Incontri con la storia
Corrado Vivanti, Incontri con la storia, a cura di Miguel Gotor e Gabriele Pedullà
Edizioni SEAM, Formello (Rm), 2001
di Andrea Guidi
Nel corso di una lunga e prolifica carriera Corrado Vivanti ha pubblicato numerosi articoli su varie riviste. Oggi, questi testi, altrimenti di difficile reperibilità, sono riuniti in un unico volume che compendia quasi cinquanta anni di studi e di ricerca. Non a caso, io credo, e ben facendo, i curatori del libro - Miguel Gotor e Gabriele Pedullà - hanno inserito, ad apertura di questa rassegna, l'articolo Come è nata la Storia d'Italia Einaudi scritto in occasione della laurea honoris causa del grande amico e collega nella grande impresa editoriale di Einaudi Ruggiero Romano (originariamente in Ruggiero Romano, L'Italia, l'Europa, l'America. Studi e contributi in occasione della laurea honoris causa, a cura di A. Filippi, Università di Camerino 1999, pp. 181-187). In esso, infatti, vengono ben delineati i caratteri dell'azione coordinatrice svolta da Vivanti nell'ultimo quarantennio di vita culturale italiana. La puntuale e minuziosa ricostruzione dell'ideazione della grande impresa editoriale della Storia d'Italia Einaudi - di cui Corrado Vivanti, appunto, insieme a Ruggiero Romano, fu coordinatore e curatore - ci consente di capire con chiarezza la funzione di coordinamento e di organizzazione da egli svolta per attrarre nella nascente opera tutte le tendenze fondamentali della storiografia europea. Il ricordo degli incontri con Hobsbawm, Momigliano, ed altri grandi storici, qui contenuto, ci illustra la volontà di inserire tutte quelle voci all'interno dell'allora nascente progetto. Dal "marxismo rigoroso", come lo definisce Aymard nell'introduzione, di Hobsbawm - la cui teoria di storia sociale risultò fondamentale nella maturazione di una propria via storiografica per Vivanti -; passando per la ben presente lezione di Cantimori in cui si assimilava e metabolizzava il marxismo stesso per edulcorarne la prospettiva svuotandolo dal suo essere "filosofia" per trarne, nella sua essenzialità, "una forma di storicismo 'sempre volto a qualificazioni, definizioni specifiche', e sempre alieno da affermazioni generali di principio, valide in assoluto" - come ricorda lo stesso Vivanti in uno degli articoli più importanti presenti nel volume: Le approssimazioni al marxismo di Cantimori, p. 533 -; fino ad arrivare alle nuove idee della storiografia francese conosciuta ai tempi della frequenza delle lezioni di Braudel alla VI Section dell'Ecole Pratique des Hautes Etudes. Tutti questi elementi ed altri ancora - si scopre leggendo queste pagine - entrano nel progetto di Storia d'Italia provocando una "breccia" non piccola nel panorama della storiografia italiana dell'epoca (p. 10) con un'opera che veniva ad accentuare i "caratteri particolari" facendoli confluire in una storia nazionale. E' questa la grande intuizione di Vivanti della storia italiana vista come una "piramide rovesciata […] dove il più remoto passato sia compresso quantitativamente e via via la narrazione si dilati, giungendo ai tempi più vicini"(p. 5).
Nei primi articoli mantovani possiamo cogliere l'attenzione dell'autore per il filone storiografico della storia dei prezzi (I prezzi di alcuni prodotti agricoli a Mantova nella seconda metà del XVIII secolo). Filone incrementato dai lavori di Ernest Labrousse e al quale si ricollegò per qualche tempo anche Ruggiero Romano - direttore della Maison d'Italia alla Ecole Pratique des Hautes Etudes al tempo in cui Corrado Vivanti ne era studente - che, come dice in nota lo stesso Vivanti, fornì alcune utili indicazioni per indirizzare il lavoro in questa direzione. In questi articoli l'analisi socio-economica dei prezzi della canapa o del vino, del grano o del mais nella campagna mantovana del XVIII secolo si unisce e si sposa con una sincera curiosità per la storia locale della terra natia.
Tuttavia, l'evoluzione della teoria storiografica del Vivanti è ben evidenziata dallo scorrere delle pagine del libro. Difatti, il timbro storiografico prettamente italiano della formazione culturale dell'autore è chiaramente delineato nella sezione seguente, denominata Politica e umanesimo nel "lungo Cinquecento" italiano, in cui l'interesse per l'evoluzione degli studi storici europei si miscela con la tradizione della ricerca erudita nel nostro paese. In particolar modo i più recenti studi su Machiavelli dimostrano come egli abbia saputo continuare il lavoro di grandi storici come Federico Chabod tesi ad illuminare soprattutto l'uomo Machiavelli, il Segretario fiorentino, coniugandolo e integrandolo con la grande tradizione storiografica interpretativa del pensiero machiavelliano. Nel breve ma significativo articolo Chabod e Machiavelli dedicato al grande studioso - del quale, pur essendo inserito in una sezione diversa da quella qui in esame, ci pare utile trattare in questo contesto - Vivanti ricorda come "il saggio di Chabod sembrò un atto di liberazione. Il Principe era riportato al suo tempo e commisurato alla realtà politica d'allora, era privato della sua conclamata attualità per il secolo XX" (p. 582). Tracciando alcune linee essenziali di storia della storiografia del Novecento italiano, dunque egli mette in luce come Chabod seppe - seguendo lo stesso sentiero di Benedetto Croce - ricollocare l'opera di Machiavelli nel suo tempo. Questa "attualizzazione" del pensiero machiavelliano (p.583) però, come ho accennato, va di pari passo, nel pensiero di Chabod e nelle soluzioni storiografiche interpretative tracciate sul suo stesso solco dallo storico mantovano, con la riscoperta della "umanità" del Segretario Fiorentino. Non il "freddo teorico", il "tecnico della politica", ma l'uomo che "conosceva a fondo le tempeste e le vicissitudini drammatiche del suo tempo" (p. 593). Insomma, quello che emerge dalle pagine degli articoli sul grande pensatore del Cinquecento non è solo la rinnovata tradizione di un attento studio filologico innestato nella tradizione degli studi storici italiani, ma anche la figura del funzionario impegnato nel lavoro di Cancelleria e dell'uomo intento a trastullarsi o a discettare di politica con i propri amici (Le amicizie di Machiavelli) che matura le grandi opere politiche proprio "vivendo" appieno quell'ambiente. Questi i tratti fondamentali della storiografia di Vivanti enucleati negli articoli di questa sezione, il fondamentale contributo da lui apportato agli studi sul pensatore fiorentino.
La parte dedicata alla Politica e storiografia francese in età moderna ci palesa ancor più chiaramente come l'attenzione di Vivanti non si sia limitata alla tradizione italiana, ma, bensì, si sia arricchita della contemporanea evoluzione degli studi storici in Francia. L'impronta di Febvre e Braudel è evidenziata dagli argomenti affrontati negli articoli contenuti in questa sezione. Emblematico, a tal proposito, è il saggio Alle origini dell'idea di civiltà. Le scoperte geografiche e gli scritti di Henri de la Popelinière. In esso l'interesse per il concetto di civilisation sviluppa gli studi di Lucien Febvre sull'argomento. Svincolando il termine "civiltà" dal problema prettamente semantico, Vivanti contribuisce ad arricchire la storiografia italiana allargandone la ricerca ad un orizzonte più vasto. Infatti, la disamina dell'opera di Henri de la Popelinière si nutre dell'allargamento della prospettiva storica mediante lo studio della geografia storica; o la cosiddetta "geostoria" come amava dire il suo ideatore Fernand Braudel. Nell'opera dello stesso Henri de la Popelinière si può cogliere - naturalmente con le debite proporzioni - proprio questo tipo di allargamento degli orizzonti storici ad altre branche del sapere (p. 235). L'interesse dello storico francese della fine del Cinquecento è nettamente orientato verso l'analisi delle nuove prospettive politico-economiche apertesi con la scoperta del nuovo continente americano. Le trois mondes "opera di geografia e insieme di storia ci mostra […] il suo ardore per la ricerca, il suo entusiasmo di conoscere il mondo, vasto, affascinante, ignoto e ricco" (p. 242). Vivanti mette in luce come questi interessi arricchiscano in qualche modo la tradizionale storiografia umanistica proprio per la loro particolarità rispetto al modello corrente. Egli matura "una coscienza storica sempre più vivace […] una visione del mondo […] tesa nello sforzo di raggiungere, attraverso un'elaborazione dinamica dei dati raccolti e un vasto articolarsi di congetture felici, una comprensione più approfondita della realtà", (p. 245). La storia di Henri de la Popelinière non supera totalmente i vincoli della storiografia umanistica, ma certamente la arricchisce. Per lui la storia deve avere "una costruzione razionale e, oltre alla verità, l'ordine, la scelta critica dei fatti, la distinzione dei tempi e dei luoghi". Sono concetti che in parte anticipano le successive conquiste della storiografia; rimasti, appunto, per molto tempo estranei agli interessi dei suoi contemporanei.
La sezione dedicata alla Storia degli ebrei e storia d'Italia ci mostra l'importanza avuta da Vivanti nello sviluppare gli studi dedicati al popolo ebraico. Come si evince dall'articolo Storia degli ebrei italiani e storia d'Italia tratto dalla rivista "Studi storici", 31, 1990, giusto scopo dell'autore è quello di inserire la disamina della storia degli ebrei italiani ben a fondo nella storia d'Italia e della cultura italiana inserendola in una "storia generale" che tenga conto, tuttavia, delle diverse sfaccettature della società. Ad esempio, quando ricorda l'adesione sincera e appassionata degli ebrei italiani ai valori e agli ideali del Risorgimento, identificato con la garanzia stessa dei loro diritti (p. 412). Una storia del popolo ebraico - quella delineata negli articoli di Vivanti - che serva da memoria collettiva di un popolo, e che non perda mai di vista la denuncia del pregiudizio razziale: "le intolleranze - ha osservato Primo Levi - e in specie l'intolleranza razziale, […] sono dei fenomeni a molte facce, come tutto quello che riguarda l'uomo, la sua mente, la sua storia. Ma il pregiudizio razziale gli appariva 'qualcosa di poco umano' […] 'se la storia della civiltà ha un senso, dovrebbe essere proprio quello di rendere gli uomini umani'" (p. 461).
Fondamentale per capire il taglio storiografico dell'autore appare la sezione conclusiva del libro, denominata Storici e storia. In essa si affrontano varie questioni, tra cui quella fondamentale, già citata, in cui Vivanti conduce un'attenta riflessione sulla posizione di Cantimori nei confronti del marxismo (Le approssimazioni al marxismo di Cantimori). Con un fitto tessuto di annotazioni sulle lezioni universitarie di Cantimori, una attenta analisi dei suoi scritti e del contesto storico con cui si trovò ad interagire nella sua "vita" di intellettuale - come la sua partecipazione all'elaborazione di una politica culturale comunista (p. 491) - egli purifica di tutte le scorie la sua posizione storiografica ricordando che certo è indubitabile l'adesione di Cantimori al partito comunista, ma altro è il suo interesse per l'opera di Marx e il marxismo (p. 517). In particolare, lo scritto mette in risalto il principio adottato da Cantimori secondo il quale lo storicismo marxista, liberato dalle sovrastrutture di una filosofia della storia, mostra la sua validità come metodo d'indagine storica "applicato con continua autocritica o autostoricizzazione".
Altrettanto, se non maggiormente importante, sembra il breve resoconto dell'intervento di Vivanti ad un convegno intitolato Braudel e l'Italia tenutosi a Prato nel 1988, in cui l'autore nella disamina della teoria storiografica di Braudel chiarisce anche alcuni punti relativi al suo proprio modo di fare storia (Editoria e storiografia nell'opera di Braudel). Prima di tutto, Vivanti spiega come l'opera dell'illustre storico francese abbia influenzato la storiografia italiana soprattutto nel corso degli anni sessanta del Novecento. "Mi pare incontestabile - scrive - che le 'Annales' (per lungo tempo dirette da Braudel), fra tutte le riviste di carattere storiografico pubblicate negli ultimi decenni, abbiano, più di ogni altra, influito sulla ricerca italiana in profondità" (p. 606). E, soggiunge poco più avanti confessando il suo debito formativo nei confronti del grande storico francese, "noi che abbiamo avuto la fortuna di seguire i suoi seminari e i suoi corsi, abbiamo fatto tutti l'esperienza di esposizioni di ricerche specifiche compiute in quella sede [la VI Section dell'Ecole Pratique des Hautes Etudes]" (p. 607). Seppur ricordando alcuni casi in cui comparve fra loro una certa disparità di vedute - in particolar modo sulla consistenza della decadenza italiana tra fine Cinquecento e Seicento (p. 612) - Vivanti mette bene in luce l'insegnamento di Braudel relativo ad una storia sempre di carattere generale, che tratti i "grandi problemi storici della vita degli uomini […] nelle componenti più diverse - economiche, materiali, sociali, di costume, ma anche politiche, di mentalità, di atteggiamenti individuali e di gruppo…", riconducendo poi i "diversi fili della ricerca al momento unitario" (p. 614). Sembra palese quanto di questo insegnamento sia presente nella grande impresa editoriale e storiografica della Storia d'Italia Einaudi da Vivanti intrapresa verso la fine degli anni Sessanta del Novecento.
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