Pascal e i suoi problemi

Bernardo Razzotti, Pascal e i suoi problemi Bernardo Razzotti, Pascal e i suoi problemi
Carabba, Lanciano, 2005

di Gianluca Miligi

Nella disorganica e multiforme opera di Pascal, come evidenzia l’Autore, non è facile orientarsi: Pascal si presenta quindi come «“problema” con i suoi problemi» – da cui il titolo del libro -, pensatore per di più con una personalità «tormentata e dubbiosa, contrassegnata da slanci e ripensamenti»(p. 13). La lettura personale di Razzotti (che non sceglie tra i “molti” possibili Pascal, tanti, quasi, quanti gli interpreti) parte dall’assunto che l’opera più significativa siano le Pensées (I pensieri), in cui si dà a vedere la grande capacità pascaliana di “analisi dei complessi umani”. Razzotti propone come linea interpretativa alcune preliminari considerazioni: Pascal vive il dilemma della «quasi assurda coesistenza delle due realtà: quella carnale e quella metafisica», e ha saputo risvegliare l’animo umano verso l’introspezione, verso «il senso del divino e dell’invisibile proprio laddove quella stessa anima sembrava toccare il fondo della disperazione e dell’angoscia di fronte al problema del male e della morte».

La riflessione pascaliana sembra inscritta nel quadro di una personale teologia esistenzialistica, per cui i principî della fede superano quelli della natura e della ragione. Nella teologia vige il principio di autorità e le verità di fede sono immutabili, al contrario delle verità della scienza – in cui cooperano esperienza e ragione -, le quali sono in continuo progresso. Riguardo il metodo di riconoscimento della verità, Razzotti sottolinea che, causa l’impotenza dell’uomo, non è possibile dare definizione e prova di tutte proposizioni: il metodo geometrico, l’Esprit de géometrie, suppone solo cose naturalmente intelligibili, come premesse delle dimostrazioni pone solo verità evidenti (procede secondo regole che hanno ad oggetto definizioni, assiomi, dimostrazioni). Ma oltre c’è l’Esprit de finesse, il solo il grado di “vedere”, di intuire la realtà umana, “fenomeno miracoloso  e complesso”, realtà contraddittoria ed enigmatica. L’Esprit de finesse appartiene all’intuizione, mentre quello della geometria è dominio dell’intelletto: il primo assume un’importante “valenza normativa” essendo un ideale regolativo.

Pascal, definito “pedagogo dell’“interiorità”, sul piano religioso accoglie le istanze delle dottrine di Port Royal e del giansenismo, con l’obiettivo di una restaurazione della fede e della disciplina morale delle origini del cristianesimo. Il giansenismo conduce Pascal ad una dottrina – è un’annotazione interessante – di natura politico-ideologica: nell’ideologia giansenistica c’è un “visione del mondo, per così dire tragica e paradossale” (che incide anche nelle trasformazioni politiche della Francia del Seicento). Pascal, a nostro giudizio con estrema lucidità, riconosce l’assenza della giustizia nel mondo e il prevalere in esso della forza: acutamente (Pens., 298) sentenzia che «la giustizia senza forza è impotente, la forza senza giustizia è tirannica», pur rimanendo comunque che la forza possiede una sua irriducibile autonomia. In termini generali, l’Autore rileva in Pascal una concezione conservatrice, che fa giudicare negativamente i cambiamenti sociali e politici in quanto forieri di possibili disordini. Per lui il mondo è corrotto e quindi in antitesi al regno di Dio: la scelta del buon cristiano è quindi rinunciare al mondo per dedicarsi a Dio con pura devozione.

Secondo una tesi importante del libro, Pascal mutua una chiara visione pessimistica sulla natura umana da Agostino (v. cap. II), la quale si congiunge però, si noti, ad una concezione di realismo politico (persino vicina all’idea di “ragion di Stato”, a Machiavelli): la forza è uni dei mali di cui l’uomo deve prendere atto. Pascal, “conservatore tragico”, trascura l’individuo in quanto tale, le sue esigenze nel mondo – dove è destinato a subire il male – e si preoccupa invece della salvezza della sua anima. Razzotti dedica una parte cospicua del suo libro a dimostrare la congenialità del pensiero di Agostino alla riflessione teologico-filosofica pascaliana. «Pascal conferma la piena corrispondenza del giansenismo alla dottrina agostiniana e quindi all’ortodossia cattolica’ contro i gesuiti», contro la casistica nella morale: nelle Provinciali critica la dottrina gesuitica della assoluzione, a favore della necessità della contrizione del tormento, del dolore, per aver tradito l’amore di Dio.

Un luogo nevralgico, cui opportunamente si dedica attenzione, è il rapporto tra ragione e fede: «l’ultimo passo della ragione è riconoscere che vi è un’infinità di cose, che la trascendono». Il risultato fondamentale della dottrina agostiniana è di aver riportato la verità all’interno dell’anima umana, in interiore nomine - in questo senso la “reminiscenza” platonica si sarebbe “interiorizzata” - e di aver valorizzato il ruolo dell’intuizione (giusta la considerazione del fatto che Agostino avrebbe “prefigurato” l’argomento del cogito cartesiano: “Se mi inganno, sono” [De civ. Dei, XI, 26]). È qui che opera la nota tesi pascaliana – che però riteniamo non rientri nel quadro di una riflessione stricto sensu filosofica – secondo la quale oltre la ragione esistono “ragioni del cuore”: noi «conosciamo la verità, non solamente mediante la ragione, ma ancora per mezzo del cuore», «i principii si sentono le proposizioni si concludono».

Riguardo ad altri temi agostiniani, oltre la condivisa critica allo scetticismo, Razzotti sottolinea «Uno sviluppo interpretativo straordinario nel lungo frammento, il 72, di Pascal, in cui si parla dell’”uomo nell’universo», dell’invito a contemplare la natura intera, nella sua alta e piena maestà.” (p. 79). A ciò si collega la concezione pascaliana dell’uomo, della “miseria umana ontologica”: a suffragarla si riportano noti frammenti, tra cui quello sull’uomo come debole “canna pensante” e questo (347): «Che cos’è l’uomo nella natura? Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, un punto nel mezzo fra il niente e il tutto». L’uomo è infinitamente lontano dal comprendere gli estremi, il principio e la fine, che rimangono avvolti per lui – “né angelo né bestia” – in un impenetrabile mistero. Il tragico realismo pascaliano accoglie l’idea del giansenismo che la natura umana sia una “natura caduta” (natura lapsa), consegnata al male, in seguito al peccato originale. E allora la salvezza umana, come sosteneva Agostino, può esser data solo dalla Grazia divina, dalla predestinazione (contro l’eresia pelagiana, secondo cui l’uomo merita o meno, con le sue azioni, eterno premio o eterna dannazione).

Successivamente Razzotti affronta il problema delle “conversioni” di Pascal, tra cui quella decisiva risale al 1657 “l’anno del cambiamento radicale” che segna il rifiuto intramondano del mondo. Senz’altro, le conversioni pascaliane sono dei “momenti forti” che rinvigoriscono la continua, ininterrotta, ardente ricerca di Dio, del Deus absconditus, di un Dio – “la cui esistenza diviene per l’uomo speranza e pari”, “scommessa” - che volutamente si nasconde. Nella peculiare dottrina di Pascal per Razzotti assume un ruolo centrale l’interpretazione cristologica, la sua “cristologia inconsapevole”. Viene innanzi tutto stabilito che è il cuore che sente Dio, e non la ragione; cuore e fede sono inseparabili: «Il sistema pascaliano trova il suo completamento in una specie di misticismo» (p. 122).

Guardando più a fondo: particolarità di tale interpretazione è l’inserirsi, come si sostiene, in un quadro di “ricerca dell’essere” e non di “ricerca sull’essere”, l’avere ad oggetto la storia il cui valore è nella manifestazione di Dio. Pascal muove, come viene chiarito, dalla vita e dall’attività di Cristo e non dal significato che le sue parole – che sono solo un medium - assumono per noi. Si deve partire allora dall’evento della Croce e dalla resurrezione, «in quanto solo questo avvenimento è in grado di rischiarare inequivocabilmente i suoi rapporti con Dio» (p. 127). Gesù è quindi il cammino escatologico, segnato dal messaggio della venuta del Regno di Dio, inteso come possibilità di salvezza, e suggellato dalla resurrezione, cifra della divinità della persona di Cristo, ossia del disvelamento della sua unione con Dio (rimane comunque il mistero dell’automanifestazione di Dio in Cristo). Nella necessità di un rapporto diretto, “dialogico”, con Cristo, si delinea in Pascal un “originale” personalismo filosofico.

La visione diversa del filosofo francese offerta dal libro di Razzotti si misura poi con il noto e fondamentale argomento del pari, della scommessa. Questo argomento dovrebbe far vedere agli agnostici la storia della salvezza come rivelazione di una dimensione comunicativa con Dio. La dimostrazione dell’esistenza di un Dio infinito, come riconosce Pascal, è intaccata da punti oscuri, e solo le anime sincere, cioè di fede, possono vederne la chiarezza. Egli cerca una impervia via mediana tra due eccessi: «Escluder la ragione, non ammetter altro che la ragione» (Pens. 253). L’Autore propone un’analisi della “dimostrazione” pascaliana, che mette capo al tema della scelta. L’argomento della “scommessa” non ha un carattere teoretico, ma piuttosto pragmatico, in quanto vòlto a convincere i miscredenti. All’alternativa “Dio esiste, Dio non esiste” è congiunta, nell’ordine pratico, l’alternativa del costume, della condotta di vita: è questa che impone una scelta («come si farebbe ad un tavolo da gioco nel quale si fosse obbligati a giocare», p. 142). Il punto è che, se si sceglie la prima delle ipotesi, c’è la possibilità di guadagnare tesori infiniti ed eterni, col solo rischio invece di perdere gli incerti e immorali beni terreni. Razzotti tiene a chiarire che l’argomento, nel suo connotato utilitaristico – comportarsi moralmente “come se Dio esistesse”, etsi Deus daretur - non decide della fede o meno, fede che come “dono” salvifico – dimensione difficile da vivere per la debolezza dell’uomo - porta a credere in Dio, a prescindere da qualsiasi argomentazione razionale sulla sua esistenza.

Tra i due poli, l’idealismo matematico cartesiano e il sentimento religioso giansenista (ispirato da Agostino), i Pensieri – opera-cardine nella interpretazione di Razzotti - mostrano l’angoscia dell’uomo che non riesce a misurare l’infinito (nella scienza si rimane irretiti nell’antinomia dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo). Nell’opposizione tra Dio e uomo, perché si possa in qualche modo raggiungere Dio serve una mediazione, un mediatore, che Pascal individua nella figura di Gesù Cristo. Ancora insistendo sulla sua vicinanza ad Agostino, Razzotti mette in evidenza la loro concezione del tempo incentrata su una dialettica tra “eternità” e “tempo”. Essa assume un fondamentale aspetto “kairologico”, nel senso che nella storia della salvezza – cui dipende la storia ecclesiologica, nella quale l’eternità è la destinazione finale della Chiesa – è centrale il tempo “discriminante” (kairos) dell’Incarnazione.

È generale intenzione dell’Autore dimostrare che la riflessione speculativa pascaliana si sviluppa sempre intorno a problemi, si configura quindi, propriamente, come ricerca e non come compiuto sistema metafisico. La filosofia, che manterrebbe un suo ruolo insostituibile come triplice investigazione sulla verità delle cose, delle parole e delle azioni umane, mostra un’insufficienza che non è “postulato categorico della fede cristiana”, ma piuttosto un dato strutturale (p. 161).

Per quanto concerne la dottrina gnoseologica, uno dei suoi temi fondamentali è «la presenza di Dio in ogni forma di conoscenza sicura in ragione della sua stessa certezza»: in base alla dottrina della “illuminazione”, la conoscenza umana finita, relativa e indiretta, trova la sua certezza nelle ragioni eterne che costituiscono la conoscenza divina (assoluta e diretta). Il fine ultimo della ricerca è la conoscenza della verità, di Dio, sostenuta dalla Rivelazione (in questo senso decisiva è la conoscenza di Cristo come Verbo e Dio) in un cammino ascendente di ispirazione neoplatonica. Interessante ancora è l’individuazione di due dialettiche nella speculazione pascaliana: una relativa all’esistenza di Dio e l’altra relativa alla sua essenza (cfr. pp. 169-170).

L’ultima parte del suo libro Razzotti la dedica a esporre la più note critiche al pensiero pascaliano tra cui, famosa, quella di Voltaire. Sottolinea opportunamente la complessità delle due posizioni, che non possono essere ridotte ad un’opposizione schematica; puntuale è la sintesi della differenza che intercorre tra i due filosofi (pur sulla strada di un pessimismo di fondo): per Pascal l’uomo deve, tornando in sé stesso, aprirsi al trascendente; per Voltaire, l’uomo «deve riconoscere la sua autosufficienza, pur nella dipendenza creativa da Dio, per impegnarsi nel finito» (p. 185).

Per riassumere la fisionomia della filosfoia pascaliana, che è insieme la cifra della personale interpretazione dell’Autore: «Cerca l’assoluto della vita scavando verità, grazie, peccati, idee nel pieghe più riposte dei problemi». In tale impostazione si può rinvenire l’attualità del pensatore francese, che a nostro parere, però, è il caso in generale di tener distinta dalla prospettiva dei Pensieri come “frammenti di un’Apologetica della religione cattolica”. In altri termini: cercando d’individuare il suo contributo filosofico, riteniamo sia proprio nella frammentazione “problematica” che Pascal può ancora insegnare qualcosa a noi lettori di oggi.