Ragione come discorso pubblico

Virginio Marzocchi, Ragione come discorso pubblico. La trasformazione della filosofia di K.O. Apel
Liguori Editore, Napoli, 2000

di Gianni Perazzoli

Il libro Ragione come discorso pubblico di Virginio Marzocchi è un'accurata ricostruzione critica del pensiero di Karl Otto Apel, ma può essere letto anche come un'introduzione a questo pensatore complesso e affascinante. Il libro è infatti un "saggio" e, insieme, una "ricostruzione" storica, che dimostra la lunga frequentazione dell'autore con le questioni poste da questa filosofia. Virginio Marzocchi è uno degli studiosi italiani che hanno seguito con più attenzione lo svolgimento filosofico apeliano. Il lavoro di Marzocchi potrà essere il punto di riferimento per i nascenti studi italiani su Apel; a ciò, per altro, il libro soccorre con una imponente e dettagliatissima bibliografia delle opere di e su Apel.
La filosofia di Apel ha una forte impostazione teoretica. In essa circolano questioni "classiche" della filosofia, ripensate in un quadro nuovo. Uno dei meriti del libro è proprio quello di non sottrarsi al compito della ricostruzione logica e critica del pensiero di questo autore, e di non limitarsi quindi all'elenco delle marginalità non filosofiche o ai "giudizi", che trovano tanto spazio e apprezzamento di solito quando i filosofi sono già santificati.
Il punto da cui parte il libro è la "svolta linguistica": il pensiero non è un fatto privato, la sua realtà si trova nel linguaggio; quest'ultimo a sua volta rimanda ad una comunità di parlanti. In quanto il pensiero non è dunque un fatto privato, esso rinvia ad una forma di universalità. Ma, detto questo, si è solo sulla soglia del problema, infatti la ricerca comincia a questo punto. Che cosa si deve intendere per "universalità"? La svolta linguistica propone un'interpretazione nuova dell'"universalità". I concetti di "verità", "coerenza", "argomentazione razionale", "ragione" devono essere interpretati sulla base di un nuovo paradigma: "Il pensiero richiede un linguaggio pubblico per convalidarsi". E il linguaggio rimanda alla "comunità dell'argomentazione".
Posta la questione in questi termini, si possono già vedere nel loro punto di origine i temi che costituiscono il centro della filosofia di Apel. Il risultato dell'idea generale che si trova alla base di questa filosofia porta al compenetrarsi di filosofia del linguaggio, filosofia teoretica e filosofia pratica secondo un nesso unitario.
Il libro, ricostruendo il pensiero di Apel, ricostruisce nel loro intreccio questi tre momenti. Senza dubbio uno degli aspetti più interessanti del filosofo tedesco si trova proprio nella costituzione dell'intreccio di filosofia teoretica e filosofia pratica a partire dalla "svolta linguistica"; ricomporne il pensiero significa perciò ripensare, nella sua opera, le connessioni che giustificano per intero la sua posizione teorica.
I tre capitoli del libro di Marzocchi rispecchiano questo percorso. Il primo capitolo si occupa di ritrovare il filo conduttore che, a partire dall'analisi del linguaggio, porta Apel a porre nella comunicazione intersoggettiva la nuova concezione del fondamento come trascendentale pragmatico. Il senso del capitolo è di indagare lo sfondo e le ragioni della "svolta linguistica". Attenta considerazione è dedicata allo svolgimento del tema linguistico che arriva ad Apel attraverso Heidegger, Gadamer, Peirce, Wittgenstein, Austin, Searle e Habermas. Come si definisce la posizione di Apel? Che cosa ne costituisce il tratto più originale? Il libro segue lo svolgersi delle tesi di Apel, considerando gli scritti che hanno man mano portato alla definizione della sua filosofia. La ricerca della nuova possibilità del "fondamento" matura attraverso varie fasi, che il libro ricostruisce e interpreta in modo analitico. Il linguaggio assume una valenza di medio fondativo nel quale rivivono le condizioni di possibilità kantiane come condizioni di sensatezza.
Il secondo capitolo svolge uno dei fili più delicati, quello che Apel ha definito "la fondazione ultima". La fallibilità di ogni conoscenza presuppone la possibilità di pensare le conoscenze come criticabili e correggibili. Il compito della fondazione ultima è di "indicare l'istanza e la direzione attraverso cui ciò si fa per noi approssimabile idea regolativa". La fondazione non si occupa di "chiudere il discorso"; il punto è che attraverso la fondazione deve darsi la possibilità della prosecuzione del discorso.
I primi capitoli sono propedeutici al terzo, che riguarda la fondazione dell'etica e la democrazia discorsiva. La proposta di Apel è studiata nella sua genesi e nel suo aspetto teoretico. Si tratta di uno dei punti più interessanti e innovativi della filosofia apeliana: "come l'etica debba trasformarsi in etica pubblica, ponendo al centro della propria interrogazione non più la questione 'Che cosa devo fare?', bensì 'Che cosa dobbiamo/possiamo fare?'". L'etica discorsiva ha un impianto normativo, ma ricava il fondamento normativo a partire dal linguaggio in quanto ne fa il baricentro di un legame pratico-trascendentale tra gli individui. Presupponendo il linguaggio non si può non presupporre il procedimento argomentativo; ma presupporre l'argomentare significa presupporre anche una serie di condizioni che costituiscono l'argomentare. La giustizia stessa assume la forma di una procedura discorsiva. La comunità reale dei parlanti rimanda così ad una comunità ideale, che ne costituisce la possibilità pragmatica, non solo sotto il profilo logico-argomentativo, ma anche sotto quello etico-normativo.
Marzocchi apre un'interessante prospettiva critica quando osserva che "le esigenti richieste risultanti dalla situazione argomentativa, quale unica istanza adeguata per una valida (giusta/corretta) soluzione dei conflitti insorgenti nella prassi della vita, devono comunque venir sempre contemperate con le possibilità e i limiti risultanti dalla comunità reale ovvero con le effettive disponibilità e risorse (oggettive e soggettive) dei coinvolti". - Questa osservazione ci suggerisce una domanda. Che cosa succederebbe se i "limiti risultanti dalla comunità reale" fossero tanto grandi da rendere impossibile o estremamente difficile la costituzione della "situazione argomentativa"? Si realizzerebbero le condizioni per l'intesa? La domanda in altri termini è: sono forse le condizioni reali che rendono possibili le condizioni ideali? Rawls pensa, ad esempio, ad una situazione di partenza velata dall'ignoranza dei propri interessi individuali: ma è questo momento di partenza che rende possibile il discorso sulla giustizia. Invece, poste già le condizioni fattuali per la possibilità della situazione argomentativa, la soluzione giusta/corretta sembra scaturire dalle condizioni fattuali in modo analitico. In questo senso, si potrebbe immaginare questo problema: se effettivamente si dà la comunità dei coinvolti argomentanti, si è già data la serie delle condizioni reali (soggettive e oggettive) della loro relazione; viceversa, se non si dà questa situazione oggettiva, non si dà nemmeno relazione argomentativa. Ma questo significa che c'è una premessa reale, che è condizione della situazione argomentativa? Se è così si toglierebbe, credo, la premessa fattuale che caratterizza la procedura di fondazione fattuale-trascendentale della filosofia di Apel. Infatti non ogni fatto intersoggettivo rimanderebbe comunque all'argomentare: non la forza, non la guerra, non la politica (a meno di non vederla già risolta nell'accordo). Il linguaggio politico risulterebbe diverso da quello scientifico, perché non potrebbe "risolvere" gli interessi individuali (legati strettamente alle "effettive disponibilità e risorse"). Secondo Santi Romano l'istituzione determina il diritto, sicché ubi societas ibi ius ma anche ubi ius ibi societas. Posto il fatto della società è posto anche il diritto, e dove si ha diritto si ha anche società. Si tratta di un diritto non ideale, certamente; ma la questione si risolve nella tautologia 'dove si dà ordine c'è ordine'. Ora, il problema è: ma si deve dare la società, l'ordine. Ma da dove viene l'ordine?

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