Divieni ciò che sei

Friedrich Nietzsche, Divieni ciò che sei

Friedrich Nietzsche, Divieni ciò che sei
a cura di Mirella Carbone e Joachim Jung
Christian Marinotti edizioni, Milano, 2006

di Luca Viglialoro

"Divieni ciò che sei" è un’esortazione che Nietzsche riprende da Pindaro per lanciare un messaggio intimo e universale: il fondamento del nostro io, all’apparenza preordinato da sistemi ereditari, è in continuo cambiamento. Il compito che viene affidato ad ogni individuo è la creazione di una personalità sempre alla ricerca di una soluzione adatta al conflitto tra natura e cultura. Questo verso di Pindaro, dunque, non impone affatto una prospettiva rigida e unilaterale alla nostra esistenza, anzi, invita con forza alla crescita e alla trasformazione dei propri stati, in piena libertà di assunzioni. In breve potremmo dire che il mondo in cui siamo è anche quello che ci diamo.
Il testo che la curatrice, Mirella Carbone, ci offre, è un collage di frammenti di diverse opere nietzschane, ordinati con raro rigore logico e perizia. Il percorso si allarga intorno al concetto di ‘dietetica’ “intesa da Nietzsche nel significato greco originario, come “arte del vivere sano” nella molteplicità dei suoi aspetti.”(Prefazione, p.10). Il programma che viene esposto non è, tuttavia, da intendersi in maniera restrittiva come un insieme di regole la cui applicazione conduce alla felicità, bensì come una genealogia degli errori e delle idee morali. Il ruolo critico giunge alla sua efficacia solo se si arriva a “considerare se stessi come una grandezza variabile, la cui capacità produttiva in circostanze favorevoli potrebbe raggiungere i livelli più alti” (p.52, da Aurora, fr.326).
In maniera piuttosto curiosa, Nietzsche raccoglie pensieri su come l’uomo dovrebbe alimentarsi o passeggiare per mantenere la lucidità adatta ai suoi scopi, e riflette inoltre sulle potenzialità che si aprono dallo stato di infermità fisica. Non è un mistero, infatti, che dopo che gli venne diagnosticata una miopia molto forte, cominciò anche manifestare le prime avvisaglie di una gastrite, che lo accompagnerà dagli anni ’70 sino alla fine, insieme ad alcuni mal di testa lancinanti. Nel 1875, disturbi del linguaggio, crampi e paralisi temporanee lo obbligheranno, a soli trentacinque anni, ad abbandonare la carriera universitaria; ma è dell’89 il crollo fisico -- causato, come sembra sostenere la studiosa Pia Volz, da un’infezione sifilitica -- che gli impedirà di dare continuità ai suoi scritti.
Il fallimento della medicina ufficiale per i suoi problemi, lo porterà a tentare delle cure da solo – ‘posso essere io stesso il mio medico’ – e lo convincerà che la salute non è certo un punto di arrivo, o tanto meno il contrario della malattia, quanto il compito di autoricerca e autocomprensione, che non ha mai fine. La cura non si applica mai ad un ‘paziente passivo’, ma deve rispondere ad un incessante necessità di equilibrio rispetto alle variabili, cui il soggetto è sottoposto. In questa possiamo riconoscere quel atteggiamento di prudente diffidenza verso il positivismo (la cui crisi Nietzsche visse del tutto), che considerava (e praticava) idee sulla ‘salute in sé’ o sullo ‘stato normale di salute’: “Certo non possiamo definirli [gli scienziati] nature ‘armoniose’: solo starnazzano molto più di prima, poiché depongono più uova: queste uova tuttavia sono diventate sempre più piccole (sebbene i libri si facciano sempre più voluminosi)” (p.79, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, fr.7).
La malattia, perciò, è un potente stimolo ‘solo si è abbastanza sani per esso’, in quanto rappresenta la possibilità di chi dispera di ogni ulteriore aiuto esterno, e con coraggio riorganizza nuovi schemi per la sua esistenza. La scienza contemporanea si sottomette al fatto nudo secondo un inflessibile naturalismo e una nuova teoria della predestinazione, di impianto fisiologico. Il valore degli eventi, per Nietzsche, deve sempre e di nuovo misurarsi con le valutazione e le proiezioni intenzionali individuali, che non hanno mai riscontro preliminare in datis. Le cognizioni di scienze naturali sono utili a Nietzsche per due ragioni: attaccare una tradizione filosofica ancora schiava della metafisica; rivendicare un primato della corporeità in luogo dell’interpretazione di un soggetto, come ricorda bene la curatrice Mirella Carbone nella Prefazione, la cui filosofia “risulterebbe piuttosto strettamente dipendente dalle condizioni fisiologiche” (p.15). “La chimica dei sentimenti” non è tuttavia un ribaltamento del tradizionale riduzionismo spiritualista, in favore di un riduzionismo biofisico, ma un tentativo di riconnettere la dimensione del senso e della sensualità, all’interno dei sistemi filosofici (pseudo) obiettivi, che vanno da Platone in poi.
‘Sophos’ e ‘sapiens’, come Nietsche ricorda, non significano ‘erudito’ o ‘dotto’, ma ‘chi è dotato di gusto’, quindi la filosofia, per rimettersi in piedi, deve pensare nuovi orizzonti di senso e provare il gusto di una ‘dieta’ più varia.

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