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Domenico Losurdo

 

Il libro di Domenico Losurdo ha suscitato un acceso dibattito sulla stampa ed è già un caso editoriale. Filosofia.it vi propone un resoconto completo degli articoli che si sono occupati del volume.


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Area, Febbraio 2003

La sinistra era quasi riuscita ad appropriarsene, evirandolo.
Il Nietzsche buonista non convince più.

di Giano Accame

Rischia di sgretolarsi una delle realizzazioni culturali più serie della sinistra italiana: l'edizione critica delle opere di Friedrich Nietzsche in tedesco, italiano (per Adelphi) e francese curata da Giorgio Colli e Mazzino Montinari. Ne denuncia ancor più da sinistra le falsificazioni Domenico Losurdo, ordinario di storia della filosofia a Urbino, con 1167 pagine su Nietzsche, il ribelle aristocratico (Bollati Boringhieri, ¤ 68). Repubblica ha reagito attaccando Losurdo con due pagine di strilli rabbiosi. Nietzsche, come Carl Schmitt, era ormai di famiglia. Entrambi più attuali, quindi più efficaci, di Marx, erano stati assunti a tema di convegni dall'Istituto Gramsci del Veneto, punta avanzata nel disegno suggerito da Adorno di riutilizzare a sinistra le critiche di destra alla borghesia.
Per riciclare Nietzsche, però, era necessario liberarlo dalla nomea di filosofo ispiratore del nazismo. Così, denuncia Losurdo, l'hanno ridotto a brodino digeribile, leggero, ma falsificato. Il Nietzsche di cui Hitler nel '43 aveva mandato le opere a Mussolini imprigionato da Badoglio non esisteva più. Losurdo l'ha restituito grintoso, reazionario, rispetto alla risciacquatura nel politicamente corretto che l'aveva reso accettabile agli ipocriti come Vattimo e altre farfallette dei salotti progressisti.
Qui devo avvertire: tra le malattie infantili ho passato l'evolismo, ma non sono mai stato nicciano. Secondo me questo figlio d'un prete protestante, cioè di piccolissima borghesia schiacciata da moralismi opprimenti e obbedienze cariche d'invidia verso i ceti superiori, non ha capito mai cosa fosse un signore, confondendo classe con superbia, durezza, cattiveria. Mentre cattivi con le bestie a cui contendono i bocconi e a maggior ragione con altri straccioni a cui non danno mai l'elemosina sono i poveracci, che non possono permettersi il lusso della gentilezza, della sensibilità, della delicatezza. Per loro cortesia, educazione, è schiena piegata, umiliazione, perché ciò gli è imposto, e non riescono a comprenderla come tratto d'eleganza. Nietzsche, superuomo tormentato da mal di testa e altri disturbi, raccomandava di trattar le donne con la frusta, ma appena in via eccezionale una donna s'accorse di lui si lasciò attaccare a un carretto come un somarello.
Anche per questi motivi era schiavista, antisemita, ma ammirava a distanza le grandi famiglie giudaiche, quando sollevandosi dalla condizione di straccivendoli potevano concedersi modi da snob. Poco prima d'impazzire predicò un colpo di Stato fondato sull'alleanza tra ufficiali prussiani e banchieri ebrei, ma anche questo sogno, che è stato presentato come filoebraico, in realtà si nutriva coi pregiudizi dell'antisemitismo volgendo goffamente in positivo i motivi con cui abitualmente si eccitava odio contro gli ebrei. Diceva infatti Nietzsche (e cita Losurdo): <I tedeschi devono allevare una casta dominante: negli ebrei sono insite qualità che sono ingredienti indispensabili per una razza che vuole condurre una politica mondiale. Il senso del denaro deve essere appreso, ereditato ed ereditato mille volte: ancora oggi l'ebreo è in grado di gareggiare con l'americano>.
Per il resto le descrizioni nietzsciane degli ebrei, ripescate da Losurdo, sono ancor più sgradevoli: <Il loro occhio non convince, la loro lingua diventa facilmente troppo rapida e si imbroglia, la loro collera non s'intende del profondo e rispettabile ruggito leonino, il loro stomaco non regge ai grandi banchetti, né il loro intelletto ai forti vini, le loro braccia e gambe non permettono a essi le passioni altere (nelle loro mani palpita spesso non so quale ricordo); e perfino il modo in cui un ebreo monta a cavallo […] non è privo di difficoltà, e fa capire che gli ebrei non sono mai stati una razza cavalleresca>. In un altro passo aveva definito il giovane ebreo della Borsa come <l'invenzione più rivoltante della razza umana>; oppure aveva descritto <quei solitari del denaro, veramente internazionali e senza patria, i quali nella loro mancanza naturale dell'istinto statale, hanno imparato a usare malamente la politica come strumento della Borsa, e a sfruttare lo Stato e la società come apparati per il loro arricchimento>.
Si ripropongono così modi d'esprimersi abbandonati da tempo e che riemergono, come ha osservato Sergio Romano, da processi di saturazione per i rimproveri che gli ebrei continuano a rivolgere al resto del mondo (sul silenzio della Chiesa, quello degli Alleati, i volonterosi carnefici di Goldhagen, la denuncia d'ogni comprensione verso i palestinesi come complicità in terrorismo e via discorrendo). Qualcuno può trovare il campionario di Losurdo stuzzicante, come un tempo certe fotografie che il Borghese pubblicava con l'apparenza della critica moralista. Potrebbe diventar pericoloso se è vero che da più parti (dall'ultradestra negazionista, ma ancor più dalle kefie di sinistra) fermenta un nuovo antisemitismo. Lo dico non per rimproverarne Losurdo, di cui considero l'opera interessante anche se eccessiva, ma per registrare un addensarsi di riflessioni sul giudaismo, da Carl Schmitt a Nietzsche, che non mi sembra casuale e potrebbe rientrare tra i segni dei tempi.
Tra questi segni si dovrebbe includere lo spazio dedicato alle simpatie schiaviste di Nietzsche, che Losurdo mette in connessione sia con la storia degli Stati Uniti, sia con la reticenza a estendere a delitti politici il criterio su cui si basò Norimberga. Dice Losurdo: <Com'è noto, la Norimberga reale, chiamata a giudicare i crimini del Terzo Reich, si rifiutò di far valere il principio del tu quoque invocato dagli imputati […] Ma oggi, a decenni di distanza, respingere il principio del tu quoque anche per la Norimberga ideologica che ci si ostina a voler inscenare sarebbe inammissibile sul piano etico e fuorviante su quello storiografico>. Non era infatti solo Nietzsche a prefigurare il Terzo Reich augurando l'annientamento delle "razze decadenti" e dei malriusciti d'ogni tipo, ma una parte non esigua della cultura occidentale; e Losurdo riimprovera a critici del nazismo come Hannah Arendt <il silenzio pressoché totale sulle correnti socialdarwiniste, sulle pratiche eugenetiche e sulle tentazioni genocide che si manifestano negli Stati Uniti tra Otto e Novecento>.
Per prefigurare il nazismo, oltre ai tanti richiami di Nietzsche al mito ariano, c'è questo passaggio dalla Volontà di potenza: <Una razza dominatrice può crescere soltanto da inizi terribili e violenti. Problema: dove sono i barbari del XX secolo? Evidentemente, si mostreranno e si consolideranno soltanto dopo enormi crisi socialiste>. E' la tesi di Nolte: il nazismo, nella guerra civile europea, come risposta al bolscevismo. Domenico Losurdo ovviamente non la condivide. Per lui, come a suo tempo per il Lukacs della Distruzione della ragione, la filiazione tra Nietzsche e il nazismo è diretta. Mazzino Montinari nella raccolta di scritti Su Nietzsche per gli Editori Riuniti (1981) aveva osservato: <Il Nietzsche di Lukacs diventa addirittura più fascista del Nietzsche di Bäumler>, cioè di come lo presentava un filosofo nazista nello sforzo d'annetterlo quale precursore. Lo stessa operazione che porta da Nietzsche ad Auschwitz, impiegando meno di Lukacs l'accetta e lavorando un po' più di fioretto, l'ha condotta Losurdo contro i nietzsciani della sinistra buonista. Ha ragione: Nietzsche non è riconducibile al buonismo. Ma restituendolo al nazismo e all'antisemitismo chi ne guadagna, insieme alla verità, non è il vecchio Marx caro a Losurdo: è la croce uncinata. Perché sulle tremende illuminazioni del filosofo nichilista, ci piacciano o meno, dovremo continuare a riflettere.
Marx è tramontato, il deserto cresce.

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