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A. Cicatello Adorno e Kant tra dialettica e logica della non contraddittorietà


Adorno e Kant tra dialettica e logica della non contraddittorietà

La complessità del rapporto che lega la riflessione di Th. W. Adorno al pensiero di Kant può concentrarsi tutta nel modo diverso in cui i due autori intendono la contraddizione.
Nella cornice di una comune valorizzazione della dialettica in un senso eminentemente critico per il quale la dialettica svela l’illusorietà delle pretese di totalità del concetto, Adorno tuttavia sembra differenziarsi dalla prospettiva kantiana nella misura in cui quest’ultima rimarrebbe ancorata agli schemi della logica formale e in particolare a quella logica della non-contraddittorietà della quale un pensiero autenticamente dialettico dovrebbe costituire il superamento.

In questa prospettiva il pensiero di Adorno si configura rispetto alla posizione kantiana come una radicalizzazione della prospettiva critica. La critica di Adorno infatti non investe solo le pretese illusorie del pensare concettuale ma la stessa
possibilità di una critica che a tali pretese si rivolga. Più precisamente, la riflessione di Adorno parte dal presupposto che la stessa forza critica del pensiero sia immersa in quei meccanismi identificanti che caratterizzano l’attività del pensare e che dunque la dialettica sia sempre esposta al rischio di diventare complice del principio d’identità contro cui essa stessa si rivolge.

In tal senso la critica non deve solo rivolgersi alle pretese di totalità del pensare concettuale ma al pensiero stesso nella sua interezza, alla sua struttura identificante, tematizzata nella logica della non contraddittorietà, della quale il pensatore di Francoforte denuncia i meccanismi costrittivi.
La convinzione, peraltro anche kantiana, di una tendenza naturale e inevitabile quanto illusoria del pensiero a racchiudere nel concetto ciò che non gli è identico, spinge il francofortese alla coscienza disillusa di non poter rintracciare uno spazio in cui il pensiero sia totalmente libero di esercitare la propria forza critica, in quanto pensiero che trova sempre di fronte a sé la propria natura identificante, che vizia dunque in radice la possibilità di una critica autentica. In questa prospettiva la critica deve diventare l’ambito in cui il pensiero si rivolge contro se stesso e più precisamente contro quelle leggi di identificazione che ne regolano l’attività.

La critica di Adorno dunque si incentra fondamentalmente sulla messa in discussione dell’intera struttura concettuale, ponendo l’accento sulle sue contraddizioni, in un modo per cui la contraddizione non rappresenta una semplice anomalia formale, ma
riguarda seppur non direttamente il rapporto tra il pensiero e ciò che non è identico rispetto ad esso:

I concetti aporetici della filosofia sono segni dell’oggettivamente - non semplicemente dal pensiero -irrisolto. Imputare le contraddizioni alla testardaggine speculativa che non impara nulla dall’esperienza non fa che spostare la colpa [1].

La contraddizione non è, in Adorno, il semplice risultato di un uso scorretto della ragione, essa non è infatti riducibile ad un problema di logica formale, piuttosto è il segno di quella non identità che pervade il pensiero ma non è riconducibile interamente alle forme del pensare. La contraddizione testimonia dunque una mancanza del pensiero che non riguarda i semplici procedimenti logici ma si riferisce ad un’opposizione che in qualche modo valica i limiti stessi del pensiero pur rimanendo rintracciabile solamente sul piano del pensiero.

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1 Th.W. Adorno, Dialettica negativa, tr. it. a cura di C.A. Donolo, Torino 1970, p. 137.

 

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