Il possibile e il marginale. Saggio su Ernst Bloch

Micaela Latini, Il possibile e il marginale. Saggio su Ernst Bloch

Micaela Latini, Il possibile e il marginale. Saggio su Ernst Bloch
Mimesis Edizioni, Milano, 2006

L’evento traumatico della prima guerra mondiale segna per E. Bloch un confine oltre il quale l’esperienza è costretta a confrontarsi con il ‘vuoto’ generato dal crollo dell’ordine precedentemente stabilito. Di fronte al dilagare della Sinnlosigkeit del moderno, la raccomandazione blochiana è quella di non perdersi in una vuota denuncia dell’occidente e di scongiurare il pericolo di un’inautenticità artistica ed esistenziale. In quel “campo di macerie” che è l’esito del primo conflitto, Bloch individua un percorso capace di arginare il processo di estraniazione e di mercificazione, recuperando quella traccia espressiva che era traccia dell’umano. È seguendo la stella polare della grande espressione che si approda in una ‘zona oltre confine’: un terreno utopico sul quale trovano un fecondo punto d’incontro l’ornamento puro, la dimensione preistorica, l’arte gotica e le avanguardie artistiche del primo Novecento. La cifra che caratterizza queste forme è la consapevolezza che il senso della vita non deve essere cercato in una totalità compatta e definitivamente conquistata, ma deve essere prodotto, sempre di nuovo, a partire dalla frammentazione esistenziale, dagli interstizi del reale. Ma questo è il valore critico dell’utopia: fare spazio alla “possibilità del non-fatale”, di contro allo stato di passiva adesione all’opacità del vissuto.
Questo libro nasce dall’esigenza di ripercorrere il tracciato indicato da Bloch, sulla scorta di materiali inediti e in un costante confronto con alcuni dei suoi interlocutori privilegiati (Benjamin, C. Einstein, Lukács e Riegl). Dalla lettura qui proposta emerge un tipo di approccio filosofico che sceglie il “marginale(Nebenbei)” come “concetto-chiave”, vedendovi non un limite della rappresentazione e dell’esistenza, ma la condizione interna dell’esperienza possibile.

Introduzione

Questo libro si organizza intorno ad alcune coppie concettuali che costellano la riflessione di Ernst Bloch: l’opacità del vissuto e la pienezza di senso; la forma compiuta e la produzione della forma; il destino e la volontà; il visibile e lo spirituale; la situazione subita e la decisione. Su questi poli si inarca la dialettica tra il marginale e il possibile – un tema che può essere assunto a filo conduttore sotterraneo dell’intero percorso blochiano qui proposto.
Il primo capitolo ripercorre i problemi filosofici sollevati dalla sensazione di inautenticità che è l’esito della Prima guerra mondiale. Le riflessioni antimilitaristiche di Spirito dell’utopia (1918 e 1923) riconoscono in questo drammatico evento storico il luogo, a partire dal quale si fa urgente la questione della ricerca di senso in un’esistenza abbandonata alla sua contingenza. Lo scoppio della guerra segna un confine oltre il quale l’esperienza è costretta a confrontarsi con il ‘vuoto’ generato dal repentino crollo dell’ordine precedentemente stabilito. Di fronte alla sensazione di Sinnlosigkeit, diffusa nel periodo postbellico, la raccomandazione di Bloch è quella di scongiurare la deriva del nichilismo filosofico, strettamente connesso alla Kriegesideologie, e di perseguire la via dell’espressione. Se la guerra ha fatto franare il terreno da sotto i piedi, occorre calarsi nelle crepe dell’esistenza, nello scarto che segna la distanza tra la vita irredenta e la sua redenzione. Seguendo la stella polare dell’espressione si fa possibile per Bloch tirarsi fuori dal “campo di macerie”, che rappresenta lo stigma del periodo post-bellico, e aprirsi varchi in direzione della Selbstbegegnung.

Da questo sfondo problematico prendono le mosse le riflessioni che Bloch, in Spirito dell’utopia, dedica alle forme artistiche inautentiche del periodo postbellico. È questo il tema conduttore del secondo capitolo. A un’etica corrotta dal proliferare del capitalismo, corrisponde nella sfera estetica l’affermarsi di due orientamenti riduttivi e, come tali, da contrastare: il tecnicismo-funzionalismo esasperato, che spazza via ogni fermento espressivo, e il decorativismo posticcio, portatore di valori falsi. Esiste però una terza possibilità che non ricerca il suo movente nella “poetica del cemento” e che non si acquieta in un decoro ingannevole come quello dello Jugendstil: è questo il sentiero che conduce al “grande ornamento” come forma espressiva autentica. Di qui Bloch parte per dipanare un lungo filo di ragionamenti, che lo porta a confrontarsi, nel corso della sua produzione filosofica, con il motivo del “Kunstwollen” di Alois Riegl, e con la “riscoperta del Primitivo” teorizzata esemplarmente, e proprio in questi stessi anni, da Carl Einstein. L’analisi della vis decorativa, nella peculiare scansione proposta da Spirito dell’utopia, domina l’arco argomentativo del terzo capitolo. Se la forma greca si appaga di un’esistenza illusoria e superficiale e quella egiziana trova la sua cifra nella dimensione funeraria, il Gotico rappresenta invece il “dire sì alla vita”. C’è però un altro percorso concomitante. Lungo il “sentiero a spirale” indicato dall’arte gotica, Bloch cala la poetica delle avanguardie artistiche del Novecento. È questa la via seguita nel corso del quarto capitolo, una strada che conduce al di là del disegno tracciato da Spirito dell’utopia. I motivi che affiorano nell’espressionismo e nel surrealismo pittorico e letterario, sono enunciati per suggestioni e con sorprendente tempismo nella prima opera di Bloch, ma vengono ripresi e approfonditi nelle pagine di Eredità del nostro tempo (1935). Al quinto e ultimo capitolo è affidato il compito di rilevare e sviluppare i nodi teorici che sono fin qui emersi. Sulla scorta di alcune immagini al limite, suggerite dallo stesso Bloch, viene indagato il rapporto tra opera ed esistenza. L’arte per Bloch non redime la vita dalla sua insensatezza, ma nella frammentazione esistenziale pre-annuncia, seppur per un istante (l’attimo della speranza) la totalità compiuta. È questo il motivo ricorrente dei saggi narrativi raccolti nel volume Tracce (1959). Qui ogni tentativo di risolvere il non-senso esistenziale nel senso dell’opera è destinato allo scacco. Il “brusco ritorno” nell’hic et nunc sta a segnalare come l’arte sia in Bloch una dimensione altra rispetto all’esistenza, una prospettiva utopica. E tuttavia bisogna agire come se la meta utopica fosse raggiungibile; è solo spingendosi fino alla soglia della propria vita che si fa possibile intravedere quel tanto di senso che è dato cogliere. Ma questo è il messaggio dell’utopia: di contro alla passiva acquiescenza nello stato presente occorre fare spazio al possibile, a quell’ordine sommerso che sottende la trama del visibile-contingente, rendendola al contempo fragile e densa.
Da questa visione panoramica emerge un tipo di approccio filosofico che sceglie il “marginale (Nebenbei)” come “concetto-chiave”, vedendovi non un limite della rappresentazione e dell’esistenza, ma la condizione interna dell’esperienza possibile. Ogni forma di comprensione si scontra in Bloch con il problema di una marginalità sotterranea che, come in una sorta di azione parallela, continua a fermentare e che mette in subbuglio l’ordine fin a quel momento consolidato. L’immagine proposta da Bloch è allora non quella di una strada maestra, ma quella del deserto, che bisogna attraversare, percorrendo di volta in volta un nuovo tracciato. Si capisce a questo punto l’importanza che Bloch affida al dettaglio trascurato, che spesso ospita proprio l’informazione più importante. In questo senso si fa necessaria una rivalutazione dello “sguardo obliquo” che non scivola via e che non si lascia invischiare nella superficie, ma piuttosto si sofferma nella porosità dell’esistente, facendo breccia nel cuore della possibilità. Strapparsi dall’opacità della serie, uscire dal «detestabile esser situati nel quale la maggior parte degli uomini è costretta a vivere» è un atto sicuramente doloroso, ma anche necessario. La ricerca della vita autentica è quindi per Bloch un compito al quale non ci si può sottrarre, un dovere etico e un imperativo morale. In questi termini problematici si traduce la formula blochiana “Essere come utopia”: il senso dell’esistenza non cade nel mondo come qualcosa di dato, ma deve essere prodotto continuamente.