È assurdo isolare il razzismo dal suo contesto

[SPECIALE]

Etienne Balibar

Etienne Balibar
è professore emerito di Filosofia politica e morale presso l’Università di Paris-X (Nanterre). A partire da una rilettura critica dell’eredità di Marx (e di altri classici del pensiero filosofico-politico moderno, tra cui Spinoza), ha elaborato una riflessione sulle categorie di razza, cultura e identità allo scopo di elaborare una concezione più inclusiva della cittadinanza e della democrazia in Europa. Tra i suoi libri tradotti si segnalano: Razza, nazione, classe (con I. Wallerstein, Roma 1991); Le frontiere della democrazia (Roma 1993); Spinoza e la politica (Roma 1995); La paura delle masse (Milano 2001); Noi, cittadini d’Europa? (Roma 2004); Europa, cittadinanza, confini (Bari 2006).

In ricordo di Jacques  Derrida

ETIENNE BALIBAR

«È ASSURDO ISOLARE IL RAZZISMO DAL SUO CONTESTO»

a cura di Gianfranco Cordì

Michelina Borsari, Direttrice del Festivalfilosofia di Modena, sostiene: « La novità degli ultimi anni è il nuovo razzismo. Oggi la categoria dell’immigrazione ha sostituito la vecchia categoria di razza. Oggi sono le caratteristiche culturali quelle che determinano tutte la differenze tra gli uomini. Le culture, si dice, sono tutte egualmente degne. Ma quando si passa al piano pratico vengono fuori le gerarchie. I lavori di Balibar mettono in rilievo i legami che esistono fra razzismo e nazionalismo. Egli riformula la questione antropologica della definizione dell’umano. Balibar è un intellettuale che ha fatto veramente i conti con i grandi mutamenti che caratterizzano tutta la nostra società. Egli ha saputo ripensare in modo nuovo il problema delle frontiere, il quale è poi il problema che tutt’oggi continua a far da ostacolo alla democrazia. Per sbloccare la democrazia europea, dice Balibar, occorre riformulare il concetto di cittadinanza».
La Chiesa di San Carlo è piena sino all’inverosimile di persone. Sono le quindici e trenta del pomeriggio e con queste parole la Borsari ha concluso la sua presentazione di Etienne Balibar. Balibar inizia quindi la Lezione Magistrale che egli ha scelto di intitolare «Il ritorno della razza». Dice Balibar: « “Il ritorno della razza” in realtà è un antitesi. Rispetto a questo titolo la questione dell’umanità è vista da un punto di vista negativo. In questa “via negativa” (per citare i vecchi teologi) all’umanità la parola umanità assume una duplice connotazione; essa è concreta ed è astratta. Cioè, indica quello che per Michel Foucault (ne Le parole e le cose) è un doppione empirico-trascendentale. L’umanità è il grande essere che raccoglie tutto quello che è umano e che lascia da parte tutto quello che non lo è. Ma, supporre di voler segnare una frontiera dell’umano in modo effettuale, anche questo è molto problematico. In realtà, la nozione di umanità oscilla tra un accezione morale (la quale designa quella qualità di cui è in possesso un esser umano che tratta bene un altro essere umano. Cioè che si rapporta all’altro senza ricorrere alla violenza; rispettandolo) e un accezione più strettamente speculativa. La quale è corrisponde all’essenza dell’umano in quanto tale. Raccogliere tutti gli esseri umani in un solo insieme (o meglio: non escludere nessun essere umano da un certo insieme): si può realizzare questa cosa senza l’idea di umanità? Questa è la grande problematica filosofica che sta sotto all’idea di umanità.
La via negativa che ho scelto per questa mia Lezione è la considerazione del problema dell’umanità nella sua dialettica relazione con il problema del razzismo. Questa via ci consente di riflettere meglio sulle ragioni di tali classiche aporie! “Il ritorno della razza”, dunque, è l’argomento di questa mia Lezione. E badate bene: in questa espressione non si parla di ritorno delle razze. Ma di ritorno della razza. Oggi, certo, l’idea di una razza generica che non si realizza in gruppi razziali gerarchizzati è difficile da realizzare. Per i nostri contemporanei, oggi non esiste più alcuna frontiera tra i vari gruppi razziali naturali. Invece, quello che per essi esiste è (più che mai) una rilevanza collettiva del principio-razza sotto forma di un certo principio genealogico formato da criteri di origine, da rappresentazioni, da mentalità.
Dunque dire “ritorno della razza”, vorrebbe dire che il razzismo ha ritrovato oggi una vigenza notevole. Ma perché noi diciamo: ritorno? Forse la razza ritorna dal nostro oblio o dalla nostra ingenuità. Oppure, forse, dire “ritorno” equivale a dire che la razza torna sotto un altro volto e chiamandosi anche con altri nomi. Voglio adesso completare quanto ho appena detto con una riflessione sull’avvenire del razzismo. Si tratta, a questo punto, di riflettere in modo ipotetico sugli sviluppi possibili del razzismo (considerato in tutte le forme che esso può assumere). E si tratta di mettere in dubbio la stessa nostra convinzione dovuta alla nozione di progresso, ovvero che la razza ed il razzismo siano delle cose che appartengono al passato. Adesso noi dobbiamo chiederci se questa rappresentazione ottimistica del progresso non sia un puro pregiudizio ideologico!. Quale sarà il futuro del razzismo? Tale futuro sarà grande o piccolo? Necessario o contingente? A questo punto io vi segnalerò i grandi fenomeni negativi che stanno attraversando la società attuale. Le ragioni del nostro indagare sul ritorno della razza e sull’avvenire dei razzismi sono tuttaltro che teoriche.
Dunque, i grandi fenomeni di cui dicevo sono in totale quattro (ed essi non sono altro che quattro singoli aspetti di quel processo complesso che viene detto globalizzazione). Il primo di essi è l’esacerbarsi dei nazionalismi (che arrivano a produrre anche forme di genocidio). Tali nazionalismi danno alla mondializzazione non una forma di cosmopolitismo ma una forma di cosmopolitismo rovesciato. Come se la globalizzazione non riuscisse affatto a produrre una certa reciprocità ma invece producesse una intensificazione dei fenomeni di odio e di intolleranza. La mondializzazione comunque rimane inseparabile da fenomeni di dominio, i quali ci riportano ai caratteri di quello che fu l’Imperialismo. Il secondo è il clash of civilization (o lo scontro delle civiltà) di cui parla Samuel P. Huntington, adottato dalla politica imperiale degli Stati Uniti d’America dopo l’11 Settembre. Il quale è una profezia che realizza se stessa. Il fatto inquietante è che tale profezia si divenuta reale. Essa si è infatti realizzata secondo il modello di Carl Schmitt della pluralità amico/nemico. Una logica di questo tipo sta cominciando a guidare oggi parecchie azioni e reazioni. Oggi occorre dunque discutere l’importanza del fatto religioso all’interno della politica mondiale. Il terzo odierno grande fenomeno è dato da quella tendenza che ha il capitalismo a trasformarsi in biocapitalismo. Ovvero: capitalismo che si fonda su una bioeconomia. È la biopolitica di cui parlava Foucault, la quale è un insieme di tecniche amministrative che puntano alla normalizzazione dei corpi.
Ed infine, l’ultimo fenomeno è il blocco dei sistemi che si presentano come democratici. Quale sistema politico, oggi, non dice di essere democratico? La realtà però, come sappiamo, è ben diversa. Tutti quei sistemi politici che si presentano come modelli di democrazia oggi sono precisamente quelli che escludono dalla scelta dei loro dirigenti la maggior parte della popolazione. Tutto ciò, io credo, rilancerà la terribile questione (ubicata nel cuore dell’universalismo moderno) su come interi gruppi sociali possono essere esclusi democraticamente dalla gestione del potere. Queste, dunque, a mio avviso sono le tendenze globali che credo di potere individuare. I quattro grandi fenomeni di cui ho parlato e le grandi questioni che essi suscitano costituiscono tutti degli argomenti che hanno un importanza notevole per lo stesso avvenire dell’Europa. Vediamo ora che relazione c’è tra i fenomeni di razzismo (di cui ho detto) e l’attuale congiuntura. Vedere questa relazione in maniera diretta non solo non ci basta ma può essere addirittura fuorviante. Questa relazione deve infatti essere mediata dai processi simbolici propri dell’immaginario collettivo. Il pensiero deve lavorare sugli aspetti (epistemologici, sociali, biologici, eccetera) del concetto di razza. E questo è un lavoro filosofico.
Tale lavoro è anche un lavoro infinito! Inoltre bisogna considerare anche un'altra cosa. Oggi noi stiamo assistendo non solo ad un ritorno della razza ma anche ad un ritorno della teorizzazione sulla razza. Intanto, il concetto di razzismo stesso ha subito delle trasformazioni.
La nascita di questo concetto è databile. Esso nasce negli anni quaranta e cinquanta del ventesimo secolo. Lo coniò l’UNESCO basandosi sui fenomeni dell’ antisemitismo, del razzismo coloniale e del pregiudizio dovuto al colore della pelle. Oggi noi stiamo vivendo una crisi dell’idea di razzismo. Ed ancora, l’ articolazione delle dimensioni antropologiche e politiche del fenomeno di razza è cambiata notevolmente. In qualche modo questa storia è una specie di storia della faccia nascosta della nostra cultura, o della faccia impolitica (per dirla con Roberto Esposito). Il filo conduttore di questa storia è dato dalla produzione (rinnovata in ogni tempo con materiali sempre nuovi) delle categorie gemelle di nemico-intimo e di esclusione interiore. Se sto parlando di queste cose io, vedete, in un certo senso sto anche cercando di approfondire quello che è il paradosso più terribile della nostra modernità. Quel paradosso che apre la possibilità di rovesciare anche l’idea di umanità. Ma questa discussione dovrebbe soffermarsi anche sulle differenze fra certi schemi simbolici definiti dalle razze. Per esempio: i due schemi di elezione, inventati dal popolo israeliano. Ed anche gli schemi della selezione: radicati in una certa teoria ideologica. Elezione e selezione sono però due schemi (allo stesso tempo) incompatibili ed inseparabili.
Questo è dunque il punto di più profonda elaborazione di una certa antropologia negativa. Questo dialogo interrotto fra questi due schemi è della massima importanza. Ma dovrebbe essere messo in convergenza con un altro livello: chi sono gli uomini gettabili, gli uomini senza valore d’uso? Poi, la possibilità di isolare la questione della razza dalle altre strutture di dominio e violenza è anche un punto importante. Penso all’articolazione razza/classe, oppure all’articolazione razza/sesso o all’articolazione razza/religione. A questo punto io propongo di tenere un filo conduttore.
La connessione fra tutte queste strutture di potere è cosi stretta che è assurdo isolare il razzismo dal suo contesto. La razza in questo senso è l’effetto discorsivo di certe forme di sfruttamento.
Essa è l’effetto combinato di queste forme di sfruttamento con una logica religiosa (di definizione della cosiddetta purità o dell’impurità). E dunque: ricostruire oggi la razza avrebbe l’enorme vantaggio di demitizzarla. Occorre, io credo, un programma storico-sociologico nel quale non devono essere separati razza-sesso-classe eccetera.
Ciò condurrebbe ad aprire la possibilità di comprendere tutti i razzismi, passati e futuri.
Per quanto riguarda il rapporto umanità—razza c’è da dire che dagli anni quaranta e cinquanta la nozione di razzismo dell’Unesco si diffuse dappertutto. Secondo me in quella nozione di razzismo ci sono due elementi principali. Due elementi che risaltano. Il primo è quello che io chiamo il teorema di Sartre. Esso afferma: le razze non esistono ma esiste il razzismo. L’Unesco stabilì la definizione di razzismo sulla base dei tre grandi tipi di razzismo che c’erano in quegli anni.
Poi, altri teorici tentarono di interpretare in forme diverse il fenomeno del ritorno dell’inumano, per esempio la Arendt e lo stesso Foucault. La tesi della Arendt è che l’istituzione politica non ha alcuna base antropologica. E’ ovvio che dire questo non vuol dire che l’istituzione non ha alcun significato antropologico. Al contrario, l’istituzione politica produce l’umano. Mi rimane a questo punto un’ultima considerazione ancora da fare. Tutto quello che ho detto dimostra in che senso l’ideale dell’umanità non può essere solo un’ideale pratico ma deve essere anche pragmatico. Ovvero: l’ideale di umanità possiede un suo contenuto determinante, il quale è del tutto negativo. E questo contenuto è: resistere all’autodistruzione dell’umano tramite programmi politici. Il razzismo non voleva cancellare l’idea di umanità, il razzismo voleva mostrare il fatto che l’idea di umanità è inseparabile da quella di comunità (o di città). Oggi, io credo, davanti al problema della prova del razzismo tutti noi dobbiamo ripercorrere la genealogia completa delle strutture simboliche che costituiscono le nostre comunità». Cosi, Etienne Balibar riceve l’applauso del pubblico di Modena e ci lascia un’importante affermazione (ispirata, io credo, ai lavori di Michel Foucault, che lo stesso Balibar ha citato più volte e già nell’ apertura del suo bell’intervento) su cui dover riflettere. Balibar infatti ha detto che per cercare di combattere vittoriosamente il razzismo occorre attraversare oggi la «geneaologia completa delle strutture simboliche» che globalmente costituiscono il vissuto quotidiano di ognuno di noi. In altre parole Balibar ha incitato la nostra cultura (considerata nella sua interezza) a riflettere (oggi) su se stessa. Scavando fin dentro le proprie remote radici. Mi sembra che una tale riflessione non solo oggi è più che mai necessaria ma che essa sia (del pari e) del tutto inevitabile. Infatti, il fenomeno del razzismo non solo è prepotentemente riapparso un po’ ovunque ma è divenuto addirittura la questione centrale che una società come la nostra, composta da un’ «umanità frullata», in continua agitazione e sbattuta di qua e di là, è costretta oggi a dover risolvere con maggiore urgenza.


testo
Torna a Speciale Festival Filosofia 2006
oppure vai a:

testo Lezione Magistrale
CARLO GALLI «L’UMANITÀ "FRULLATA"»
EMANUELE SEVERINO testo Lezione Magistrale
EMANUELE SEVERINO «L’UMANITÀ DELLA TECNICA È LA MORTE DELL’UOMO»
REMO BODEI  testo REMO BODEI «L’UOMO E’ L’UNICO ANIMALE CHE SA DI ESSERE MORTALE»
EDOARDO BONCINELLI testo EDOARDO BONCINELLI «SCIENZA VA AVANTI PER IDEE...ED ANCHE UN PO' PER SOLDI»
EVA CANTARELLA testo EVA CANTARELLA «IL LAMENTO DI MEDEA PRIMO LAMENTO SULLA CONDIZIONE FEMMINILE»
UMBERTO GALIMBERTI testo UMBERTO GALIMBERTI «RISPETTO ALLA TECNICA L’UOMO È DIVENTATO UN FUNZIONARIO»
BRUNO LATOUR testo BRUNO LATOUR «BISOGNA DARE VOCE AI NON-UMANI»