La verità è l'invenzione di un bugiardo. Colloqui per scettici

Heinz von Foerster - Bernhard Pörksen, La verità è l'invenzione di un bugiardo. Colloqui per scettici
Meltemi, Roma, 2001

di Giorgio Cesarale

Questo libro riproduce una conversazione tenutasi nel 1997 tra un giovane giornalista, Bernhard Pörksen dell' "Hamburger Sonntagsblatt" e il famoso fisico e cibernetico Heinz von Foerster. Personaggio, quest'ultimo, dalla vita e dagli interessi scientifici e teorici molteplici e stratificati: austriaco, nato e cresciuto ai primi del novecento in un ambiente familiare culturalmente ricco e sollecitante, ma poi venuto a contatto con le imprese e i progetti scientifici più creativi e avveniristici ideati, dopo la seconda guerra mondiale, nei fervidi laboratori di ricerca degli Stati Uniti, dove ha insegnato e vive tuttora; fisico e cibernetico, ma anche epistemologo, prestigiatore, pedagogo, filosofo morale.
Di questa varietà di interessi il libro che presentiamo è testimonianza fedele: si discutono i problemi cardinali della gnoseologia, ma anche le domande più angoscianti sulla responsabilità etica dell'uomo, le modalità più produttive di apprendimento umano così come le lezioni epistemologiche che è possibile trarre dalla cibernetica. Le riflessioni di Foerster, ottimamente stimolate, è necessario osservarlo subito, dalle domande di Pörksen, ci restituiscono un'immagine del mondo cui noi non siamo forse più avvezzi: in essa gnoseologia, ontologia ed etica sono strettamente legate e tenute insieme. Non c'è problema gnoseologico che non abbia il suo risvolto etico o pedagogico e, viceversa, non c'è problema etico che non abbia il suo aspetto gnoseologico.
Il cuore delle riflessioni del fisico austriaco è, tuttavia, la sua tesi gnoseologica, la cui descrizione occupa la prima parte del libro. Egli professa una posizione di radicale soggettivismo conoscitivo, un idealismo della percezione che potrebbe essere avvicinato a Berkeley. A suo giudizio esse est percipi, la realtà non esiste, né c'è qualcosa che possa dirsi oggettivo, giacché tutto ciò che è, è prodotto solo dalla percezione sensibile. Conoscere vuol dire allora "che all'interno del sistema nervoso vengono prodotte connessioni fra differenti sensazioni" (p. 16). Nella nostra vita possiamo essere certi solo del fatto che il nostro organismo percepisce e decodifica stimoli sensibili e non che a provocare questi stimoli sia stato un tale o un tal'altro oggetto esterno. E poiché le sensazioni cambiano non è possibile neanche parlare degli oggetti da esse rivelati come se fossero degli enti stabili ed immutabili. Gli oggetti sono in continuo divenire. È chiaro, quindi, che una volta che si supponga che il segreto della conoscenza sia la percezione di ogni singolo soggetto, ci si trova in difficoltà nel poter dimostrare in che modo allora gli uomini riescono ad avere, e a comunicarsele a vicenda, opinioni e concezioni comuni sul mondo. Il solipsismo è l'abisso che sempre si apre ogni volta che si assumono posizioni radicalmente antirealiste. Foerster ne è consapevole, tant'è vero che si ingegna a dimostrare che la realtà è sì costruzione, ma costruzione collettiva effettuata attraverso il medium del dialogo. Dialogo che, tuttavia, non gli serve a costruire un livello di realtà condiviso fra i diversi soggetti senzienti, ma solo a consentire ad ogni soggetto di costruire il suo referente esterno. Dunque, secondo lui, il soggetto non è solo. Queste indicazioni non ci sembra però che siano risolutive del problema cui facevamo precedentemente cenno: se ogni soggetto dispone, infatti, di una verità irriducibile a quella di ogni altro soggetto impossibile risulta di fatto l'atto dell'intendersi reciproco, per non parlare del destino che toccherebbe ai concetti, ai significati, etc. La distruzione della verità ha per lo scienziato austriaco, tuttavia, un immediato e salutare effetto etico: impone ad ogni individuo il rispetto di tutte le visioni e l'assunzione di una forte responsabilità rispetto a quanto si dice e si fa. Se, inoltre, la realtà è costruzione, allora è valido quello che Foerster chiama imperativo etico: "agisci sempre in maniera che il numero delle possibilità cresca" (p. 33). Si deve agire, cioè in modo da produrre nuove possibilità percettive. Possibilità percettive che possono ampliarsi solo a patto che si amplino la libertà degli altri individui e delle comunità umane.
Da un princìpio di questo tipo sorgono innumerevoli conseguenze per ciò che riguarda la vita pratica degli uomini. Le prime conseguenze esaminate sono quelle educative: poiché non esiste una verità, ma tante verità quanti sono gli uomini, allora anche il bambino, l'allievo ha una verità da insegnare e non solo l'insegnante. Ciò che va quindi abbandonato è l'idea dell'educazione a senso unico, dall'insegnante all'allievo, che considera l'allievo come puro ricettore di una verità esistente già al di fuori di lui. Conseguentemente, anche il ruolo dell'insegnante va riconfigurato: esso deve sempre più identificarsi con quello del ricercatore che stimola gli allievi a elaborare il sapere e a collaborare in un clima di reciproca fiducia. Analogamente, è da riconfigurare il rapporto fra psicoterapeuta e paziente con problemi psichici. Foerster dimostra convincentemente che alcune malattie psichiche sono tali solo in alcuni ambienti culturali e terapeutici. Ma se molte delle patologie psichiche sono costrutti culturali, allora si devono modificare il significato di malattia e il corrispondente atteggiamento del terapeuta. Il terapeuta deve solo fare in modo che il sofferente sostituisca da sé le rappresentazioni della realtà che provocano dolore con quelle che producono sensazioni più piacevoli.
Non meno profonde sono le correzioni che dovrebbero apportarsi alla scienza del management, al modo di organizzazione delle imprese, se esse si conformassero al criterio della verità come costruzione: il manager si trasformerebbe da possessore dell'unica verità ritenuta idonea per la strutturazione dell'impresa a puro collettore delle verità possedute da tutti i dipendenti dell'impresa stessa. Ma la verità come costruzione impone notevoli cambiamenti anche alla scienza dell'informazione; ciò che va rovesciato in questa scienza è il suo schema principale: il rapporto fra emittente e destinatario concepito in modo tale che il destinatario appare come il puro immagazzinatore dei messaggi lanciati dal ricevente.
I concetti decisivi all'opera in tutto questo insieme di applicazioni pratiche del princìpio della verità come costruzione sono per Foerster quelli di autoriflessività, autorganizzazione, circolarità. Ciò che infatti manifesta ciascuna di queste applicazioni pratiche è la causalità reciproca e circolare dei vari fattori in essa implicati: l'allievo retroagisce sull'insegnante, il dipendente sul manager, il destinatario sull'emittente etc. E sul concetto di autorganizzazione circolare si fonda anche la cibernetica, di cui egli, lo abbiamo detto, è stato uno dei più brillanti esponenti. Le riflessioni che Foerster dedica alla cibernetica sono fra le parti più interessanti del libro. Colpisce, soprattutto, il rimando che egli fa, per spiegare i concetti fondamentali della cibernetica, alle categorie aristoteliche di causa finalis e di teleologia interna. Riaffiorano anche, nelle riflessioni del fisico austriaco su questo tema, benché egli non ne abbia consapevolezza, motivi kantiani ed hegeliani che pareva fossero stati definitivamente espulsi dal seno della scienza moderna. È, quindi, soprattutto da queste pagine e da quelle dedicate alle prospettive della vita pratica che provengono gli stimoli migliori e più intelligenti della riflessione di Foerster. Non così si può dire, invece, a proposito della sua gnoseologia, davvero ingenua, irriflessa e priva del necessario rigore filosofico.

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