Il discorso, la storia, la verità. Interventi 1969-1984

Michel Foucault, Il discorso, la storia, la verità. Interventi 1969-1984, a cura di Mauro Bertani
Einaudi, Torino, 2001

di Massimo Palma

In un momento politico e intellettuale in cui il suo nome torna di 'moda', la pubblicazione di questo volume - che segue per Einaudi la riedizione (1998) de La nascita della clinica - fornisce al lettore, specie se giovane, uno strumento indispensabile per confrontarsi con Foucault nella sua proteiforme ma sempre coerente figura. Se il testo sull''archeologia dello sguardo medico' (1963) resta infatti un episodio importante del primo pensiero dell'autore francese (1926-1984), ma non può comprenderne le molteplici sfaccettature, la raccolta dei testi dal 1969 al 1984 (pur non completa, e da integrare con i preziosi Archivi Foucault di Feltrinelli, a cura di Revel, Dal Lago e Pandolfi) proprio per la sua qualità di silloge garantisce la fotografia fedele di un periodo foucaultiano, gli anni Settanta e dintorni, troppo spesso assunti secondo un paradigma modellistico, ridotti a formule e slogan scarnificati e assai spendibili, come la 'volontà di sapere', il 'biopotere'. Il testo rappresenta l'edizione riveduta e integrata (con alcune traduzioni dalla fondamentale edizione francese dei Dits et écrits in quattro volumi) della raccolta Microfisica del potere che nel 1977 aprì il campo alla ricezione di Foucault in Italia. Alla storica antologia sono stati apportati alcuni tagli non significativi, come la conversazione con i maoisti e con gli studenti, che testimoniano se non altro della sopravvenuta inattualità di alcune tematiche, e che forse avrebbero meritato un posto anche nel 2001, proprio per rendere conto della versatilità foucaultiana, abile a dialogare con chiunque ma attenta ad evitare strumentalizzazioni del suo pensiero.
Nelle numerose interviste che presenta, il volume rende conto già al primo impatto della sagacia con cui Foucault organizza ogni risposta, sfuggendo alle letture facili del tema in oggetto e ritagliando spazi inediti di impostazione del discorso. Si mostra anzi disponibile a comprendere l'interlocutore, a recepire le variazioni impresse ai suoi temi, per ricavarne spunti e integrazioni. Al termine della Conversazione sulla prigione: il libro e il suo metodo, un'intervista su Sorvegliare e punire (1975), parlando di Nietzsche, Foucault indica una strada preziosa per la sua stessa ricezione: "Il solo segno di riconoscenza che si possa testimoniare ad un pensiero come quello di Nietzsche è proprio di usarlo, di deformarlo, di farlo stridere, gridare. Che poi i commentatori dicano se si è fedeli o no, non ha alcun interesse". In qualche modo è proprio nel sottile discrimine tra utilizzo e strumentalizzazione che si muove l'intenzione di scrittura di Michel Foucault, il primo a rendersi conto della politicità schietta ed innegabile del suo pensiero, il primo a farne valere l'istanza riflessiva interna per distanziarlo da un'aderenza soffocante all'attuale. Foucault accetta di essere letto, usato, tradito e non chiede il rispetto di una presunta autenticità del suo discorso. Allo stesso tempo tuttavia, sapendosi come impura origine di una serie di effetti, non accetta lo 'sfruttamento del suo marchio' per imprimere forza autoritativa a un enunciato, e si sforza di guardarlo come un oggetto emerso dalla serie discorsiva, senza un padrone, un soggetto in senso classico cui riferirlo. La messa in crisi del soggetto classico, la sua riduzione a figura prodotta storicamente, mostrata ne Le parole e le cose (1966), non può tuttavia significare la sua mera dissoluzione, deve invece concretarsi nell'analisi lucida e critica delle pratiche di soggettivazione e di assoggettamento, per individuare nel tessuto della storia gli eventi decisivi che hanno segnato uno scarto rispetto al passato.
Responsabilità da ricostruire, potrebbe essere il sottotitolo delle ultime interviste rilasciate da Foucault: come collegare infatti, scomparso il soggetto cartesiano (su cui vedi la perfida Risposta a Derrida), l'analisi del discorso, del dire veritativo come evento, a un agire pratico intenzionale e riflessivo, e quindi responsabile? Fruendo della piacevole scorrevolezza dialogica, le discussioni estratte dalle riviste specialistiche e raccolte in questo volume presentano un brillante sforzo parresiastico, una chiarezza espressiva che va a buon fine nel ricostruire i percorsi sotterranei che hanno condotto alle riproposizioni del tema dell'agire storico. A questo proposito, è importante che, per ragioni sì cronologiche, eppure certamente dettate da motivazioni teoriche, ben evidenziate dall'illuminante 'pro-memoria' di Mauro Bertani, alla serie di interviste siano anteposti gli unici saggi della raccolta, a parte la replica a Derrida, ovvero l'allocuzione Jean Hyppolite. 1907-1968, la lezione inaugurale al Collège de France, L'Ordine del Discorso, e ancor più Nietzsche, la genealogia e la storia, l'unico confronto tematico col pensatore tedesco, a parte la prima conferenza su La verità e le forme giuridiche del 1973. Ne risulta un Foucault filosofo, abile a tracciare con precisione un progetto di interpretazione della storicità come campo di forze attive, che non si presta ad essere schiacciato sull'onnipervasiva tematica del Potere e si fa arguto interprete di una difficile linea Hegel-Nietzsche, stretta attorno al tema della ricostruzione del sapere storico come analisi genealogica dell'evento.
Scorrendo le pagine foucaultiane di Il discorso, la storia, la verità, il nodo della contingenza appare come il punto prospettico da cui proseguire la ricerca. Nel legare il soggetto a una contingenza materiale, a un potere di discontinuità, Foucault non gli attribuisce una sorta di titanica potenza che plasma il reale, lo individua piuttosto come corpo (vedi l'intervista Potere e corpo) inserito in un complesso inestricabile di relazioni di potere e resistenze, all'interno dei quali insinua non punti di fuga, ma problematiche vie alternative al continuum dell'assoggettamento.
Sono gli interventi che più si approssimano al 1984, l'anno della malattia e della morte, a delineare, nell'ambito di un percorso tutto sommato ancora sottovalutato, il Foucault che analizza la storia della sessualità non per un presunto dannunzianesimo di riflusso, quanto per individuare i momenti iniziali dell'imposizione di una gestione cristiana del privato. Da La scena della filosofia a Strutturalismo e post-strutturalismo emerge una nuova tematizzazione del soggetto, niente affatto finalizzata alla sua dissoluzione secondo l'adagio infinitamente frainteso della 'morte dell'uomo', quanto per sottolinearne la genesi storica, la non-evidenza trascendentale, il suo essere costituito attraverso pratiche di soggettivazione. Nell'intreccio tra sapere e verità che Foucault, facendo valere la sua matrice hegeliana, tende a definire, il soggetto si trova preso nella duplice morsa della storicità inerente a entrambi, al sapere come alla verità, che emergono come prodotti determinati e, in breve, esistono.
Dal saggio su Nietzsche a La cura della verità, partendo dalla domanda "Come può il soggetto dire il vero su se stesso?", Foucault rimarca una concezione della verità come evento o esperienza, che interessa a un livello radicale la relazione tra il rapporto a sé e il rapporto ad altri. Ed in questo ambito matura un'accezione della nozione di 'tecnica' che serve a chiarire lo stesso termine usato più sovente negli anni Settanta come 'tecnica di potere': sviluppato negli anni Ottanta come techne in senso greco, vale a dire arte e stile dell'esistenza, questo concetto assume una valenza più neutra, indicando una logica modale della gestione di potenziali di potere in dotazione a qualsiasi essere umano finito. Proprio dalla capacità di tenere assieme le due accezioni, senza ricorrere a improvvise 'svolte' di pensiero, si evince la complessità del pensiero di Foucault nella tematizzazione del potere, mai inteso come blocco monolitico, monopolio di un organismo (statale - ad esempio), quanto semmai come insieme di relazioni, di cui si è parte (non necessariamente in senso 'imperiale') e di cui si possono indagare e criticare i principi normativi.
Il merito di questa nuova antologia sta nel restituire Foucault alla sua complessa unitarietà, sfuggendo alle periodizzazioni di comodo di chi nominalisticamente ama estrarre dalla sua opera un tema, un oggetto, per decretare à la Foucault la nascita miracolosa di nuove soggettività costituenti che sfuggono al paradigma biopolitico. A partire dai fondamenti filosofici del suo pensiero, l'edizione degli interventi del quindicennio 1969-1984 rende conto piuttosto di una concezione dell'attualità come frattura possibile interna alla storia, che non la interrompe, non spara agli orologi, la cambia positivamente, secondo la prassi dell''umore genealogico' evocato ne L'ordine del discorso.

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