa della sua incapacità di scrivere a una serie di fattori esterni, primo fra tutti la moglie invalida, con la quale c’è un rapporto ambivalente di imprescindibile dipendenza reciproca frammista a odio implacabile. Per realizzare la sua impresa, il protagonista, Konrad, ritiene di doversi trasferire in una enorme fornace fuori città dove pensa di trovare la tranquillità per travasare i suoi pensieri su carta, ma ciò non gli riesce, anche perché egli si porta comunque dietro la moglie (e i propri spettri). Anche nella fornace peraltro non mancano elementi di distrazione, dai rumori molesti ai vicini che fanno visite improvvisate (e improvvide). Perfino l’enorme fornace vuota amplifica l’inquietudine di Konrad, mentre egli vi passeggia senza mai raggiungerne la fine, cercando di trovare l’istante giusto per scrivere, un istante che appare altrettanto irraggiungibile che la fine della fornace. Presto ci si rende conto che il vero cruccio di Konrad non è la moglie, che funge tutt’al più da capro espiatorio, ma la sua volontà di dare forma all’assoluto, di irreggimentare l’immenso mondo del molteplice entro gli angusti limiti di un saggio finito, che si presenta inevitabilmente come cernita, scarto e quindi come tradimento della realtà. Konrad ha infatti passato anni a registrare nella sua testa ogni tipo di suono o rumore che percepissero le sue orecchie e non può accettare di ridurre questa immensa messe di dati a un discorso ben delimitato. Il dilemma di Konrad non avrà infine una soluzione positiva, se è vero che il romanzo di Bernhard è costruito come raccolta frammentaria di testimonianze di seconda mano di passanti e conoscenti sul probabile omicidio-suicidio con il quale l’uomo toglierà se stesso e la moglie dall’impasse in cui li ha cacciati. Konrad finirà con il non scrivere neanche una riga.

Diversa è la conclusione di Cemento, romanzo breve posteriore di oltre un decennio ma dalla trama per certi versi simile. In Cemento, si dipana la vicenda del musicologo Rudolf, che vorrebbe dedicarsi alla stesura di un saggio sul compositore Felix Mendelssohn-Bartholdy, ma che a sua volta affronta l’angoscioso problema della scrittura della prima frase (e di tutte le successive). Come Konrad si era rinchiuso nella fornace, così Rudolf ha scelto di ritirarsi nel paesino di Peiksam per poter scrivere; come Konrad dava la colpa della sua improduttività alla moglie, così Rudolf riversa sulla sorella Elisabeth la responsabilità del suo insuccesso. Di fronte a questa ricorrente inquietudine dei personaggi di Bernhard davanti alla pagina bianca, Latini ravvisa una tematica con ogni probabilità autobiografica. In Cemento, viene messo ancora una volta in luce come i preparativi per la stesura del saggio – che in Rudolf seguono una loro intricata ritualità, di sapore quasi propiziatorio – finiscano per ostare alla naturale scrittura della prima frase. Rudolf si blocca ogni volta prima di scrivere la prima frase, oppure produce una quantità di prime frasi tutte scartate come inadeguate, poiché, ancora una volta, la prima frase richiede di poter discernere nel mare magnum della molteplicità di questo mondo ciò che va colto e ciò che va scartato, i pensieri degni di essere riversati su carta e quelli che non lo sono, in definitiva richiede il passaggio dall’assoluto del possibile al concreto dell’opera realizzata. L’opera non può essere scritta – eppure deve essere scritta. Rudolf è assillato dalla consapevolezza dell’inutilità del compito che si propone, dalla certezza del fallimento, e tale consapevolezza entra inevitabilmente in tensione con l’esigenza divorante, che egli pure avverte, di scrivere: è un po’, osserva Latini, come sentire la necessità di vivere, pur conoscendo l’inutilità della vita.

Avviene così che il fallimento e la riuscita appaiano molto più vicini di quanto fosse lecito supporre, poiché sobbarcarsi un compito irrealizzabile lascia aperta solo la strada di fallire con consapevolezza e generosità. È grazie alla consapevolezza della propria condanna al fallimento che paradossalmente Rudolf riuscirà, almeno in parte, là dove Konrad ne La Fornace ha fallito, tant’è che il testo di Cemento è immaginato come scritto di pugno dello stesso Rudolf  (e non è, come ne La Fornace, una raccolta di testimonianze sul protagonista). La svolta per Rudolf avviene quando egli deve confrontarsi con il doloroso enigma della morte di una sua conoscente, piombata sul cemento ai piedi di un grande albergo di Maiorca dopo essersi buttata nel vuoto perché devastata dal dolore per la perdita del marito. Egli allora capisce che il suo saggio non deve vertere su Mendelssohn, ma deve essere un atto di testimonianza della sofferenza di questa sua sfortunata amica. Cemento prefigura altresì alcune delle tematiche che si ritroveranno in Estinzione, a partire dal dovere della testimonianza del dolore innocente. Inoltre, in Cemento, Rudolf sceglie di tagliare i ponti con le proprie origini, autoesiliandosi da Vienna alla casa di campagna di Peiksam e poi decidendo di recarsi all’estero (a Maiorca), lontano da ciò che è famigliare (e familiare), per tentare di scrivere il suo saggio: analogamente, Estinzione si giocherà tutto sull’allontanamento dalle proprie radici per poter trovare uno spazio di vita autonoma, e infine su un riavvicinamento teso però a fare i conti in maniera definitiva con quelle radici.

Estinzione è la storia di Franz Josef Murau, un rampollo di buona famiglia austriaca (come icasticamente suggerisce il nome che gli è stato imposto), che ha passato la vita a tentare di distanziarsi dal passato ingombrante della sua famiglia, clericale e nazista a un tempo (famiglia che rappresenta una metafora neanche tanto mascherata dell’Austria). Mentre egli si trova a Roma, dove si è ricostruito una vita sfuggendo al controllo dei famigliari, gli giunge un telegramma con la notizia della morte dei genitori e del fratello Johannes in un incidente d’auto. Le due sorelle superstiti lo informano che toccherà a lui adesso assumere le redini della grande tenuta e del castello di famiglia nel villaggio di Wolfsegg, da dove è fuggito molti anni prima per sottrarsi alle grinfie di una madre fintamente pia, ma in realtà sessualmente promiscua (era amante di un arcivescovo), emotivamente manipolatrice e politicamente fiancheggiatrice del nazismo, nonché di un padre imbelle e connivente. Il ruolo, da lui rifiutato, di erede della fortuna di famiglia e di amministratore degli sterminati beni del casato, era stato ereditato giustappunto dal fratello Johannes, come le sorelle incapace di sottrarsi all’influenza nefasta dei genitori, ma ora egli se lo vede restituito dagli eventi.

Appresa la notizia della morte dei suoi “cari”, Murau passa lunghe ore a osservare tre fotografie che ritraggono rispettivamente i genitori, il fratello e le due sorelle superstiti. Egli matura lentamente la consapevolezza di dover distruggere (o, appunto, estinguere) la propria origine a Wolfsegg, a causa del Male in cui essa è avvolta, ma anche di non poterlo fare attraverso una fuga come quella che ha messo in atto sinora. Egli capisce, come osserva Latini, di doversi prima riavvicinare a Wolfsegg, per potersene in un secondo momento distanziare compiutamente. La forma del suo riavvicinamento-distanziamento da Wolfsegg, su un piano intellettuale, ha da essere un resoconto che egli decide di scrivere sulla sua famiglia e su Wolfsegg, che ne metta in luce l’orrore nascosto e che dovrebbe chiamarsi per l’appunto Estinzione. Egli è ben conscio della difficoltà quasi sovrumana del fare i conti con la propria origine, che significa dover lottare con se medesimi, ma sa anche che deve cogliere questa occasione e scrivere per liberarsi. Nonostante l’insopprimibile angoscia di dover scrivere, nonostante le mille scuse che si presentano alla mente per rimandare l’ingrato compito, Murau sa di dover affrontare il mostro che lo ha generato per poter un giorno sperare di trovare pace. Su un piano materiale, il ritorno a casa e la definitiva estinzione di Wolfsegg si esplicano attraverso la decisione di fare dono alla comunità ebraica del castello e della tenuta, ossia di fare qualcosa di tangibile per ricordare le vittime dell’oscuro grumo di crudeltà e ipocrisia che Murau si accinge a dipanare.

Va detto che c’è un netto progresso nella maturità e nel coraggio esibiti dai protagonisti, dall’uno all’altro dei tre romanzi presi in esame. Se Konrad, protagonista de La Fornace, non riesce neanche a scrivere la prima riga del suo trattato sul suono, Rudolf in Cemento – pur non riuscendo a finire il trattato su Mendelssohn-Bartholdy – trova infine la forza per comporre uno scritto che sia un memoriale del dolore patito dalla sua amica scomparsa, e addirittura Franz Josef Murau in Estinzione si lancia nella sfida di scrivere un resoconto del marcio che infesta la propria origine, un’impresa che non potrà non portare al (pur necessario) sfaldamento della sua identità consolidata negli anni: non a caso, da una postilla finale al romanzo, si capisce che Murau è destinato a morte prematura (come del resto lo stesso Bernhard). Il saggio di Micaela Latini sembra suggerirci che, anche se il prezzo dell’esecuzione del proprio compito è la consunzione della propria forza vitale, vale comunque la pena di pagarlo.