L'Italia del Seicento

Domenico Sella, L'Italia del Seicento
Laterza, Roma-Bari, 2000
Ediz. orig. Longman, London-New York, 1997

di Daniele Santarelli

Con questo suo lavoro, Sella ci presenta un quadro completo dell'Italia barocca, che contraddice il tradizionale paradigma storiografico della decadenza italiana seicentesca. Di tale paradigma ne ha trattato Marcello Verga nel suo saggio "Il Seicento e i paradigmi della storia italiana" (in "Storica", n.11, a. IV, 1998, pp. 7-42), fornendo un quadro completo di come si sia formato nella storiografia sull'Italia la tendenza a considerare il Seicento come un secolo di decadenza politica, economica e culturale degli stati della penisola, e di come molta parte della storiografia italiana contemporanea sia giunta ad un ripensamento totale, sotto tutti gli aspetti, dell'immagine del Seicento italiano. Sella, così come Paolo Malanima (il quale condivide con Sella l'interesse per la storia economica ed ha trattato dell'Italia seicentesca nel suo recente volume "La fine del primato", Milano 1998) con questo lavoro, partecipa di questo ripensamento, trattando della storia dell'Italia seicentesca per grandi aree tematiche, così come suggerisce la successione dei capitoli del suo libro: I. Il sistema degli stati italiani; II. L'economia; III La società; IV. La religione; V. Chiesa e stato; VI. la cultura; VII. La scienza.
I. Secondo il Sella, innanzitutto, il sistema degli stati italiani rivelò, nel lungo periodo, una notevole stabilità istituzionale; tutto ciò nonostante la fine della "pax ispanica", l'espansionismo di Carlo Emanuele I di Savoia e dei suoi successori, il riacutizzarsi della rivalità franco - spagnola, le mire territoriali del papato e la "politica di potenza" di Luigi XIV. Sella motiva tale stabilità con il successo del consolidamento degli Stati territoriali della penisola, avviato nella seconda metà del '500.
II. L'economia, invece, dopo un periodo di vigorosa espansione nella seconda metà del '500, dovette affrontare una difficile crisi nella prima metà del '600 (specie dal 1620), riprendendosi però molto bene a partire dal 1660.
Il depauperamento dei suoli, dovuto al loro sfruttamento intensivo per far fronte alla pressione demografica sulle risorse, una serie di cattivi raccolti e di carestie a partire dagli ultimi anni del '500, gli eventi militari e la peste gettarono nella crisi l'agricoltura. Tale crisi, una volta ristabilito l'equilibrio popolazione - risorse, fu superata con innovazioni e bonifiche al Nord, con investimenti nella viticoltura (a scapito dei cereali) in Toscana, e con un ritorno a forme tradizionali al Sud (che si differenziò così dal resto della penisola).
La perdita dei mercati tradizionali della Germania e della Turchia, territori afflitti da eventi bellici, la concorrenza inglese, olandese e francese, l'impossibilità di abbassare il costo del lavoro, dovuta alla saturazione occupazionale e alle resistenze corporative all'introduzione di innovazioni tecniche, furono, invece, le vere cause del tracollo dell'industria e dei commerci; Sella, infatti, scarta le ipotesi tradizionali della perniciosa dominazione spagnola e del "tradimento della borghesia".
La ripresa del tardo Seicento, con cui fu superata la crisi, comportò, a sua volta, un cambiamento strutturale dell'economia, in questi termini: 1) il suo baricentro si spostò dalla città alla campagna, con l'espansione dell'industria rurale nei settori della metallurgia, della carta, della lana, del cotone, del lino e, specialmente, della seta; 2) il divario tra Nord e Sud si accentuò a dismisura; 3) l'Italia perse la sua posizione di primato rispetto alle altre economie europee.
III. Quanto alla società italiana del Seicento, Sella, descrivendone la conformazione, mantiene la divisione in tre ordini, teorizzata dai trattatisti dell'epoca.
L'"aristocrazia" comprendeva una nobiltà feudale ed un patriziato urbano. Di fronte alla sfida dello Stato assoluto, la nobiltà feudale, che pretendeva di essere sopra la legge, vacillò; i patrizi, invece, si integrarono nelle alte sfere dell'amministrazione delle città. Seguiva, nell'ordine gerarchico, il "popolo", il ceto intermedio, i cui membri seppero anch'essi affermarsi come amministratori ed inoltre furono favoriti dalle concessioni di feudi da parte dello Stato, che mirava così a sminuire il ruolo della nobiltà feudale nelle campagne. Infine la "plebe", lungi dall'essere una massa informe, comprendeva una borghesia rurale, molti piccoli proprietari, piccoli negozianti ed artigiani, nonché contadini senza terra, lavoratori poveri e mendicanti; queste ultime categorie rappresentavano un rischio per la pace sociale. Tuttavia essa era preservata dalla brutale repressione, dalla predicazione del clero, dal paternalismo dei ceti dominanti, dall'azione delle corporazioni e da un efficiente sistema caritativo ed assistenziale. Talvolta le crisi congiunturali e il fiscalismo dei governi provocarono delle rivolte cruente, tutte a carattere prettamente locale, con la notevole eccezione della rivoluzione napoletana del 1647.
IV. Secondo il Sella, il versante religioso fu dominato dagli effetti della riforma cattolica. Sella giudica con indulgenza l'operato della Chiesa post - tridentina, che cercò di "moralizzare" il clero e combatté le interferenze laiche. Gli ordini religiosi, vecchi e nuovi, si mostrarono particolarmente attivi nelle "missioni" volte a cristianizzare le masse e nell'istituzione di scuole "per tutti" e per le élites ed i laici furono spinti alla carità e all'assistenza nei confronti dei bisognosi. L'Inquisizione si dimostrò più clemente dei tribunali secolari dell'epoca e la censura non fu particolarmente efficiente ed oppressiva.
V. La condotta della Chiesa provocò una serie di conflitti con gli stati, il più grave dei quali si ebbe con la Venezia del teologo - canonista Paolo Sarpi, nei termini di uno scontro tra due assolutismi. Tali scontri, tuttavia, favorirono l'emergere, alla lunga, dell'idea di separazione tra una sfera secolare ed una religiosa.
VI. Per quanto attiene al tema della cultura, Sella fa delle distinzioni: a fronte della mediocrità generale della poesia e del teatro, a parte alcune eccezioni, le arti e la musica raggiunsero delle eccezionali vette. Perciò si può parlare di uno spostamento del baricentro della cultura italiana. Sotto la spinta delle istanze riformatrici, fiorirono la storiografia ecclesiastica e l'archeologia cristiana; gli storici politici dell'epoca, dal canto loro, hanno meritato l'appellativo di "giornalisti", che non va però inteso in senso totalmente negativo. Nel pensiero politico prevalsero i due temi della correzione dei mali della società e dei rapporti tra etica e politica. La letteratura di viaggio fece fronte alla curiosità del pubblico "barocco" e la precettistica gli fornì modelli di comportamento (ovvero di adattamento e di sopportazione dei mali, come nel caso dell'Accetto). La presenza dei libertini testimoniò l'eredità del Rinascimento ed il parziale fallimento della repressione ecclesiastica.
VII. Il Seicento italiano fu anche il secolo della scienza, con la figura gigantesca di Galileo, il cui copernicanesimo fu condannato dalla Chiesa, secondo il Sella, non per oscurantismo o fanatismo, ma in virtù di una strategia difensiva dalle accuse protestanti di "deviare" dal letteralismo biblico e sotto la spinta dell'avallo dato alla cosmologia tradizionale da parte dei maggiori scienziati dell'epoca, Tycho Brahe compreso. L'esortazione galileiana alla sperimentazione e all'empirismo fu tuttavia ereditata dal gruppo del Castelli, dall'Accademia del Cimento, pur nella sua breve vita, e persino dagli scienziati gesuiti.

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