Enzo Paci, Il significato del 'Parmenide' nella filosofia di Platone


Questo libro ormai storico di Enzo Paci (1911-1976) - la data di pubblicazione risale al 1938 - merita di essere riletto per due motivi: è un ampio e approfondito contributo, di un giovane studioso, nel panorama delle interpretazioni del pensiero platonico (che aveva conosciuto un notevole sviluppo nei primi decenni del secolo scorso, specie in Germania) ed è un lavoro in cui cominciano a emergere alcuni tratti della peculiare "filosofia della relazione" elaborata da Paci nel corso della sua ricerca filosofica.

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      PREFAZIONE

      "La civiltà europea sempre, nei suoi momenti di più alta tensione, o di potenza o di crisi, ha sentito il bisogno di guardarsi, di valutarsi, e, questa valutazione, non può essere stata che lo sguardo al passato, il ritrovare la profonda sorgente della nostra cultura nella civiltà classica.
Si sa che, prima della guerra mondiale, la scuola di Marburgo ha cercato in Platone la riprova del suo sistema trascendentale. Ma come il pensiero tedesco dal neo-kantismo si mosse verso un nuovo ontologismo, cosi si senti il bisogno di ristudiare il pensiero platonico, di liberarlo dall'interpretazione metodologica del Natorp. Fu Iulius Stenzel che compì questo grande lavoro; attentissimo al pensiero contemporaneo sempre seguì un indirizzo filosofico in ogni ricerca, anche in quelle che sembrano puramente filologiche, e riuscì in tal modo a realizzare il grande ideale dello studioso del pensiero antico: l'unità tra la filosofia e la filologia. Mentre Husserl combatteva per una nuova visione del mondo, riuscendo in fondo ad una teoria delle idee, che rinnova i motivi più profondamente razionali del platonismo, Stenzel sgretolava l'interpretazione natorpiana dell'idea come legge.
Il presente lavoro, in cui si ritrovano i suaccennati motivi, pur mantenendosi nel piano di un'interpretazione storica di Platone, è quindi un lavoro di pensiero, e tale non poteva non essere in quanto tenta di inverare l'interpretazione di Natorp in una più ampia visione del concetto di legge trascendentale e tiene conto sempre, anche là dove non può sembrare, del paziente studio filosofico-filologico dello Stenzel.
Il risultato è un principio antinomico assoluto, la correlatività tra l'uno e il molteplice o tra l'essere e il non essere, assunta come fondamento razionale del platonismo, inteso quest'ultimo non solo come espressione storica ma come ciò che nel pensiero c'è e ci sarà di eternamente platonico.
Non starò qui a difendere anticipatamente i difetti della mia opera: certo un simile tentativo non era facile e spesso la fatica è rimasta nel lavoro troppo visibile e verrà richiesta, conseguentemente, al lettore. La grandezza di Platone non ha nulla da temere dal mio metodo anatomico; tuttavia una tale freddezza era necessaria e solo essa mi ha permesso di ritrovare quell'armonia che per me non è solo base della civiltà classica ma di ogni civiltà e quindi
della stessa civiltà contemporanea.
Tornare a Platone significa ritrovare il fondamento eterno del nostro spirito, l'essenza primordiale dell' europeismo. In due parole è tutto detto: è europea la sintesi creatrice degli opposti, la soluzione positiva di tutte le antinomie, raggiunta senza ridurre la potenza vitale della loro dinamicità.

Io credo dunque al principio dell' antinomia dell'essere, anche se assunto oltre l'orizzonte platonico, come principio base di un vero idealismo, di un idealismo cioè che non si plachi in un cristallizzato e dogmatico ottimismo, ma senta la vita come opposizione e lotta creatrice. Altrove ho tentato e tenterò di chiarire ciò che qui, con Platone, mi sembra porsi come base prima, storicamente e idealmente, del nostro pensiero. Per ora, congedando questo primo lavoro, mi preme indirizzare il lettore verso una meditazione che non credo inutile: il nulla, il non essere, l'opposizione distruggitrice di tutti gli aspetti della vita e del pensiero, hanno invaso e stanno invadendo la filosofia europea. Non chiudiamo gli occhi, ma cerchiamo di « vivere » questa crisi, oltrepassandola, rendendola positiva e creatrice.
Sarà ciò
che di più grande potremo fare se riusciremo, e sarà, in un certo senso, la missione della nostra epoca. Mi si comprende? Non rinunciare a nulla, accettare in noi ogni esperienza, vivere in tutte le opposizioni, svolgere tutti i problemi, seguire tutti i sensi dell'essere che la ragione ci indica. È quello che si fa nel Parmenide. E il Parmenide non è il simbolo della distruzione, non è il crollo del sistema, non è lo
spezzarsi della logica, come vuole la filosofia dell'esistenza (Cfr. K. JASPERS: Philosophie, III. Metaphisik. Berlin, 1932, pag. 46); proprio le sue opposizioni creano la vita stessa del pensiero, il respiro dialettico del vivente, l'eterna legge razionale che supera la morte ad essa opponendo senza tregua la potenza creatrice dello spirito. Si comprenderà il senso dì questo lavoro quando ci si renderà conto che sugli stessi motivi dell' esistenzialismo e della «meditatio mortis» esso tende a fondare la più libera e pura «meditatio vitae»."


Parma, 12 Maggio 1938
Enzo Paci
 

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