Il monoteismo

 

 

Friedrich W. J. Schelling, Il monoteismo, a cura di Leonardo Lotito
Mursia, Milano, 2002

di Caterina Arca

Il monoteismo di Schelling è forse una delle opere più complesse della storia della filosofia. Ci sentiamo di iniziare così perché è forse giusto mettere in chiaro questo punto sin da subito. L'opera, a dispetto dell'ingannevole numero esiguo di pagine, non è certo di facile lettura ed è praticamente inaccessibile a chi si muove ancora con poca dimestichezza con gli strumenti della metafisica e dell'ontologia, cioè del filosofare (complice anche la sua tortuosa struttura). E se è vero che per quanto riguarda la decifrazione testuale la Fenomenologia dello Spirito hegeliana rimane ancora il testo più arduo del pensiero occidentale, per quanto riguarda la complessità teoretica delle sei lezioni monacensi che lo costituiscono, Der Monotheimus può ben gareggiare con le più alte vette di tale pensiero forse al pari solo dell'altro capolavoro hegeliano e cioè la Scienza della Logica. Anzi ci sentiamo di poter affermare che il testo schellinghiano spinge il pensiero anche oltre ai quasi irraggiungibili limiti della metafisica generale del teologo di Stoccarda. Dobbiamo ammettere che dopo i tentennamenti iniziali, dovuti anche all'arrugginirsi (in tempo di cosiddetta "postmodernità sofistico/decostruzionista") del nostro armamentario concettuale classico, la "sfida" teoretica del testo di Schelling è stata quasi destante, a tratti inebriante. Ed è così che riscopriamo che, in un tempo dove autorevolmente ci si chiede: "esiste un dio?", il pensiero dei classici non solo ci insegna sempre qualcosa di nuovo, ma in fondo ci deride, smascherando le nostre semplificazioni se non addirittura le nostre confusioni logiche e terminologiche (come potrebbe essere nel caso di affermazioni che sostengano l'esistenza logico/ontologica - non storico/antropologica!! - di monoteismi, al plurale! ) .
È con un senso di gratitudine quindi che accogliamo la pubblicazione della Mursia e il lavoro certo faticoso svolto da Leonardo Lotito, anche per avere finalmente colmato con la presente traduzione una lacuna nel panorama filosofico che francamente ci è sempre sembrata assurda. E' come se la dolorosa scomparsa del grande mecenate schellinghiano Luigi Pareyson avesse arrestato, tranne rari casi (tra cui la pubblicazione della Filosofia della Mitologia proprio per i tipi della Mursia all'inizio degli anni novanta, e che i più attenti ricorderanno iniziare enigmaticamente dalla settima lezione proprio perché nel volume originale le prime sei erano costituite dal corpus chiamato Il monoteismo), l'interesse per l'ultimo e il penultimo Schelling, riattivando un interesse per il giovane che però forse involontariamente sapeva troppo di ritorno all'idea di uno Schelling fondamentale sì, ma in fondo solo come stazione verso Hegel). Il testo che presentiamo risale al periodo monacense della vita accademica schellinghiana, quello compreso tra il 1827-1841; il corso fu tenuto la prima volta nel 1828 e fu più volte ripreso e infine anche abbandonato per ulteriori stesure ed elaborazioni. Questo periodo coincide con il grande ritorno di Schelling sulla scena filosofica dopo gli anni dell'esilio e del cammino solitario succeduti alla morte di Caroline e alla polemica antijacobiana del 1811. Ed è proprio questo il periodo teoreticamente più vulcanico della speculazione schellinghiana almeno dai tempi della filosofia dell'identità dei primi anni del secolo, nonché rappresenta il periodo più felice dopo molti anni. In questo ambiente Schelling rielabora il suo pensiero ed edifica così l'imponente cantiere della filosofia negativo/positiva. È nostra convinzione che il successivo abbandono del testo in favore di altre rielaborazioni non scalfisca di una virgola l'esplosivo potenziale in esso contenuto, e questo perché della filosofia negativa (la parte della partizione filosofica di cui Il monoteismo fa parte) ogni stesura successiva della parte filosofico-negativa dell'edificio speculativo schellinghiano non lo ha mai soddisfatto pienamente come il testo del '27-'28. Neanche all'ultima fondamentale stesura, nota come Esposizione della filosofia razionale pura e scritta nella seconda metà degli anni quaranta, Schelling diede l'imprimatur definitivo lasciandola anch'essa in fondo allo stato di abbozzo. Inoltre c'è da notare che la lettura del Monoteismo risulta essere rispetto alle successive rielaborazioni forse meno sottile e raffinata in molti passaggi, ma certamente più semplice ed equilibrata oltre che chiara. Il tema esplicito del corso o almeno il suo punto di partenza è "cosa significa monoteismo?", "cosa intendiamo quando pensiamo al concetto di monoteismo?", ma esso certo non si ferma qui e si impianta proprio nelle grandi domande della filosofia negativo/positiva di Schelling: quali sono le possibilità di pensare l'essere al di là del pensiero? Come è possibile portare a conoscenza il positivo che è altro dalla ragione? Come entra l'essere sovraessenziale in filosofia? Ma in fondo questi sono solo i temi generali in cui la ricerca schellinghiana si inserisce e le questioni affrontate sono innumerevoli: in essa possiamo ritrovare tutte le grandi questioni che costituiscono la ricerca metafisico/ontologica. Storicamente non crediamo esagerato ritenere Der Monotheismus come una classica, seppur radicale, forma di metafisica generale e/o ontologia (filosofia negativa, cioè astratta sia dall'effettività fisica e storica, sia dalle verità teologiche rivelate; una filosofia chiusa nel puro ambito del concetto) almeno per come essa si è andata configurando dal XIV secolo (prima di Avicenna/Duns Scoto la metafisica come scienza dell'essere in quanto concetto ancora non esisteva). Der Monotheismus nell'edificio speculativo schellinghiano è proprio quel modello metafisico che precriticamente si era soliti chiamare metafisica generale/ontologia, così come la parte positiva della filosofia schellinghiana (mitologia/rivelazione) sembra rispecchiare quella che precriticamente si chiamava metafisica speciale/teologia. La distinzione schellinghiana tra filosofia positiva e negativa si rispecchia in quella tra metafisica generale (ontologia) e metafisica speciale (teologia): Il monoteismo è proprio quella scienza dei Principî (astratti) che era l'ontologia classica, così come la filosofia della mitologia/rivelazione è quella scienza pratica(storica) che è la teologia (con la variante postcritica che in Schelling, dato il veto kantiano, essa assume il nome di religione filosofica). Rilevare questa corrispondenza (che non significa affatto identificazione o mera ripetizione) ci permette di cogliere che forse la vexata quaestio del rapporto di unità-distinzione tra filosofia negativa e filosofia positiva, del loro limite e/o confine, del rimanere in fondo la filosofia positiva sempre imbrigliata nel negativo e che quindi per questo viene a negarsi come positiva potrebbe derivare anche dal storico mantenersi di questo legame con la vecchia metafisica dove la teologia veniva alla fine negata dall'ontologia che, proprio essendo generale, diveniva così anche più fondamentale della stessa teologia: così come Dio stesso sottostava all'ens communis che lo costituiva al pari degli altri enti, così la filosofia positiva non poteva che sottostare al concetto (filosofia negativa) per potersi dare filosoficamente. In questo senso Der Monotheismus è storicamente dentro la tradizione metafisica, ma teoreticamente non del tutto: la costruzione di una inedita ontologia trinitaria (diversa da quella hegeliana e semmai vicina a quella del Cusano), la ricerca di un principio sovraessenziale (tentativo questo di sfuggire proprio ad alcuni problemi dell'ontologia classica), l'esoterica dottrina delle potenze (che in fondo potrebbe dirsi non erroneamente dottrina le categorie modali, cioè i possibili necessità, esistenza e possibilità di cui solo Dio, per l'appunto, può esserne l'unione totale) e una dialettica dell'esclusione (l'antidialettica hegeliana) svelano una tensione forse irrisolta proprio con la tradizione metafisica moderna (e antica) di cui crediamo che Schelling sia interprete tra i più sopraffini (il confronto-dialogo ancora sostanzialmente inesplorato che proprio in questo periodo Schelling instaura con Aristotele e tra i vertici della sua filosofia) e traditore tra i più azzardati. Potremmo continuare ancora, ma tentare di riassumere tutte le complesse questioni filosofiche che emergono dal questo capolavoro sarebbe stupido oltre che inutile. La speranza ovviamente è che ci si appassioni a questa gemma del pensiero metafisico e/o ontologico. Se ci sono permesse anche alcune critiche allora possiamo dire che l'unica pecca di questa edizione italiana è rappresentata dall'inspiegabile mancanza di apparati critici i quali crediamo assolutamente necessari per un'opera di tale complessità e importanza (soprattutto alla sua prima pubblicazione in italiano). Su questo era certo legittimo aspettarsi qualcosa di più. Nonostante ciò, ci possiamo permettere di darvi un consiglio? Gettatevi in questo mare in tempesta, siamo certi che Il monoteismo di Schelling valga questo rischio. Ma nella lettura fate attenzione a non farvi irretire dalla compagnia dei funamboli del pensiero cosiddetto postmoderno. Sarebbe come osservare un fiume di sangue insieme ad un branco di vampiri.

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