Argomenti

In difesa della modernità. Il contributo di Paolo Rossi




In difesa della modernità. 

Il contributo di Paolo Rossi

di Giuseppe Gagliano




    Numerosi sono ormai in sede internazionale e nazionale gli studi sulla modernità, termine comprensivo di molteplici accezioni, ma che si vuole qui considerare nel significato di
“età moderna” intesa come quel periodo che da Galileo, da Bacone e da Cartesio in poi ha visto affermare in Europa la conoscenza scientifica come fatto oggettivamente verificabile e universalmente controllabile che ha fugato le tenebrose forme di un sapere ermetico, legato alla metafisica e patrimonio di pochi, proprio dei secoli precedenti.

Tra le prime caratteristiche ritenute peculiari della “modernità” vi sono infatti i profondi cambiamenti introdotti a partire dalla raggiunta età matura del pensiero costituita dalla Rivoluzione scientifica nel modo di concepire la scienza e i suoi metodi, con tutto il carico di conseguenze che ne sono venute per l'intera vita umana. Ebbene, la riflessione portata in essere dallo storico della filosofia e della scienza Paolo Rossi costituisce a nostro avviso un contributo determinante per comprendere la critica reazionaria alla modernità.

Nel suo celebre saggio Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, l’autore delimita dall’inizio il campo d’indagine, affidando ai critici stessi della modernità la sua definizione, non parendogli che si possa effettivamente individuare “l’essenza” della stessa, come vorrebbero alcuni filosofi stretti seguaci di Heidegger, né che la storia degli anni che la conterrebbero sia un blocco unitario, omogeneo, di fatti e di ideologie e trattandosi invece, come per ogni epoca storica, di un poliedrico e pluralistico insieme di eventi.

Questa, dell’asserita unicità di contenuti e di prospettive del mondo moderno, contiene una serie di corollari che ne definiscono il volto come di un moloch di certezze infallibili dominate dalla pretesa della ragione di tutto spiegare e tutto interpretare in maniera oggettivamente e univocamente veridica, senza che venga lasciato il minimo varco a concezioni diversamente fondate e qualitativamente più ricche perché aperte alle esperienze della soggettività.

Il primo bersaglio della critica di Rossi sono i cosiddetti postmoderni, che si sono surrettiziamente chiamati fuori da un periodo che considerano finito in quanto età dell’ordine nomologico della ragione e della ferma credenza in uno sviluppo indefinito del progresso dovuto alla scienza e alla tecnologia, rispetto al quale essi non esprimono dichiarazioni di programma relative al dopo se non per negazione di ciò che esso ha significato. Caustiche le osservazioni in proposito di Rossi,che riporta le espressioni fumose di esponenti del postmodernismo nostrano, per le quali lascia sottintendere che si sia ai limiti di una voluta impenetrabilità che finisce per suscitare con i suoi modi artificiosi e un po’ barocchi l’impressione di un vuoto di significato nel momento in cui, come nel caso di Vattimo, si parla dell’unica possibilità di libertà per l’uomo rappresentata da un “pensiero debole” capace di “un’esperienza fabulizzata della realtà”, in riferimento ben chiaro, per quanto di tono minore, alle affermazioni del francese Lyotard, il primo ad aver teorizzato l’esistenza di un “postmoderno” contrapposto alla modernità come fine delle “grandi narrazioni” metafisiche.

Un trattamento ancora più duro, condotto sempre in punta di fioretto con toni polemici accesi, viene riservato da Rossi a Emanuele Severino, novello “pastore dell’Essere”, seguace o “caricatura” di Heidegger, per usare l’espressione dello stesso Rossi, il quale mette alla berlina il filosofo bresciano con l’accusa di sostenere con toni oracolari e nella convinzione di essere giunto egli solo alla verità ultima teorie astruse sull’abbandono dell’essere parmenideo. A tale abbandono andrebbe attribuita, fin dai tempi platonici, tutta la responsabilità dell’errore in cui si sarebbe messa la civiltà occidentale, rea di aver lasciato “il sentiero del Giorno” per seguire quello “della Notte”, cioè la strada dell’alienazione metafisica e della follia nichilistica che la condurranno inesorabilmente alla caduta finale.

Rossi indaga sui rapporti fra i nuovi “pastori dell’Essere” e il loro maestro Heidegger, rintracciando in lui la vera eminenza grigia del pensiero novecentesco contro la modernità per la sua concezione di tutta la storia dell’Occidente come storia pervasa dal nichilismo e per la nota avversione al pensiero logico-deduttivo di tipo aristotelico, che lo ha portato a prendere posizione contro la scienza e la tecnica in una prospettiva di vero e proprio anti-illuminismo, al quale vanno ricondotte anche altre posizioni di critica e di negazione di quanto di positivo (anche e soprattutto nel senso del termine relativo alla storia delle correnti di pensiero) esse hanno prodotto.

Da Heidegger infatti hanno tratto spunti di riflessione anche i teorici della Scuola di Francoforte, Adorno, Horkheimer, Marcuse, cui si sono rifatti poi a loro volta altre correnti di pensiero e movimenti o singoli pensatori, che si sia trattato delle avanguardie del primo Novecento, dei profeti di certe tematiche mistico-reazionarie, della neoavanguardia attiva nel nostro Paese dagli anni ’60 in poi, dei protagonisti e degli eredi della contestazione studentesca del ’68, fino agli attuali postmoderni e agli antimoderni appartenenti ai gruppi ecologisti.

All’opera del filosofo tedesco hanno infatti attinto secondo Rossi - ed egli è stato tra i primi a coglierne e ad evidenziarne i nessi - sia autori della destra tradizionale, come Julius Evola, Elémire Zolla, Giuseppe Sermonti, sia intellettuali di sinistra, che, anche attraverso il recupero di autori come Nietzsche, il giovane Marx, l’ultimo Husserl, hanno trovato conferme alle loro tesi intorno alla totale corruzione della civiltà occidentale, operando una mescolanza di concetti che ha puntato a scardinarne tutti i valori e i meriti, in primis quello di aver dato vita alla scienza “ borghese”, per niente neutrale come contrabbandato dal pensiero conservatore e invece tutta orientata agli interessi esclusivi del capitale.

Alle critiche del filosofo e storico della scienza non sfugge poi che alle posizioni da “Apocalittici” si uniscono spesso quelle da “Arcadi” desiderosi del ritorno a un mondo incontaminato dalle brutture del sistema. Un nome spicca tra tutti per l’influenza avuta dal suo pensiero sulle generazioni degli anni ’70-‘80, quello di Pier Paolo Pasolini, cui Rossi dedica notevole attenzione unita alla sempre viva sottile vena ironica che dà al suo saggio toni da autentico pamphlet, nutrito però di vaste prospettive argomentative. Il Pasolini che esce dal ritratto che ne fa l’autore di Paragone degli ingegni moderni e postmoderni è quello di un nostalgico di un mondo popolare precapitalistico, se non necessariamente rurale ( ma c’è anche quello tra le testimonianze riportate da Rossi), urbano, nel quale la “grazia” di essere gli ingenui eredi del buon selvaggio, nell’universo tutto particolare del poeta e scrittore, è toccata ai giovani delle periferie, portatori di un’innocenza che non viene invece riconosciuta ad altri, essendo essi ancora incorrotti dal capitale nonché dall’omologazione che esso induce di necessità.

Il tema naturalistico si dimostra insomma, oltre che una riedizione in chiave marxista del mito rousseauiano, un vero e proprio tema ideologico, che può essere assunto contro la società e il sistema come nuovo elemento di contestazione. La questione di quella che Rossi chiama la mescolanza di idee e di fonti ispiratrici fra destra e sinistra occupa un posto di rilievo nella sua riflessione: lo studioso rivendica a sé e a pochi altri autori il merito di averne intuito l’esistenza e di averla portata all’attenzione della comunità intellettuale sin dagli anni’60, quando se ne manifestarono gli indizi, che sarebbero stati clamorosamente confermati dagli esiti del ’68, che portò nell’universo degli autori letti dalla sinistra, accanto a Marx e a Marcuse, anche Nietzsche e Heidegger, oltre ad altri scrittori per tradizione prediletti dalla destra. Secondo Rossi il collante di tale travaso di idee e di motivi, che fu proprio anche della destra apertasi a una rilettura in altra chiave dei suoi autori, fu la comune avversione non tanto o non soltanto per gli aspetti irrazionalisti della modernità, quanto proprio per la modernità in sé stessa, odiata da entrambe le parti in quanto mistificatrice e irrazionale nelle sue manifestazioni, proprio mentre vorrebbe proporre di sé il quadro di una solida razionalità progressiva.

Con il suo Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, uscito nel 1989 ma riedito con l’aggiunta di ulteriori contributi nel 2009, Paolo Rossi s’inserisce nel dibattito corrente sul tema dell’avvicinamento di posizioni e del rimescolamento di tematiche tra destra e sinistra, tra cui quelle importanti della condanna della modernità, del decadimento della civiltà dell’Occidente e della validità della scienza e della tecnica da essa prodotto, con tutto il peso della sua condizione di studioso che ha sempre puntato a metterne a fuoco, accanto agli elementi di forza derivanti dal superamento di un sapere ermetico e fonte di superstizione quale quello prebaconiano e pregalileiano, anche eventuali aspetti critici che si siano manifestati nel corso del tempo, non avendo egli mai concepito la storia della scienza come quella di un continuum privo di incidentalità ed avendo invece rifiutato l’idea di derivazione positivistica di una sua perfetta progressività come manifestazione del logos razionale cui niente e nessuno può opporre ragioni di contrasto.

E’ invece sempre stato convincimento del filosofo allievo di Garin che solo la conoscenza della storia ci garantisce la pratica di una controllata razionalità, da cui sia assente quella totale presunzione di ragione a cui può portare talvolta, con risultati del tutto simili a quelli dei detrattori del sapere scientifico, l’obbedienza acritica a quello sterile e aprioristico “spirito di sistema”, di cui parlava D’Alembert, che gli contrapponeva invece lo “spirito sistematico” basato sui fatti e sulle esperienze concrete, capace di generare nuove forme di conoscenza.

 

Pagina 4 di 38

Feed Filosofia.it

Cerca tra le risorse

AUDIO



Focus

  • Laicità e filosofia Laicità e filosofia
    Che cosa significa essere laici nel nostro Paese, dove forte è l'influenza politica della Chiesa? Grandi personalità del pensiero e della cultura riflettono, per la prima volta insieme, su questa questione...
    vai alla pagina
  • 1
  • 2

_______________________________________________________________________________________________________________________________________________
www.filosofia.it - reg. ISSN 1722 -9782  Tutti i diritti riservati © 2016