Il Pensiero politico medievale

Mariateresa Fumagalli - Beonio Brocchieri, Il Pensiero politico medievale
Laterza, Bari, 2001

di Alessandro Malgrati

L'uomo tra cielo e terra. Caduto per sua colpa da una realtà perfetta, l'essere umano deve fronteggiare una realtà caduca. Ed è proprio la gestione di questa situazione immersa nel continuo contrasto che costituisce il problema fondamentale del pensiero politico fin dal primo medioevo. L'autrice del presente testo, Maria Teresa Fumagalli Brocchieri, riserva il compito di aprire l'esposizione del suo saggio proprio al filosofo che dedicò buona parte della sua speculazione all'analisi di tale stato: S.Agostino. Dal De Civitate Dei sono infatti tratti i passi in cui la tensione tipica della condizione terrena viene profondamente analizzata.
Tutto prese le mosse, secondo il filosofo di Ippona, dalla originaria ribellione di alcuni angeli a Dio: da questo "strappo" nacquero due nature diverse ed altrettante città, entrambe buone per natura ma delle quali una malvagia per scelta. Da quel momento le due dimensioni intrapresero il loro "viaggio" parallelo, che avrà il suo epilogo quando una, l'eterna, proseguirà per sempre nel suo cammino di luce. Dice S.Agostino: "Due amori hanno quindi costituito le due città: l'amore di sé, spinto sino al disprezzo di Dio ha costituito la città terrena, l'amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé, la città celeste. La prima trova la gloria in se stessa, questa nel Signore, la prima cerca la gloria in mezzo agli uomini, la seconda cerca la gloria di Dio, testimone della coscienza" (pag. 7). Questa visione dualistica fisserà un punto di riferimento costante per tutto lo svolgersi della riflessione politica medievale.
A partire dai Papi Leone I, da cui nasce la figura del pontefice "erede indegno" ma pur sempre erede del tesoro di Pietro, e Gelasio I, che manterrà netta la distinzione tra temporale e spirituale proprio in virtù di un'incolmabile distanza tra le due nature, il celeste ed il terreno rappresenteranno le categorie a partire dalle quali inevitabilmente si snoderà l'analisi sociologica e politica.
Compiendo un salto temporale fino al VII secolo, troviamo Carlo Magno incoronato imperatore da Papa Leone III che, terminato il rito, gli si inginocchierà di fronte: le distinzioni trovano riscontri diversi nella dimensione terrena. A ridosso del XII secolo l'elaborazione prende vita dall'intreccio tra scienza giuridica e politica, prendendo a modello il Corpus Iuris Civilis , nella consapevolezza che la legge romana rappresenti, secondo una definizione dell'epoca, "la legge generale di tutti".
In questo senso la scuola di Bologna diede luce ad alcuni tra i più grandi pensatori dell'epoca, come Graziano, al quale si deve la raccolta più imponente di norme canoniche, e Rufino. Per entrambi il primo problema sarà sottolineare la distinzione ontologica , oltre che contingente, dei due poteri: lo spirituale legittima il temporale, il primo dà senso al secondo.
Ma una nuova concezione, non più subordinazionista, pervase tutto il XIII secolo: la monumentale opera di S.Tommaso partì da una concezione finalistica dell'ordine ontologico, e indicò nel bene la meta ultima dell'ordine naturale, allo scopo di partecipare di quello eterno. Ma per ciò raggiungere, l'essere umano deve, anzi gli è connaturale, costituirsi in società. La genesi della società vista in funzione della caduta, tipica della riflessione agostiniana, è ora giustificata dalla natura: l'uomo è l'animale politico di aristotelica memoria e risulta spontanea la sua inclinazione a costituire una società che regoli la vita dei suoi simili. Così come la natura tende al bene, così la legge degli uomini deve approssimarsi il più possibile a quella divina. Come gli ambiti temporale e spirituale saranno ordinati allo stesso fine e non in contrapposizione, così il fine del cittadino sarà subordinato a Dio.
Ma un altro aspetto del confronto tra i due poteri è destinato a prendere il sopravvento: quello della povertà. Con l'avvento di S.Francesco e della sua regola si aprì nella Chiesa un conflitto di vastissime proporzioni e secolari conseguenze. Sancisce tale rottura la fuga di Guglielmo d'Ockham da Avignone e dall'autorità papale di Giovanni XXII, definita addirittura eretica.
"All'origine della fuga di Ockham" spiega la Brocchieri "vi è la convinzione di dover difendere con qualunque mezzo (e qualsiasi prezzo) l'ideale della povertà assoluta contro gli attacchi di quello che , ai suoi occhi, appare ormai uno pseudo Papa" (pag. 150). Tali affermazioni derivano dall'analisi del pensiero del pontefice relativo alla povertà francescana (sviluppata soprattutto nell'opera del 1332, l'Opus Nonaginta Dierum). Giovanni XXII infatti contestò la tesi secondo cui l'Ordine dei Frati minori avrebbe avuto solo l'uso di fatto dei beni posseduti, ribattendo che l'Ordine stesso non sarebbe persona reale ma fittizia, immaginaria et rapraesentata e come tale senza diritto all'uso di fatto. A questo proposito Ockham rileva come l'uso lecito non sottintenda la proprietà della cosa ma solo il permesso di usarla da parte del proprietario: dietro a tale convinzione sta la sicurezza che la tesi del pontefice sia in assoluto contrasto con i precetti evangelici e l'insegnamento di Cristo.
Ma la rivendicazione di una Chiesa povera sarà seguita da una reazione legata più propriamente all'ambito politico: le istituzioni non cristiane saranno gerarchicamente poste alla pari con quelle cristiane in virtù dei passi della Bibbia relativi alla dignità del popolo di Dio e dei pagani. Da qui l'importanza del consenso del popolo nell'eleggere l'autorità civile.
Queste le tesi di John Wyclif, per il quale, inoltre, i governanti hanno il diritto di delegittimare addirittura il pontefice che non rispetti i dettami di Cristo e non viva, secondo il Vangelo, in povertà.
Ecco le parole di Wyclif: " Innanzitutto, intendo illustrare due verità di cui mi servirò come principi fondamentali del mio discorso: la prima, che nessun uomo che sia in uno stato di peccato mortale ha diritto a ricevere qualcosa in dono da Dio; la seconda , che chi si trova in uno stato di grazia non solo ha quel diritto, ma è di fatto signore di tutti i beni divini" (De civili dominio, I, 1 ).
"Nonostante le loro differenze, d'altra parte" chiarisce la Brocchieri " sia il dominio evangelico che quello civile sono autentici solo se chi li esercita si trova in una condizione di innocenza, poiché l'unica garanzia per l'esercizio di una signoria legittima è data dall'approvazione (beneplacitum ) divina" (pag. 182).
Affermare l'esistenza di uno stretto nesso fra dominio umano e grazia divina è diretta conseguenza di una riflessione che decreta tutto ciò che gli uomini possiedono come bene dato loro in prestito da Dio, il quale li incarica di amministrarlo a patto che ne facciano un buon uso, ossia se ne avvalgano per servirlo.
Evidente il riflesso sulla dimensione spirituale del clero, relegato a veicolo della grazia divina e , seppur rispettabile per la sua carica, non certo giustificato a poter considerarsi in una posizione privilegiata davanti al Signore.
Dopo aver sperato inutilmente in un ruolo determinante da parte del re Edoardo III, visto in un primo momento come un novello Davide, Wyclif decise di indirizzare le sue forze a sostegno di un gruppo di poveri preti che con il loro insegnamento preparassero l'avvento di una nuova era.

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