La città dei filosofi

Marco Di Branco, La città dei filosofi. Storia di Atene da Marco Aurelio a Giustiniano

Marco Di Branco, La città dei filosofi. Storia di Atene da Marco Aurelio a Giustiniano
Leo Olschki Editore, Firenze, 2006

di Gianluca Miligi

In una veste tipografica sobriamente elegante, nella collana Studi di “Civiltà Veneziana” (Fondazione Cini) edita da Leo S. Olschki Editore, è uscito un bel libro di Marco di Branco dedicato alla città della filosofia per antonomasia, Atene, studiata però in un periodo poco noto della sua lunga vita: infatti il libro in oggetto, La città dei filosofi, specifica nel sottotitolo: Storia di Atene da Marco Aurelio a Giustiniano. Un “dato” preliminare: il volume è corredato, oltre che da una bibliografia di ben 45 pagine, da 24 fotografie di edifici, piantine, manoscritti cui si fa riferimento nel testo. Traspare fin dall’inizio la cura filologica e l’approfondita base documentaria che sostiene la ricerca dell’Autore - studioso ad ampio raggio, esperto di archeologia classica e orientale e fine lettore di opere filosofiche e letterarie. Riportiamo un passo della Prefazione di Giovanni Pugliese Carratelli per un giudizio “prospettico” sul libro: l’Autore «ha ben valutato l’importanza del confronto con la tradizione culturale d’impronta pagana col progredente cristianesimo, e della parte che vi hanno avuta le scuole sofistiche e filosofiche di Atene […]». Aggiungiamo che un altro dei pregi è senza dubbio la chiarezza del giudizio, dato assai rilevante considerato che ci si muove tra moltissime fonti e interpretazioni, antiche e moderne.

Di Branco esordisce con una ricostruzione del ruolo della retorica e della politica fra II e IV secolo d. C., alle soglie, quindi, dell’età tardoantica. Qui s’incontrano, tra le tante, la figura di Filostrato (importante il suo Vitae sophistarum) e quella del più noto Luciano di Samosata, le cui opere «contengono molteplici riferimenti in chiave satirica sia alla storia sia alla realtà contemporanea di Atene». Luciano avversa “l’ingerenza culturale” di Marco Aurelio quale causa del “degrado etico e filosofico di Atene”, città “brulicante di filosofi improvvisati o assetati di ricchezze", veri arrampicatori accademici. Ma la visione lucianea assume anche tratti più benevoli e Atene viene così a rappresentare “il simbolo stesso della paideia ellenica”. Cercando, per ovvia necessità, di evidenziare solo qualche scorcio particolarmente interessante del libro, menzioniamo l’analisi della figura dei neoi, giovani studiosi allievi dei sofisti più famosi, giovani che erano molto attivi - in factiones spesso violente - e “contavano” nella vita politica cittadina. Essi erano sottoposti al nomos attikós, importante insieme di riti iniziatici preliminari all’ingresso nella società ateniese, in particolare nella vita delle scuole. Questo koinos nomos, ovvero il “sistema scolastico” e la tendenza alla violenza «sembrano elementi tipici della realtà ateniese».

Atene è città che nella sua lunga storia ha conosciuto non solo splendide fioriture e agitazioni interne, ma anche aggressioni dall’esterno. Di Branco evidenzia il sacco della città da parte degli Eruli, nel 267 d.C., sulla cui portata però esiste una controversia tra gli studiosi; intorno alla questione egli offre un’accurata disamina delle fonti. Viene conseguentemente indagato il tema della difesa della città e dell’immaginario ad essa legato. In particolare, riguardo l’urbanistica a carattere difensivo, contro le minacce barbariche (tra i più celebri difensori: il proconsole Illirio, lo storico-soldato Dexippo), sono discussi datazione, caratteristiche, iscrizioni della cinta muraria interna della città. L’Autore sottolinea - è un punto di notevole interesse – le “tendenze platonizzanti dei difensori di Atene”. Cosa significa? Che nel III secolo «il platonismo – come gli antichi riti di Eleusi – era iscritto nel “codice genetico” della classe dirigente». Risultano perciò significative le iscrizioni dedicate – tramite l’exemplum mitico di Amfione, filosofo e mago - al costruttore della cinta, Illirio: la difesa e la salvezza dipendono dall’opera di uomini straordinari.

Muta notevolmente, però, lo scenario in un altro momento critico, legato alla discesa di Alarico in terra di Grecia nel 395/6 d.C. (soltanto quindici anni più tardi avverrà il sacco di Roma, 410 d.C.). Il neoplatonismo è ormai permeato da elementi magico-teurgici e «gli Ateniesi hanno perso la fiducia di poter risolvere i propri problemi senza un intervento soprannaturale; così si fa appello alle figure di Atena, custode ancestrale della città, e di Achille, guerriero invincibile e grande teurgo» (p. 98). La diversità delle situazioni può essere misurata, ci suggerisce acutamente l’Autore, su un piano filosofico nel confronto-differenza tra le concezioni di Porfirio e di Proclo: ancora scetticamente plotiniana la prima, pensiero teurgico che postula un potere più elevato dell’umana sapienza, la seconda. Ma anche politicamente: di fronte agli Eruli c’era una polis, nelle sue componenti interne, sostanzialmente unita contro il nemico. Di fronte ad Alarico c’è invece una città frammentata, un’élite pagana e una compagine magico-teurgica passive rispetto agli eventi.

In generale, nell’Atene tra la fine del IV e l’inizio del V secolo d.C., quella di Giamblico II, evergete, “benefattore”, e filosofo neoplatonico, e Nestorio, ierofante di Eleusi, si delinea una situazione di maggiore complessità (rispetto al III sec.). Interviene la diffusione di pratiche teurgiche (sostenute dall’imperatore Giuliano) e le autorità cittadine «sembrano ora distaccate dal milieu neoplatonico paganeggiante». L’Autore dispiega un quadro d’insieme denso di implicazioni: la frattura all’interno della classe dirigente cittadina deve ricondursi – viene detto con chiarezza - «al primo emergere del conflitto fra paganesimo e cristianesimo, che in Atene assume forme piuttosto movimentate, con una serie di spinte e controspinte che per almeno due secoli fanno prevalere ora l’una ora l’altra tendenza» (p. 92).
Anche l’imperatore Giuliano ha legato la sua straordinaria storia ad Atene, in un breve soggiorno che pure ha segnato la sua personalità e la sua azione politica e religiosa. Di Branco sostiene che lo stesso Giuliano illumina un “tratto inaspettato” della politica del suo predecessore Costantino: l’interesse verso Atene, concretizzatosi in distribuzione gratuite di grano e in misure a garanzia dei privilegi dei professori, provvedimento «molto apprezzato dai numerosi sofisti e filosofi che ad Atene si guadagnavano da vivere con l’insegnamento». È corretto quindi, a giudizio dell’Autore, parlare di un ottimo rapporto di Costantino con l’élite pagana ateniese alla luce del comune ideale della civilitas”, sul cui solco s’innesterà l’atteggiamento filoateniese dell’“Apostata”. Il distacco ideale di Giuliano dalla città, dai contemplativi “giardini di Atene”, avviene dopo l’assunzione dell’impero, con l’immergersi nella prassi politica di governo: è ormai Antiochia (scelta come nuova capitale imperiale) il centro dei suoi interessi.

Si giunge poi a quello che possiamo per molti versi considerare il cuore del libro, al capitolo IV dedicato a scandagliare “Filosofia e politica ad Atene da Plutarco a Damascio”. Di Branco attacca il pregiudizio che postula una sostanziale continuità delle grandi scuole filosofiche dall’Ellenismo alla tarda antichità. La Scuola neoplatonica “si cristallizza” solo fra IV e V secolo e peraltro non sul luogo ove sorgeva l’Accademia. La sua fondazione cade in un periodo di crisi della polis, per l’affermarsi del cristianesimo come “religione ufficiale” del ceto dirigente - e per i conseguenti rivolgimenti gerarchici nella struttura di potere -, che segna l’età dell’imperatore Teodosio II (401-450 d.C.). L’Autore descrive molto dettagliatamente la linea di successione dei filosofi alla guida della Scuola. È in coincidenza con lo scolarcato di Proclo (437/8-485 d.C) che si verifica un periodo di grandi trasformazioni sul piano economico, politico e religioso: intorno alla meta del secolo V, esso sfocia in una “crisi profonda e irreversibile”, anche nell’assetto urbanistico della polis. Quindi il fattore decisivo non sarebbe un evento bensì l’evoluzione economica, cui si somma la questione religiosa contraddistinta dalle “misure antipagane” di Teodosio (contro la cosiddetta réligion traditionelle, il cui centro di diffusione era rappresentato dalla Scuola neoplatonica).

Date le coordinate del contesto, Di Branco disamina ampiamente la figura di Proclo (con l’ausilio della Vita Procli di Marino) e l’azione culturale della Scuola neoplatonica. Di rilievo l’istituzione, in un clima mistico, di “luoghi filosofici” simbolici consacrati ai padri fondatori del platonismo, tra cui il Sokrateion. Si sottolinea che Proclo era capace di insegnare non solo con le parole, ma anche mettendo in pratica le proprie teorie, con un impegno politico guidato dalla “virtù” della parresía (importante concetto indagato, ricordiamo, anche nel libro Discorso e verità di Michel Foucault). Per Di Branco si può affermare che «Proclo e i suoi allievi si configurano come un vero e proprio gruppo di potere parallelo all’interno della polis» - che recupera prospettive delle comunità pitagoriche -, in sotterraneo scontro contro la classe dirigente ateniese, scontro, appunto, politico e solo superficialmente religioso.
Ma anche questo si verifica ad Atene, tra cristiani e pagani. Il primo atto di intolleranza cristiana contro i luoghi di culto di quest’ultimi è la devastazione del santuario di Asclepio (piccola nota: al termine “santuario”, considerata l’etimologia, è preferibile quello di “tempio”). La Scuola neoplatonica godeva del sostegno di Teagene, leader politico, “forse l’uomo più eminente di tutto l’impero romano”, secondo Damascio. A questo autore si devono testimonianze (Vita Isidori) utili per quel “problema fondamentale”, così definito da Di Branco, concernente la stessa struttura dello scolarcato neoplatonico (si veda, p.e., la figura del diadochos e l’opera di Siriano).

Per quanto riguarda invece il processo di cristianizzazione di Atene, che parte dagli anni ’20 del secolo V d.C., l’Autore giudica attendibili le testimonianze degli Acta degli Apostoli e dell’Historia ecclesiastica di Eusebio: la predicazione paolina all’Areopago appare veridica proprio per il fatto che è la narrazione di un “fallimento”. Ed è importante - come viene puntualmente fatto - stabilire che certamente non a caso l’apologetica cristiana nasce proprio ad Atene, in una realtà “tutta permeata di cultura filosofica e retorica”. E inoltre che il suddetto processo è messo sì in atto dal potere centrale, ma “presuppone un sostegno diretto in loco”. Segue un “dato piuttosto evidente”: almeno fino alla fine dell’età teodosiana, tra cristiani e pagani non vi è uno scontro aperto ma piuttosto sotterraneo.

Ancora un cambiamento di scenario avviene con l’imperatore Giustiniano, la cui ostilità verso Atene è esplicita e si rende manifesta anche con il celebre editto, del 529 d.C., che impone la chiusura della Scuola neoplatonica ateniese. Cosa ci dice l’Autore su questo editto intorno a cui tanto si è scritto e dibattuto? Due cose, al solito precise: che per i suoi effetti va considerato un momento-chiave in generale per la storia del pensiero occidentale, e che “ancora una volta” l’elemento fondamentale è quello politico, in concreto, la tutela dell’ordine pubblico. Puntuale l’ulteriore chiarificazione: obiettivo dell’autorità imperiale è colpire il pericoloso connubio tra riflessione giuridico-politica dei neoplatonici e la corrente fortemente riformatrice, al limite del rivoluzionario, del cosiddetto “comunismo mazdakita” d’origine persiana. Per concludere: quali sono stati invece gli effetti dell’editto giustinianeo? «Atene cessa di essere una polis per divenire a tutti gli effetti una città bizantina».
Chiude il pregevole volume un’Appendice su ‘Atene immaginaria’ nella letteratura bizantina, ossia un’indagine “sui modi in cui la cultura bizantina guardava alla città di Teseo”: in essa s’intrecciano, originalmente, agiografia, teosofia e analisi delle Mirabilia urbis Athenarum. E da questi testi, in particolare, deriva un rilevante contributo per «chiarire ulteriormente i termini della fondamentale opposizione tra Atene e Gerusalemme, fra filosofia greca e filosofia cristiana».

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