La Repubblica

Domenico Losurdo

 

Il libro di Domenico Losurdo ha suscitato un acceso dibattito sulla stampa ed è già un caso editoriale. Filosofia.it vi propone un resoconto completo degli articoli che si sono occupati del volume.


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La Repubblica-1 Ottobre 2002

Friedrich Nietzsche Qualcuno ha reso innocenti le sue parole più pesanti

A colloquio con Domenico Losurdo autore di una monumentale biografia che accusa l'edizione Colli-Montinari

di Antonio Gnoli

Dopo una immersione durata sette anni, compulsando e analizzando le opere nonché l'enorme pubblicistica che è cresciuta attorno a Nietzsche, il professor Domenico Losurdo ha partorito un libro di quasi milleduecentopagine sul filosofo che più di ogni altro ha diviso, tormentato e sollecitato gli studiosi di ogni colore, bandiera o tendenza. Nietzsche, il ribelle aristocratico che fra qualche giorno Bollati Boringhieri manderà in libreria (pagg. 1169, euro 55) è il sogno ambizioso di riscrivere in maniera definitiva (o quasi) ciò che è stato Nietzsche e quali eccedenze teoriche ha conservato per noi. Diciamo subito che quello di Losurdo, ordinario di storia della filosofia a Urbino, non è un libro innocente. Anzi a ben guardare - pur con tutti i distinguo e le cautele che lo studioso avanza - si tratta di una operazione editoriale orientata. Ma verso dove? Al lettore che vuole raccapezzarsi in questa foresta di carta (e di documenti) conviene partire dall'appendice che tra l'altro Losurdo ha dato come anticipazione alla rivista Belfagor in uscita domani. E' una lettura molto istruttiva, quasi una dichiarazione di intenti posta alla fine di questa, immaginiamo, sofferta ricerca. Losurdo se la prende con l'edizione critica di Nietzsche curata per Adelphi da Giorgio Colli e Mazzino Montinari. La coppia avrebbe "censurato" e in alcuni casi omesso alcune imbarazzanti frasi di tono antisemita di Nietzsche, dando così vita "a scelte linguistiche infelici ed equivoche". E' curioso che ce la si prenda con una edizione che fu adottata In Germania dall'editore de Gruyten proprio su suggerimento dell'ebreo Karl Löwith. Ma tant'è. Resta l'involontaria ironia per una vicenda che vede coinvolto in primo luogo Giorgio Colli, che proprio alle origini della Boringhieri piantò alcuni interessanti semi culturali.

Professor Losurdo, il suo lavoro ricostruisce il cammino tormentato di Nietzsche. Le chiedo molto brutalmente se c'era bisogno di un'altra biografia intellettuale rispetto a quanto già esiste in circolazione «E' una valutazione che lascio volentieri a chi avrà la bontà di leggere il mio libro». Lei se la prende con l'edizione critica. di Colli e Montinari. Perché? «Fermo restando che ormai questa è un'edizione imprescindibile, ho l'impressione che presenti dei limiti di fondo. Voglio dire che la traduzione elude abbastanza sistematicamente il contesto storico e politico e quindi immerge Nietzsche in un bagno di innocenza». Su questo torneremo più avanti Nietzsche è un autore che in pochi anni ha pensato fino in fondo una serie di esperimenti intellettuali contrassegnati, lei sostiene, da una costante critica alla rivoluzione. E' così? «Diciamo meglio. Nel corso della sua non lunga esistenza Nietzsche si accosta alla critica della rivoluzione con metodologie diverse». Ma che cosa critica esattamente? «E' noto che molti rappresentanti della restaurazione nella seconda metà dell'Ottocento aprirono un dibattito su quali fossero le cause di una catastrofe storico-politica incombente. Taluni facevano risalire queste cause alla Rivoluzione francese, altri alla riforma di Lutero. Nietzsche che ha sotto gli occhi gli esiti della Comune di Parigi, radicalizza il discorso». Lo spinge fino a dove? «Fino a coinvolgere il cristianesimo e l'ebraismo. Egli ritiene che i primi agitatori sociali siano non solo i padri della Chiesa ma anche i profeti ebraici. In questi ultimi scopre una fortissima carica di protesta sociale e di odio contro la ricchezza e il potere. Ai suoi occhi questo è il vero punto di partenza della catastrofe rivoluzionaria». Lei sa che è ormai acquisita una lettura che disinnesca l'antisemitismo di Nietzsche e che la sua cosiddetta "giudeofobia" appartiene a un certa fase del suo pensiero. «Conosco perfettamente l'attuale storiografia dominante. E trovo inoppugnabile separare il primo Nietzsche - quello giovanile, che desume elementi di giudeofobia dall'influenza di Wagner e Schopenhauer da un secondo e un terzo Nietzsche molto diversi per riflessione e tono sull'argomento». Il Nietzsche "illuminista" infatti è molto lontano dall'accusa di antisemitismo. «Non solo, egli prende nettamente le distanze dal suo periodo giovanile. L'ultimo Nietzsche, infine, è lontano dai furori giovanili, ma torna sulla questione della rivoluzione che in Occidente ha trionfato, lui dice, grazie all'ebraismo». Però è al tempo stesso molto critico nei confronti dell'antisemitismo razziale. «Non c'è dubbio, tanto è vero che manifesta un disprezzo profondo per Dühring. Però io mi pongo un altro problema: come mai l'ultimo Nietzsche, mentre polemizza con il teorico dell'antisemitismo razziale, guarda poi con esplicita simpatia alla Russia zarista, dove in realtà l'antisemitismo e i pogrom sono particolarmente diffusi?».

Mi scusi ma la Russia di quegli anni a cui intellettuali e artisti si rivolgono è il mondo da scoprire nei suoi valori naturali. E' l'alternativa al modello di vita europeo. E' natura e spiritualità profonda. «Al tempo stesso è il paese preso a modello dalla rivista Antisemitische Korrespondenz che Nietzsche conosce molto bene». La conosce a punto da rifiutare di collaborarvi. «Però legge le cronache sulla Russia». Ma i motivi di attenzione verso quel paese sono altri. «Sono anche altri. Non c'è dubbio che egli consideri la Russia una nazione giovane non contaminata dal parlamentarismo e dalla democrazia». Anche Flaubert, per fare un nome, non ama il parlamentarismo, la democrazia. «Ciò non toglie che ci siano in Nietzsche espressioni inquietanti che volte richiamano alla teoria del complotto». Per esempio? «Pensi al giudizio su Paolo, di cui sottolinea l'origine ebraica. Egli ne parla come di un mentitore, di un complottatore. Estende il giudizio ai sacerdoti ebraici, li accusa di doppiezza, nel senso che nel nome della potenza avrebbero insegnato qualcosa cui loro stessi non credevano». Ma quello che lei dice si può tranquillamente ricondurre a una lettura del potere. Un potere è sempre in qualche modo doppio. Può nascondere segreti e più diversi da quelli dichiarati. «Secondo me l'ultimo Nietzsche non ha in mente di smascherare gli arcana imperi. Potrebbe anche essere. Ma non sarebbe comunque la questione essenziale. Adombro un'altra tesi. Nietzsche è convinto che il cristianesimo sia lo strumento attraverso cui Israele ha raggiunto e conseguito il suo trionfo. Egli considera l'intero ciclo rivoluzionario, che parte dal cristianesimo e giunge al socialismo, come lo strumento di volontà di potenza di un popolo determinato. Le ripeto, io non parlo di antisemitismo di Nietzsche, nel senso che egli non si spinge mai sino alla condanna di una presunta razza immutabile nel tempo. Ma l'aspetto pericoloso è che per Nietzsche il ciclo della rivoluzione coincida con il ciclo dell'ebraismo». Ammetterà che esiste una sterminata letteratura su messianismo di origine ebraica e rivoluzione. Dov'è lo scandalo? «Ma qui non si allude alle aspettative palingenetiche, qui si parla di una reazione profonda alla rivoluzione che un certo clima culturale dell'epoca vede come una malattia rovinosa».

Mi scusi, ma anche qui la situazione può essere letta come una più generale reazione ai moti rivoluzionari. «C'è - è chiaro - una reazione che coinvolge molti scrittori e filosofi. Pensi a Tocqueville. Si chiede perché in Francia ci sia un processo rivoluzionario ininterrotto, dall'89 alle due rivoluzioni del '48. Non riesce a spiegarsi questi incessanti rivolgimenti, perciò ricorre alla metafora del virus di una specie nuova e sconosciuta. Questo agente patogeno è per lui l'intellettuale sovversivo». E Nietzsche cosa c'entra? «Nietzsche allarga il discorso dalla Francia all'intero Occidente. L'Occidente è il luogo delle rivoluzioni. Anche lui va alla ricerca dell'homo ideologicus ma ragiona nella prospettiva della lunga durata. Nei due millenni rovinosi di storia occidentale egli fa coincidere l'homo ideologicus con l'ebraismo». Ma che cosa ha a che fare tutto questo con l'antisemitismo? «Ritengo che il nazismo, attraverso un processo complesso e contraddittorio, abbia finito con l'etnicizzare questo motivo del virus di una specie nuova e sconosciuta riconducendolo non più all'homo ideologicus bensì direttamente al popolo ebraico». Lei dichiara di non avercela con Nietzsche, ma poi parla della pericolosità del suo discorso. Il che è già un giudizio di condanna del suo pensiero. «Guardi, semmai è vero il contrario. Occorre liberare Nietzsche dai suoi apologeti che lo hanno addormentato». Torniamo così alla questione della edizione critica Colli-Montinari. Lei dice: hanno creato una immagine innocente di Nietzsche che non esiste. «Più o meno è così».

Qualcuno potrebbe obiettarle che quell'immagine corrisponde al bisogno di togliere le scorie naziste che avevano contaminato il suo pensiero. E che dunque la sua lettura contribuisce, sia pure involontariamente, a rinazificare Nietzsche. «Da parte mia non c'è stata alcuna volontà di nazificare Nietzsche. Faccio solo vedere che certi motivi sono presenti sia nella cultura europea che in quella americana. E che semmai il nazismo ha radicalizzato questi motivi». Trovo singolare che lei critichi l'interpretazione "musicale" che Colli avrebbe dato di Nietzsche senza sentire il bisogno di citare una sola sua opera in bibliografia. «Non ci si può occupare di tutto». E' come se lei ignorasse l'esistenza di una lettura teorica di Colli. C'è, può essere discutibile, ma c'è. Perché non esaminarla? Come pure è strano che lei non citi un articolo fondamentale che Gottfried Benn scrisse per il cinquantenario della morte di Nietzsche. Tutto il dibattito che in Francia apre a una nuova lettura di Nietzsche è ignorato. Klossowski non è presente, Deleuze è appena nominato. In un lavoro così imponente trovo curioso che questi snodi teorici non abbiano trovato una collocazione. «Avrei dovuto fare una storia delle interpretazioni di Nietzsche. Ma sarebbe stata un'altra cosa. Il mio lavoro parte dal presupposto che finora ci si é misurati poco sul piano della ricostruzione e della contestualizzazione storica di Nietzsche. Su di lui si è fatto spesso un lavoro arbitrario. Si è colto un aspetto ignorando l'intero». Ma è un intero molto frammentato. Perché non tenere conto di quanto il suo pensiero sia proteiforme, mutevole, al limite sfuggente? Al contrario ho l'impressione che il suo lavoro adombri un tipo di possibile lettura che, come si sa, ha avuto esiti nefasti per la strumentalizzazione e il fanatismo con cui è stata affrontata. «Non mi riconosco in quegli esiti, nel riduzionismo storicistico». Però non esita a mettere sullo stesso piano Elisabeth Forster, sorella di Nietzsche, e Colli-Montinari. «Non li metto sullo stesso piano. So benissimo che Elisabeth era una poveraccia. Sostengo che la sorella di Nietzsche, contrariamente agli stereotipi, non ha cercato di reinterpretare in chiave protonazista il suo pensiero. In realtà quello che lei fece fu di erigere un monumento alla rispettabilità del fratello».

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