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Il carteggio Croce-Gentile, edizione integrale



Benedetto Croce-Giovanni Gentile

CARTEGGIO
Vol. I 1896-1900
(2014)





E’ un’opera davvero meritoria e di grande rilievo la recente pubblicazione del primo volume dell’edizione integrale del carteggio tra Benedetto Croce e Giovanni Gentile, indubbiamente le figure fondamentali della cultura italiana della prima metà del secolo Ventesimo.
E’ la casa editrice Nino Aragno di Torino a colmare questa grave lacuna con un corposo progetto editoriale in 5 volumi, che scandiscono l’intero arco del carteggio – circa un trentennio, 1896-1924 – tra i due insigni filosofi e intellettuali: come noto, tra loro maturerà, nel 1924, una insanabile rottura, da cui l’interruzione dei rapporti e dello scambio epistolare.
Il valore dell'edizione in questione consiste, oltre che nell’integralità, anche nella cura unitaria del carteggio, di cui si avevano a disposizione solo separate e, inevitabilmente, disomogenee pubblicazioni. [1]
L’opera è a cura di Cinzia Cassani e Cecilia Castellani, rispettivamente curatrice dell’archivio della Fondazione «Biblioteca Benedetto Croce» e coordinatrice dell’archivio della Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici (Fondazione Roma Sapienza).
Il volume è arricchito da una pregevole Introduzione di Gennaro Sasso, il maggiore studioso in Italia di Croce e Gentile: basti qui ricordare la fondamentale monografia Benedetto Croce. La ricerca della dialettica (Napoli, 1975) e i volumi (I e II in particolare) loro dedicati nella serie “Filosofia e idealismo” per Bibliopolis, Napoli.

[1] Sempre con un'introduzione di Gennaro Sasso e a cura di Alda Croce, si vedano Lettere a Giovanni Gentile (1896-1924), Milano Mondadori, 1981. La maggior parte delle lettere di Gentile a Croce erano invece apparse precedentemente: Giovanni Gentile, Epistolario III-VII, Lettere a Benedetto Croce, a cura di S. Giannantoni, Firenze, Sansoni, 1972-1980, 4 volumi che coprono il periodo 1896-1914. Il volume V (1915-1924) apparve nel 1990 con la medesima cura ma nelle edizioni Le Lettere, Firenze.

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Una presentazione del Carteggio:

Croce-Gentile, un dialogo in punta di penna prima del «grande freddo»

(Stefania Miccolis, IL MANIFESTO, 27-8-2014)

Era il 27 giu­gno 1896 quando Bene­detto Croce rispose al gio­vane Gio­vanni Gen­tile, stu­dente uni­ver­si­ta­rio della Nor­male di Pisa, pieno di rico­no­scenza e garbo («Le porgo i miei migliori rin­gra­zia­menti pel dono cor­tese del suo stu­dio sulle com­me­die del Lasca»). Gen­tile mostra un timore reve­ren­ziale nei con­fronti di colui che a trent’anni «godeva già di con­si­de­ra­zione negli ambienti dell’erudizione», scrive Gen­naro Sasso nella sua pia­ce­vole e rigo­rosa intro­du­zione al car­teg­gio fra i due filo­sofi pub­bli­cato dalla casa edi­trice Ara­gno (euro 30). Da allora una fitta cor­ri­spon­denza di «ami­ci­zia» e «col­la­bo­ra­zione intel­let­tuale» si pro­lun­gherà fino al 1924, anno durante il quale la frat­tura è ine­vi­ta­bile sia per diver­genze poli­ti­che che filo­so­fi­che. Ciò pro­vo­cherà «scon­certo e pre­oc­cu­pa­zione», per­ché sarebbe venuta a man­care quella discus­sione filo­so­fica che aveva accom­pa­gnato i primi anni del Nove­cento ed era stata un punto di rife­ri­mento per molti stu­diosi: «Con la fine di quell’esperienza comune, era come se di colpo il pae­sag­gio cul­tu­rale ita­liano avesse mutato d’aspetto e, da quel momento in poi, orien­tar­visi fosse più dif­fi­cile e fati­coso», scrive sem­pre Sasso. L’epistolario (già curato, ma in volumi sepa­rati, da Simona Gian­nan­toni e Alda Croce) è pub­bli­cato in forma uni­ta­ria e inte­grale (è stata rico­struita l’esatta sequenza) in cin­que tomi, con il coor­di­na­men­tio di Cin­zia Cas­sani, stretta col­la­bo­ra­trice dell’Istituto Croce, e Ceci­lia Castel­lani, ricer­ca­trice all’archivio Gentile.

Tra elogi e deferenza

Gen­tile non man­cherà in que­sti primi anni di uti­liz­zare for­mule reve­ren­ziali — «Sti­ma­tis­simo Signore», «Scusi il mio ardire e accetti i miei rin­gra­zia­menti» — e ado­pe­rerà anche, nello scor­rere del tempo, espres­sioni quasi di devo­zione come «vostro ser­vi­tore», o: «La vostra ami­ci­zia sin­cera e il vostro grande affetto mi sono suf­fi­ciente com­penso di tutti i torti che altri potrà farmi. E la vostra pre­mu­rosa let­tera di sta­mane mi ha con­for­tato e sol­le­vato l’animo». Croce a soli cin­que mesi dalla prima let­tera, nel novem­bre 1896 si rivol­gerà a lui con una for­mula che man­terrà sem­pre: «Egre­gio amico». E lo loderà, una volta letta la sua tesi di lau­rea su Rosmini e Gio­berti (let­tera 71, 18 otto­bre 1898): «Una tesi di lau­rea che pre­senti simile matu­rità in ogni parte, è cosa che capita di rado! (…);e l’impressione totale è che voi potete ad libi­tum essere o uno sto­rico forte o un forte pen­sa­tore».
Sin da que­sto primo volume, che va dal 1896 al 1900, il dibat­tito filo­so­fico è fitto. Croce viene subito col­pito dal gio­vane stu­dioso e non esita a sot­to­li­nearlo nel feb­braio 1897 (let­tera 15): «la sua let­tera mi ha destato sin­cera ammi­ra­zione, mostran­domi ch’Ella si è pie­na­mente impos­ses­sata della que­stione del mate­ria­li­smo sto­rico, ha dige­rito ed assor­bito i libri del Labriola, e for­mula le obie­zioni con una lim­pi­dità ed esat­tezza di espres­sione, vera­mente note­voli. E non ho niente da ret­ti­fi­care sul modo in cui Ella ha inteso ciò ch’io ho scritto sull’argomento». Quel Labriola che Croce sem­bra quasi tra­dire al cospetto delle intui­zioni di Gen­tile, ma del quale, pur nelle diver­genze di pen­siero, avrà sem­pre grande rispetto (let­tera 42, 1 gen­naio 1898) «Ma io sono tanto rico­no­scente al Labriola per l’influenza salu­tare eser­ci­tata sui miei stu­dii, ho impa­rato tanto da lui, che quasi non mi sono accorto per un pezzo delle diver­genze». Sul mate­ria­li­smo sto­rico (il 15 gen­naio 1897, let­tera 11) scri­verà: «la diver­genza tra me e il Labriola è grande rispetto alla forma scien­ti­fica, e quindi alla por­tata teo­rica della dot­trina. Il Labriola, di cui fac­cio gran­dis­sima stima, è un inge­gno poco sche­ma­tico, e biso­gna leg­gerlo tra le linee».
Ebbene Gen­tile aveva com­preso che Labriola con­ce­piva il mate­ria­li­smo sto­rico come una «filo­so­fia della sto­ria», ma in maniera, a suo parere, non cor­retta, e incoe­rente, per­ché lo appli­cava al socia­li­smo: «il mate­ria­li­smo sto­rico si stacca asso­lu­ta­mente dal socia­li­smo — 17 gen­naio 1897, let­tera 12 –, e que­sto ritorna un’altra volta all’uto­pia, donde Marx ed Engels pro­cu­ra­rono di ele­varla a dignità di scienza».
Ma Croce quasi a voler difen­dere il suo mae­stro nono­stante creda al mate­ria­li­smo sto­rico solo come metodo empi­rico per cono­scere la realtà, nel marzo aprile 1897 (let­tera 17), scri­verà: «qua­lun­que pre­vi­sione dell’avvenire, qua­lun­que pro­gramma di con­dotta poli­tica, non può non essere più o meno un’utopia. (…) chi stu­dia la sto­ria moderna, chi esa­mina la società moderna, trova argo­menti per crearsi una fede socia­li­stica, e non li tro­ve­rebbe per un’altra fede, libe­rale, asso­lu­ti­stica, teo­cra­tica, ecc. Ora che si abusa tanto della parola scienza, per­ché impe­dire ai socia­li­sti di chia­mare scien­ti­fica la loro con­ce­zione, che scien­ti­fica non è, ma pure si fonda su tanta osser­va­zione della realtà?»

Il rigore perduto

Ci si perde nei loro discorsi e si è avvinti dalle loro discus­sioni e ci si stu­pi­sce da come alcuni pen­sieri incre­di­bil­mente si potreb­bero tra­sfe­rire al feroce dibat­tito poli­tico attuale in Ita­lia; Croce nel risol­le­vare l’animo del gio­vane Gen­tile, con tutto il fer­vore di gio­vane stu­dioso quale è anch’egli (let­tera 206, 28 aprile 1900) dirà: «Voi avete ragione nel notare che nes­suno in Ita­lia vuole discu­tere que­stioni di filo­so­fia. Dun­que, c’è qual­cosa da fare: sve­gliare le menti alla discus­sione. Ma non biso­gna con­tare sui vec­chi o sugli uomini maturi, cre­sciuti nell’odio alla filo­so­fia ed ormai impo­tenti a com­pren­derla: non biso­gna met­tere il vino nuovo nelle botti vec­chie. Biso­gna con­tare sui gio­vani. Occorre pre­pa­rare una nuova messe, dis­so­dando il ter­reno e semi­nando; ed aver la pazienza di aspet­tare. Que­sta è la mia fede; e spero sia anche la vostra. Del resto, ridiamo, con la buona coscienza che essi non potranno ridere di noi: chi non capi­sce, s’arrabbia ma non ride!»
Aspet­tando i suc­ces­sivi volumi una cosa è certa e ce la scrive anche Nata­lino Irti pre­si­dente dell’Istituto Ita­liano per gli studi sto­rici: ricom­porre il car­teg­gio Croce – Gen­tile «signi­fica offrire alla vita spi­ri­tuale d’Italia – in un oggi dolo­roso e incerto – un altis­simo capi­tolo di pen­siero, di dia­logo filo­so­fico, di one­stà inte­riore». Ha ragione a dire che in esso vi è «una pro­fonda lezione di serietà morale» e che «inse­gna il rigore e l’intransigenza del pen­siero, che, nelle svolte più ardue e supreme, non può tran­si­gere con se stesso né cedere a comode media­zioni». Una chiave erme­neu­tica in cui leg­gere il car­teg­gio, ed ha ragione Croce quando scrive (let­tera 71, 18 otto­bre 1898): «A me pare che la filo­so­fia non possa se non recarci alla coscienza ciò ch’è il pre­sup­po­sto di ogni atti­vità razio­nale dell’uomo, di ogni atti­vità teo­re­tica e pra­tica. Ciò la distin­gue dalla reli­gione e dalla scienza; ma ciò anche la rende infe­conda (o, ch’è lo stesso, uni­ver­sal­mente feconda).Insomma, per me la filo­so­fia si riduce a un: Memento, homo… Ricor­dati ciò che sei, e non pre­ten­dere di ritro­varti in ciò che non sei. Que­sta non è cono­scenza, ma coscienza; e la filo­so­fia ha valore con­tro gl’incoscienti, e i danni dell’incoscienza».

 

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