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G. Perazzoli Tra postmoderno e metafisica

Dibattito: addio al postmoderno?       


Il dibattito tra Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris parte dalla domanda se la verità sia un antidoto al potere populistico e autoritario o se, al contrario, essa stessa, la verità, sia una forma del potere populistico e autoritario.

 
Nella tesi di Vattimo la verità è un prodotto del potere. Questo significa però dire che la verità, che è un prodotto del potere, non è la verità. Il potere fabbrica una verità, che dunque non ha le caratteristiche della verità. La premessa di Vattimo (o la conseguenza, fa lo stesso) è che la verità stessa, però, non esiste. Ora, lasciando a Vattimo l’argomentazione (il quid iuris) della tesi che sostiene che “la verità non esiste”, resta che, proprio seguendo la sua tesi, l’identificazione di potere e verità non può darsi, per la semplice ragione che manca uno dei termini del rapporto, ossia la verità. Dunque il potere non dà forma alla verità. Lo stesso argomento di Vattimo, mentre riduce la verità al potere, sottrae la verità dal rapporto con il potere. Questa tesi (per come essa si presenta nel dibattito) non dimostra che la verità debba necessariamente essere un prodotto del potere.

In realtà, nella prospettiva di Vattimo mi pare che si trovi l’idea che il potere dia forma alla metafisica, come ad esempio accade nella religione o in certe ideologie politiche. Mi pare che sia questo il concetto di “verità” a cui Vattimo dichiara di dare addio: la verità della metafisica. Il potere fabbrica una verità metafisica, oppure, più semplicemente, una metafisica (e la relativa ideologia). Bisognerebbe decidere poi se la verità sia la stessa cosa della metafisica, ma questa è un’altra questione, che la tesi di Vattimo né nega né afferma. Si capisce comunque perché Vattimo concluda che, se si pensa criticamente, la scelta politica si debba riconoscere come infondata.

Quanto invece al discorso sulla “verità empirica” (quella che, in modo grossolano, si dice a volte “verità empirica”), questa sembra che, per Vattimo, sia fuori discussione: essa non cade in dubbio. La “verità” dei fatti è qualcosa che si trova al di fuori della competizione sul senso. Sul fatto che “piove” Vattimo concede di poter essere d’accordo con Bush, mentre con Bush evidentemente non è d’accordo sul senso delle cose, ovvero sulle scelte etico-politiche. In breve, Vattimo sembra rivolgere la sua critica all’idea della verità che offre la metafisica, dando per assunto che verità e metafisica siano lo stesso. Il postmoderno si caratterizza, da questo punto di vista, come una particolare declinazione del congedo dalla metafisica.

Maurizio Ferraris assume invece che la verità sono proprio i fatti. Che questa sia essenzialmente una tesi metafisica non lo spaventa né lo fa arretrare di un passo. La metafisica, detto in breve, guarda all’essenza del mondo, all’oggettività come coincidenza con l’essere: per la metafisica la realtà coincide con la verità.

Dunque, mentre per Vattimo la verità coincide con la metafisica, e i fatti sono realtà empiriche e contingenti, per Ferraris, al contrario, la verità coincide con i fatti. Per Vattimo la metafisica deve ridursi a ideologia (potere, autorità); mentre, nei termini posti da Ferraris, la metafisica resta ferma come coincidenza di verità e realtà oggettiva. Sulla realtà dei fatti (“piove”) è d’accordo anche Vattimo, mentre la divergenza (e il tratto metafisico della posizione di Maurizio Ferraris) si trova sull’assegnazione ai fatti del senso dell’episteme (perché questo, in definitiva, è il realismo).

Detto questo, la funzione antipopulistica non è un tratto essenziale e specifico del realismo: infatti, il criterio confutativo che oppone un fatto (realtà) a una menzogna (che non piove quando piove) non scaturisce esclusivamente dalla metafisica del realismo (la realtà è fondata = vera) e non è messo in questione dall’ermeneutica (che non nega il fatto, ma il senso universale e fondato di verità della realtà).

Detto in altri termini, non c’è bisogno di una metafisica per essere persuasi che piove. Allo stesso modo non è necessaria una metafisica per decidere che un determinato evento politico è censurabile. Ma appunto, questo non toglie né aggiunge nulla, sul piano teoretico, al realismo.

Dal postmoderno non si passa dunque necessariamente al populismo, a meno che non si voglia sostenere che, per combattere il populismo, occorra la metafisica. Certamente, però, sostenere che una tesi filosofica è accettabile solo se non avvantaggia il populismo (o in generale una determinata politica), o, viceversa, che una teoria della verità forte è da negare e da respingere perché così si toglie un’arma dalle mani del potere, significa seguire un argomento retorico e appunto polemico. Che cade da solo, se non altro perché, se lo si adottasse, si ragionerebbe in modo populistico e/o fideistico, con evidente contraddizione. Alla filosofia, come in generale alla ricerca scientifica, non interessa l’esito etico-politico di una scoperta o di una tesi; non appena si pone un tale problema si esce dalla filosofia e si entra nell’ideologia. L’attribuzione (su quale base poi?) di un certa conseguenza disastrosa a partire da una tesi teorica è una variazione di quella fallacia che Leo Strauss definì con ironia la reductio ad Hitlerum. Oppure, se si preferisce, è una forma tipica della predica: “Bada che se accetti questa tesi, seguirà questa catastrofe”. Sempre e comunque siamo nel populismo.

La discussione su verità e potere (o populismo) era però funzionale, nel dibattito, ad una domanda di fondo: ovvero se l’agire etico-politico progressista non dipenda da una visione forte della verità e se non risulti invece impedito da una filosofia debole. Non è forse, ci si chiede, la filosofia postmoderna, con la sua riduzione dei grandi progetti etico-politici della modernità a meta-racconti, responsabile dell’afflosciarsi della tensione progressista?

Il problema sembrerebbe empirico o culturale. Ma posta sul piano empirico o culturale questa tesi può tranquillamente essere rovesciata: si potrebbe infatti sostenere, a torto o a ragione, che è stata la crisi delle ideologie a determinare l’insorgere del postmodernismo, almeno in una sua declinazione. Qui però interessa la questione filosofica e non quella storico-culturale ed empirica.

In termini filosofici, però, bisogna rilevare che esiste una fortissima tradizione moderna (non postmoderna) che scopre il valore dell’agire etico-politico esattamente a partire dall’abbandono della Verità, ovvero dalla critica della metafisica dell’agire eteronomo. L’autonomia morale kantiana, pur con le sue difficoltà, ha affermato una volta per tutte che la scelta etico-politica è tale solo se è una scelta “autonoma”: la scelta morale è tale in quanto è libera, ovvero non deducibile meccanicamente da una metafisica e dal suo legalismo. Sono le religioni che assumono un sistema di leggi che trasformano l’agire morale in un processo meccanico, da cui la scelta morale è di fatto esclusa. In ultima analisi, l’eteronomia porta alla conseguenza di “annullare” l’agire etico-politico. L’essere/verità, assunto come fondamento della prassi, toglie la libertà, che, come insegnava Kant, è però la ratio essendi della vita morale. Non è per niente evidente, dunque, che la crisi dei fondamenti comporti una crisi della forza dell’agire etico-politico, perché caso mai sembra si possa dire il contrario.

Un aspetto essenziale del dibattito riguarda poi il senso da assegnare alla scienza rispetto all’agire etico-politico. La questione riguarda l’“oggettività” della scienza. Flores d’Arcais osserva, a ragione, che la tesi di Vattimo non dovrebbe inficiare la validità della scienza (e si chiede perché Vattimo non lo riconosca). Egli parla di un’oggettività critica, e l’aggettivo è importante. L’oggettività della scienza non è l’oggettività della metafisica (anche se il senso comune tende a confondere i due concetti). Giustamente, Severino nel suo intervento ricorda la tesi hegeliana sulla certezza. L’oggettività del “certo” non è il “vero”.

La scienza non deve essere confusa con la metafisica, anche se spesso accade il contrario. Hume sapeva benissimo che la scienza è legata a un fondo di scetticismo. Ma non perché egli credesse che l’esperienza ci inganni, bensì, al contrario, proprio perché considerava l’esperienza l’unica fonte di conoscenza. Infatti, se l’esperienza offre solo fatti singolari, individuali, e se essa è l’unica forma di conoscenza, se ne ricava che non possiamo ricavare leggi universali e necessarie che riguardino l’esperienza. L’abitudine, dice Hume, ci porta a supporre una qualche costanza nei fenomeni; ma l’abitudine non è l’esperienza: è, appunto, l’abitudine. Noi vediamo una palla che ne colpisce un’altra e i due movimenti, ma non vediamo il principio di causalità. Questo lo aggiungiamo per abitudine.

Lo scetticismo di Hume è relativo a un concetto di verità che non è quello del senso comune; è la verità che Kant intende ricostruire e che assume come “universale e necessaria” (pour cause riferibile ai fenomeni e non alle cose in sé). Per cui non ha molto senso opporre che “bene o male” ci possiamo fidare dell’esperienza, perché il punto non è questo. Che dell’esperienza ci si possa fidare “bene o male” era un’informazione che era arrivata anche a Hume. E questo per non considerare il fatto che l’attività sperimentale mette, non a caso, continuamente in discussione anche le modalità dell’esperimento e i suoi presupposti (non parliamo poi degli sconvolgimenti che portano nell’”ontologia quotidiana” la fisica quantistica e la teoria della relatività).

Ora, anche senza considerare Hume, il carattere empirico della scienza non dovrebbe scandalizzarci. Ciononostante, non è raro incontrare dei sostenitori della scienza empirica che si dichiarano nemici della metafisica, e che però concepiscono la scienza empirica esattamente nei termini della metafisica.

La rappresentazione epistemologica della scienza oscilla (spesso anche tra gli scienziati, che non necessariamente sono anche filosofi) tra la posizione di Galileo Galilei, che pensava (anche) che il libro del mondo fosse stato scritto da Dio in caratteri matematici (e appunto si è parlato in questo caso di pitagorismo o di platonismo), e le concezioni di Hume o di Ernst Mach o di Karl Popper…

Karl Popper prendeva ad esempio la teoria di Newton come un caso del mito metafisico dell’oggettività della scienza. La meccanica razionale di Newton è infatti un caso di teoria che non descrive (più) il mondo: è una teoria falsa, che la teoria della relatività di Einstein distrugge nei fondamenti. O non presupponeva forse, Newton, un tempo assoluto, che la fisica di Einstein dissolve e manda in soffitta?

Rispetto al dibattito, allora, si deve sottolineare che non è la negazione dei fatti e dell’oggettività dei fatti a mettere in crisi l’oggettività della scienza, perché sono i fatti stessi che, per loro natura, non possono dar luogo a teorie assolute. L’“irrazionalismo” si trova nell’assumere, invece, che l’esperienza possa rivelarci l’essenza del mondo.

L’esperienza trova in se stessa il suo criterio di verifica e l’oggettività non è un fatto tra gli altri. Da questo punto di vista, una questione che si potrebbe sviluppare è se il realismo possa attingere dalla realtà il suo essere realismo, visto che la “realtà” non contiene il realismo. E giustamente Severino rileva nel realismo un presupposto filosofico che non è riconducibile alla fonte del realismo.

Ma il carattere di “falsificabilità” della scienza non significa, come si potrebbe temere, che l’esclusione della “verità” implichi l’impossibilità di escludere che una sciocchezza è una sciocchezza, che un mito è un mito, che un errore è un errore. Esattamente il contrario: altrimenti neanche la scienza sarebbe falsificabile. Anzi, secondo il celebre adagio di Popper, la scienza è tale se è falsificabile. A differenza dei dogmi religiosi, e del populismo, il metodo scientifico (e per la verità anche l’analisi logica) prevede la critica e l’autocritica.

In conclusione, non ho molta simpatia per il postmoderno, ma certo non sarebbe una grande conquista se, con l’“uscita dal postmoderno”, si intendesse un ritorno alla metafisica.

 

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