Nietzsche politico o impolitico?

Domenico Losurdo

 

Il libro di Domenico Losurdo ha suscitato un acceso dibattito sulla stampa ed è già un caso editoriale. Filosofia.it vi propone un resoconto completo degli articoli che si sono occupati del volume.


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Nietzsche politico o impolitico?

di Sossio Giametta

Il lettore consenta uno sfogo. Dopo decenni di sofferenza per il rifiuto degli interpreti di Nietzsche di inquadrarlo storicamente, di vederlo come rappresentante della crisi europea e di considerare le ricadute politiche del suo pensiero, cioè di leggere quello che Nietzsche ha scritto, mi tocca improvvisamente soffrire per la ragione opposta. Il bravissimo Domenico Losurdo ha sfoderato un librone di 1168 pagine (Nietzsche, il ribelle aristocratico, Bollati Boringhieri, E 68), che è in sé un capolavoro scientifico, anche se non è il libro su Nietzsche che egli crede di avere scritto: Nietzsche, infatti, nel libro non c'è, anche se si parla sempre di lui. Losurdo asserisce che Nietzsche non è tutto filosofo, come si crede, ma totus politicus e nient'altro che politico. "Con due parole avete fatto due errori", disse quel tale che era stato salutato con un: "Buongiorno, cavaliere" invece che con un: "Ossequi, commendatore", come si aspettava. Primo, perché Nietzsche schifava la politica e, secondo, perché era altro e moltissimo altro. Scrive infatti in Aurora 179: "Nessuna situazione politica o economica merita che possano e debbano essere proprio gli spiriti più dotati ad occuparsene; … Questi sono e rimangono campi di attività per le teste mediocri." Giorgio Colli ribadisce: "Nietzsche sputa sulla politica, è l'antipolitico per eccellenza. La sua è la dottrina del distacco totale dell'uomo dagli interessi sociali e politici. … Il suo intelletto demolisce ogni mito politico, ogni credenza nella politica… uno sguardo come il suo … è antipolitico nell'essenza". Dunque siamo agli antipodi.
Ma che cos'era Nietzsche in quanto non-politico? Ci mette sulla retta via Benedetto Croce: "… al tipo di pseudofilosofo … si collega altresì Federico Nietzsche, che si nobilita in confronto di quelli per la sua sincera quanto tormentosa e aberrante ansia morale e per i suoi fulgori di poeta". Nietzsche era "un filosofo, che era piuttosto un poeta, e portava nel cuore l'anelito alla purezza e alla grandezza"; "il carattere intimo dell'opera del Nietzsche è un'ansiosa, anche se traviata, ricerca morale". Ecco cos'altro era Nietzsche: moralista, alunno della grandezza, educatore, psicologo, diagnostico della décadence, profeta della crisi e, in sostanza, poeta tragico con ala cosmica. Invano si cerca tutto ciò nel libro di Losurdo. Per esempio si parla molto di nichilismo, addirittura di tre nichilismi, ma mai del nichilismo come rivoluzione copernicana dello spirito, che fonda una tremenda responsabilità umana in corrispondenza del venir meno di qualsiasi riferimento e vincolo oggettivo e assoluto (la morte di Dio). Lo stesso accade per tutte le altre verità e scoperte di Nietzsche, per non parlare dei fulgori poetici. Insomma all'unilateralità del filosofo puro Losurdo ha opposto l'unilateralità del pensatore politico: unilateralità, perché politica e storia non combaciano, la politica essendo solo una parte della storia. La crisi che Nietzsche rappresenta è una crisi storica, che solo per ricaduta diventa crisi politica. Che cosa significa crisi storica? Significa che in primo luogo in ballo non è il contrasto rivoluzione-reazione, vero oggetto del libro di Losurdo, ma il decline and fall della bimillenaria civiltà cristiano-europea. Oswald Spengler ha dimostrato che le civiltà sono grandi organismi con nascita, sviluppo, decadimento e fine: un'evoluzione che gli uomini possono rappresentare e interpretare ma non cambiare. La miriade dei fatti con cui si cerca di spiegare la storia sono effetti e non cause di questa evoluzione naturale.
Nietzsche difende i valori pagano-aristocratici contro quelli cristiano-democratici, come fa tutta la cultura del suo tempo, perché per lui i valori cristiani rispecchiano una visione falsa e nichilistica della vita che porta alla corruzione e al disgregamento della società. Contro questa deriva predica il solo rimedio ritenuto allora possibile e utile: la forza, la violenza, l'eugenetica, la schiavitù.
Le massime conseguenze politiche derivano, tuttavia, più che dalle enunciazioni politiche, dalla dottrina pura. Sostenendo l'irresponsabilità di tutti per qualsiasi cosa si compia, l'innocenza del divenire al di là del bene e del male, la sopraffazione e lo sfruttamento come il principio fondamentale e imprescindibile della vita, la divisa: "Se Dio non esiste tutto è permesso"; negando la morale come la Circe degli uomini, la realtà come configurazione stabile delle cose, la verità come corrispondenza alla "realtà" (è l'errore di cui abbiamo bisogno per conservarci), e dunque la conoscenza (è mero prospettivismo); esaltando la durezza, la cattiveria, lo scetticismo e il cinismo nell'arte di governare, e stabilendo come criterio di validità della filosofia non la verità ma la capacità di aiutare i forti contro la massa, Nietzsche salva, nella "trasvalutazione dei valori", solo la vitalità, la natura selvaggia, l'individuo scatenato, la bestia bionda. Diventa così il costruttore di quello che sarà il cuore teorico del fascismo. È questo il suo traviamento. Ma di lui in quanto dell'epoca. Tutti si accapigliano per stabilire i rapporti di Nietzsche col fascismo. Nessuno per stabilire che cos'era il fascismo. Ma il problema è questo, non quello. Il fascismo non fu, in origine, una malvagità gratuita, bensì un portato storico, il precipitato di una crisi autodistruttiva. Ma proprio questa dottrina pura, concepita cioè da Nietzsche in quanto non-politico, e che però proprio perciò ha le più gravi ricadute politiche, non è presa in considerazione come tale da Losurdo, e ciò segna il più grave limite della sua indagine. Mentre, infatti, gli altri aspetti di Nietzsche che fanno di Nietsche Nietzsche non servivano alla sua tesi, questo costituiva il solo mezzo per dimostrarla. Ma per arrivarci Losurdo avrebbe dovuto pensare più in grande, più in alto, risalire dal "prodotto dell'epoca" Nietzsche all'epoca stessa e alle sue cause. La crisi di cui Nietzsche è il principale esponente non è quella crisi continua di rivoluzione-reazione, che va da Socrate e Gesù ai nostri giorni, come Losurdo la intende, attribuendo a Nietzsche il merito di averne scoperto la longue durèe, ma una crisi specifica e unica, quella della civiltà sorta sulle ceneri della civiltà classica e di cui il cristianesimo è stato il motore spirituale e politico. Il suo primato nel mondo finirà con la seconda guerra mondiale, scatenata per prolungarlo. Al tramonto dell'Occidente e al fatale deperimento del cristianesimo come suo motore politico appunto, Nietzsche e tutta la cultura aristocratica si opponevano per preservare quei valori europei creati con millenni di lotte e conquiste, che si erano ritirati dalle masse, scatenate nella ricerca dei beni materiali, e si erano concentrati nelle élites. Ma ciò spingeva alla concentrazione anche la parte contraria. Ed ecco formarsi i due corni del dilemma che, ritorcendosi poi l'uno contro l'altro, avrebbero lacerato il corpo europeo per tutto il "secolo breve", lasciandolo infine esanime, svuotato, e costringendolo a cedere il testimonio a soggetti politici emergenti, soprattutto, per via ereditaria, agli Stati Uniti d'America.

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