Fenomenologia e teoria della conoscenza

Edmund Husserl, Fenomenologia e teoria della conoscenza
traduzione in italiano a cura di P. Volontà
Edizioni Bompiani, Milano, 2000

di Francesco Marro

Dal vastissimo archivio di Lovanio, dove sono conservate le oltre 40.000 pagine stenografate degli inediti husserliani, emerge per la prima volta in traduzione italiana un testo di non poca rilevanza per contribuire all'approfondimento delle tematiche fenomenologiche nell'impronta originale che le ha dato il suofondatore. Il testo in questione vede confluire le tendenze e le motivazioni più produttive che operano nel fondo della fenomenologia: non solo il confronto con la psicologia del suo tempo, e la conseguente difficile demarcazione di territorio per la fenomenologia stessa, ma anche e soprattutto l'incontro con la scuola marburghese sulle problematiche inerenti alla teoria della conoscenza. Da un lato, dunque, vi è la decisa presa di posizione di Husserl in opposizione ai fraintendimenti che si generarono ogniqualvolta egli pubblicava un libro, dall'altra invece possiamo vedere all'opera l'inizio dell'esercizio fenomenologico sperimentandolo, man mano che si procede nella lettura dei testi di fenomenologia. Non a caso anche questo lavoro di Husserl si presenta come una "introduzione" alla fenomenologia, tant'è che egli tiene a sottolineare il carattere delle sue argomentazioni come rivolte a "principianti", ma non semplicemente nel senso di chi è totalmente digiuno di filosofia, quanto piuttosto per coloro che sono disposti a fare il primo passo nella fenomenologia, pronti a dare un nuovo inizio ad essa.
Il testo in oggetto si colloca nel periodo della cosiddetta 'svolta trascendentale' di Husserl e precisamente nell'inverno tra il 1916 e il 1917 quando da poco era stato nominato professore ordinario di filosofia presso l'Università di Friburgo. La prassi del tempo voleva che il nuovo docente tenesse una conferenza ufficiale sull'indirizzo che avrebbe dato alle proprie lezioni, e quale miglior occasione per fare l'ingresso nel corpo accademico che presentare la fenomenologia in una delle roccaforti del neokantismo. Inizialmente Husserl progettò il suo Antrittsrede articolato in due parti: una polemica e negativa su "Fenomenologia e psicologia", l'altra decisamente costruttiva e propositiva su "Fenomenologia e teoria della conoscenza". Quest'ultima è proprio il testo che adesso prenderemo in esame in cui per analogia e differenziazione con le più affermate correnti filosofiche dell'epoca Husserl intrattiene un dialogo volto ad approfondire lo statuto autonomo e radicalmente innovativo dell'atteggiamento fenomenologico di riflessione.
Il testo in esame comincia con una breve ma efficace storia della filosofia tracciata seguendo come filo conduttore la nascita dell'epistemologia, ossia "una teoria della teoria, […] una scienza dei principi e delle leggi di ogni teoria in generale" (p. 65). Così, dallo scetticismo negativo della dialettica sofistica di Protagora che individua in "una sensibilità senza valore" (p. 63) il fondamento della verità, si passa a scoprire un Platone che dà l'avvio ad una "logica pura, cioè formale, […] equivalente ad una teoria dell'oggetto" (ibid.). Tuttavia, per discernere dalla logica formale, e quindi noetica, "quale dottrina della legittimità del conoscere in generale che fonda le validità oggettive" (p. 65), una logica noemantica, e pertanto una "logica dei "contenuti dell'enunciato"" (idib.), dovremo aspettare la Stoà, sebbene poi in Platone già vi fosse un nucleo germinale della problematica trascendentale. A parere di Husserl, dunque, il limite della filosofia greca consiste nel fatto che "non venivano sottoposti a critica il discorrere e il pensare, ma il che-cosa del discorso e delle proposizioni, ciò che viene enunciato e giudicato" (p. 71), insomma rimase preclusa la ricerca delle "condizioni di possibilità di una teoria in generale" (ibid.). Soltanto Cartesio ha compiuto e fondato rigorosamente la distinzione fra rappresentare e rappresentato spostando il fuoco dell'attenzione sul cogito e le sue cogitationes, ma la portata di questa scoperta sfuggì al suo stesso autore, lasciando come eredità nascosta la questione della trascendenza dell'oggetto rispetto alla sfera immanente della coscienza. Su tale difficoltà si scontrarono Locke, Hume e Kant, il quale nella nota lettera a M.Herz del 21/2/1772 con estrema lucidità si chiedeva: "Su quale fondamento poggia la relazione di ciò che in noi si chiama rappresentazione con l'oggetto?" (p. 107). Ma fino a questo punto della storia della filosofia lo sguardo è rimasto ancorato esclusivamente al che-cosa e al suo "è così", ossia "non al porre come esistente, e come esistente in un certo modo, ma alla pro-posizione, non al vedere ciò che è vero, ma alla verità evidente, non al desumere la conseguenza, ma alla conseguenza stessa" (p. 73). Finché non si abbandona il terreno dell'atteggiamento naturale che assume come un'ovvietà insindacabile il fatto che sia dato un mondo e che questo sia posto in una certezza incontrovertibile come esistente, non si riesce a fare un solo passo in avanti nella questione della trascendenza della cosa. In che modo allora è possibile dare un nuovo inizio a tale problematica? Quale via d'accesso al fenomeno della trascendenza può offrire la fenomenologia husserliana?
Da questo momento in poi Husserl tenta di introdurci ancora una volta nella fenomenologia dischiudendo quel campo d'essere infinito che è la coscienza e i suoi vissuti. L'idea di una coscienza che è costantemente rivolta al suo correlato essenziale (coscienza-di) corre il rischio di veder ridotta tutta quanta la teoria della conoscenza (gnoseologia) e quindi la stessa epistemologia (fenomenologia) ad una spiegazione psicologica impropria, o meglio psicologistica. Eppure, in quelle medesime pagine Husserl introduce una "psicologia eidetica" (§ 19) che avrebbe il compito di far guadagnare in concretezza quella "esperienza possibile", tema autentico del motivo trascendentale della filosofia, grazie al libero variare della fantasia (§ 24) che corregge e a suo modo viene corretta dagli atti formatori di senso e dalla coscienza offerente. Ma questo campo così produttivo agli occhi di Husserl lo si può acquisire dirigendo verso se stessa l'intenzionalità della coscienza (p.161). Tale è il modo in cui si dispone lo "spettatore disinteressato" (p. 165) quando opera la ""riduzione fenomenologia", quale metodo della messa "fuori gioco" o "tra parentesi"" (p. 175) della tesi naturalistica. Con la messa in atto di tale riduzione "abbiamo dunque delimitato una regione scientifica, la regione dei "fenomeni" in senso fenomenologico, delle pure cogitationes e dei loro cogitata" (pp. 189-91) e solo a partire da qui è possibile prospettare tutte le questioni trascendentali. Ma Husserl sembra quasi instancabile nel ripetere che non si deve minimamente scansare "la non trascurabile fatica di ricominciare daccapo per imparare passo a passo il metodo della fenomenologia e ricercare in assoluta assenza di pregiudizi" (pp. 229-31). Il primo compito del fenomenologo è quello di porsi all'inizio della fenomenologia, di esercitare la riduzione ed infine svolgere l'analisi delle funzioni di coscienza; ma "all'inizio ci si muove appunto su un terreno totalmente inedito, sul quale bisogna imparare a camminare" (p. 233). Dovremo attendere l'ultima opera inedita di Husserl (la Crisi delle scienze europee) per un'indagine che concerna la doverosità da parte del filosofo di dare sempre di nuovo un nuovo inizio al filosofare.
In complesso il testo affronta anche altri temi che si riallacciano ai volumi delle Idee mandate alle stampe pochi anni prima, cercando di presentare in maniera più semplificata - cosa che a Husserl riesce molto difficile - la tensione teoretica presente in quell'opera. Tuttavia il carattere propedeutico e il tono quasi colloquiale consentono di poter meglio gestire il contenuto concettuale che comunque è di alto rilievo e renderci in questo modo degno di attenzione un libro che per sua natura era rivolto ad una piccola cerchia di auditori e che si inoltre si proponeva soltanto di presentare le linee guida della fenomenologia e non propriamente una descrizione del suo sistema; eppure il risultato che egli ottiene è quello di farci esperire l'avvio dell'esercizio al 'vedere' fenemenologico.

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