Dialogo su diritto e tecnica

Natalino Irti - Emanuele Severino, Dialogo su diritto e tecnica
Roma-Bari, Laterza, 2001*

di Gianluca Miligi

Inconsueto, ma di notevole interesse, è il dialogo tra il giurista e il filosofo, rispettivamente Na-talino Irti - professore di Diritto civile - e Emanuele Severino, pubblicato di recente da Laterza. Interes-sante il tema, ossia il rapporto tra diritto e tecnica, e la forma, realmente dia-logica ossia costruita sul contraddittorio, sulla "schermaglia" argomentativa, che si accende anche grazie alla, pur da lui stesso negata, confidenza con le "cose" filosofiche del giurista Irti.
È questi ad esordire - il dialogo si articola in due "atti" - profilando la sua concezione del diritto, consolidata nella contemporaneità: il diritto, dopo la crisi del giusnaturalismo, non può che essere "positivo": "posto [nel senso del participio passato di ponere]: e posto dagli uomini nella storicità del loro vivere". A costituire il diritto, quindi, sono norme aventi esclusivamente validità procedurale, e non verità di contenuto. È all'interno di tali norme che le pro-posizioni ideologico-politiche o economiche -i molteplici lógoi- devono tradursi per riuscire ad ottenere efficacia (il che, ovviamente, significa prevalere sulle altre, antagoniste). Con una digressione sulla differenza che intercorre tra diritto e politica da una parte, legati al "territorio", e economia e tecnica dall'altra, de-localizzate e de-storicizzate, Irti giunge alla perentoria tesi che, nonostante l'indebolimento della politica e la normatività giuridica -tralasciamo alcune considerazioni sulla natura della democrazia- permane "la differenza logica tra la regola e il regolato: ossia, tra diritto, da un lato, e capitalismo e tecnica, dall'altro".
Irti affronta quindi la definizione che Severino dà della tecnica (si veda Il destino della tecnica) come "incremento indefinito della capacità di realizzare scopi, che è incremento indefinito della capa-cità di soddisfare bisogni". La sua critica si concentra su questo punto: siffatta capacità della tecnica non comprende, per sua costitutiva essenza, la capacità di scegliere "uno", un "determinato", scopo; la tecnica sarebbe segnata dall'astrattezza - o se si vuole dall'indeterminatezza - e perciò non in grado di rispondere alle domande fondamentali del diritto: che cosa prescrivere? Come comportarsi? In base quale criterio decidere, cioè separare la ragione e il torto? Alla fine dell'atto primo, Irti riassume la dif-ferenza tra la sua concezione e quella di Severino - sostenitore a suo giudizio di un "giustecnicismo" -in questi termini: se quello del diritto positivo è il mondo della decisione e della scelta in circostanze de-terminate, esso si presenta come capacità di realizzare determinati scopi: la tecnica, così come pensata da Severino, rischia di essere invece un "Apparato che risuscita gli antichi dèi".
Evidenziato l'accordo relativo al tramonto della verità immutabile e incontrovertibile, la rispo-sta di Severino affonda nel cuore dell'intera questione: se la norma riesca in qualche modo a controllare la tecnica (o sia la tecnica a subordinare a sé il diritto, le norme). Se l'atteggiamento politico-giuridico continua a volere regolare la tecnica (così come l'economia), ciò non implica il successo di tale volon-tà. Al contrario, è la tecnica che per Severino è "destinata a diventare il principio regolatore di ogni ma-teria, la volontà che regola ogni altra volontà". A partire da qui egli sviluppa la sua argomentazione: caratteristica di forme di volontà di potenza, nelle vesti di norme religiose, morali, giuridiche, politiche, economiche è la volontà di realizzare scopi escludenti, ossia "la cui realizzazione mira insieme all'e-sclusione della realizzazione di altri scopi". La tecnica per sua essenza non mira a scopi escludenti, bensì ha come scopo la crescita infinita nella propria potenza. Qual è lo scenario epocale aperto dalla contemporaneità? "La tecnica tende all'onnipotenza". La tecnica rivela però una sua concretezza, poi-ché è la forma della produzione reale degli scopi, produzione che concorre all'aumento indefinito del-l'apparato scientifico-tecnologico: la tecnica è non trascendente, come in fondo pensa Irti, bensì, si noti, trascendentale. Severino sottolinea che la dominazione della tecnica, che è "processo tuttora in atto", non elimina la norma, ma la subordina a sé. Un esempio concreto di ciò è offerto dalla manipolazione genetica, dalla sua capacità di trasformare la normatività tradizionale a vantaggio della potenza della tecnica. Questa "distrugge" e sostituisce l'onnipotenza di Dio istaurando una dominazione che si pre-senta coma la forma rigorosa della Follia estrema dell'Occidente: solo rispetto al divenir altro delle co-se del mondo, degli enti, infatti, può costituirsi una qualsiasi forma di volontà di realizzare scopi.
Alla luce della tesi dell'intrascendibilità del diritto, Irti riprende il filo del suo discorso insisten-do sul fatto che il capitalismo, come la tecnica, ha un costitutivo bisogno di diritto. A suo giudizio la tecnica in Severino assume, con "inattesa movenza kelseniana", i caratteri della Grundnorm, norma su-prema da cui ogni ad alta norma deriva. Egli ritiene però che anche la stessa tecnica, la normatività tec-nologica, non possa non presentare un carattere escludente e contenutistico. Il rapporto tra il diritto e il capitalismo, o la tecnica, che dev'essere pensato sul piano del "prevalere storico", sarebbe stravolto da Severino sulla base di un "rovesciamento logico" e dell'eliminazione della differenza tra principio re-golatore (diritto) e regolato (tecnica): si assisterebbe così ad una derivazione di norme politico-ideologiche dalla Grundnorm tecnologica. Essa, in quanto "forma di volontà mirante per raggiungere scopi non escludenti, escluderebbe tutti gli scopi contrastanti con la propria infinita capacità di rag-giungere scopi". Irti intende sostenere, con acutezza, che la tecnica ha pur sempre uno scopo, ossia proprio quello di realizzare scopi, e quindi deve negare il suo opposto, che possiamo chiamare "anti-tecnica"? Non si procede oltre. Sottolineiamo en passant che nella sua prospettiva il diritto finisce per condividere alcuni connotati propri della tecnica: il diritto infatti si potrebbe definire come "infinita ca-pacità di rendere efficaci (ed escludenti) volontà o pro-posizioni, ideologiche (politiche, economiche eccetera)". Ritornando all'argomentazione di Irti, il presunto giustecnicismo severiniano si dovrebbe ridurre a ipotesi politico-ideologica in conflitto con le altre, costretta, se vuole imporsi, a "scorrere" nei nomodotti, nei canali procedurali del diritto. Anche la tecnica, con linguaggio forense, sarebbe una par-te in causa agli occhi del giurista e non, come pensa invece il "filosofo", super partes, In conclusione, la tecnica o è teologicamente astratta oppure è un'ipotesi contendente, tra le altre.
Severino replica svolgendo le sue argomentazioni ad un livello più profondo. Egli nega che il contenuto delle norme sia ricavabile dalla volontà della tecnica di incrementare la propria potenza: piuttosto il diritto, il capitalismo o quant'altro, sono destinati a sottostare alla regola imposta dalla tec-nica: il diritto diviene "mezzo" della tecnica. Nella filosofia di Severino la tecnica si sviluppa sull'impossibilità dell'esistenza di limiti assoluti dell'agire: questa è la prospettiva decisiva dischiusa dal pensiero contemporaneo. È sì possibile dire che la tecnica "prevale storicamente", ma in ciò avvie-ne anche quel fondamentale "rovesciamento", che Irti considera a torto puramente logico, per cui la tecnica stessa diviene scopo, regola, secondo necessità o destino (in ogni caso è mantenuta la differen-za regola/regolato). E si configura come tale perché l'"esclusione" che essa implica non concerne l'opposto (antitecnica) ma, su un piano diverso, - è un punto-chiave della replica severiniana -, il carat-tere escludente degli scopi-volontà di potenza. Riguardo al contenuto delle norme (=mezzi), questo non è annullato, cambia semplicemente: il loro contenuto inoltre non è deducibile dalla "legge" della tecni-ca, con la quale invece è possibile una sintesi (tra l'altro neanche in Kelsen dalla Grundnorm è deduci-bile il contenuto delle altre norme). Nell'ultima, pregnante parte dell'analisi di Severino si delinea l'orizzonte peculiare della sua filosofia. Nel rivendicare l'esistenza di un conflitto tra le varie forme di volontà di potenza, Irti viene ad esprimere la tesi di fondo del pensiero contemporaneo: ma questa stes-sa tesi si rivela in fondo essere un'interpretazione. In che senso? Il pensiero contemporaneo non è scet-ticismo ingenuo, ma consiste nella negazione della verità metafisico-epistemica (immutabile, che è an-che "morte di Dio"), sul fondamento-verità assoluta del divenire. Ma è proprio quest'ultima che Seve-rino ha da sempre messo in questione.
Nel finale egli illustra una delle molteplici ragioni che sostengono l'inevitabilità del dominio della tecnica (p. 91), la quale è però condizionata dall'"evidenza" che il divenire, e il conflitto, il "gio-co" (delle volontà di potenza) che ne è espressione, sia innegabile: il dominio della tecnica, peraltro, se ha una sua inesorabile logica, è però esso stesso casuale e destinato a tramontare. L'altra strada che si può percorrere è allora quella tracciata dallo stesso Severino, impervia ed estrema, che confuta la verità del divenire e che, in particolare, non offre nella tecnica, come pensa Irti, la figura di un "nuovo Dio ", poiché proprio il Dio metafisico ha definitivamente soppiantato la tecnica (la filosofia di Severino pro-prio negli ultimi tempi ha conosciuto, forse, una sua "risoluzione" nel libro La Gloria; v. recensione sul sito).


* Il dialogo nasce in occasione di un Convegno di studi tenuto a Catania nel 2000 (I Atto) e contiene una Postilla (N. Irti Sugli interventi di Luigi Mengoni e Bruno Romano)

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