Liberazione

Domenico Losurdo

 

Il libro di Domenico Losurdo ha suscitato un acceso dibattito sulla stampa ed è già un caso editoriale. Filosofia.it vi propone un resoconto completo degli articoli che si sono occupati del volume.


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Liberazione, 5/2/2003

Nietzsche il ribelle e la legge del più forte

di Stefano Azzarà

"Non possiamo essere altro che rivoluzionari": all'indomani del '68 e sull'onda di una più vasta esigenza di emancipazione, è in questa chiave libertaria e anarchica che Nietzsche veniva "recuperato" a sinistra. Interpretandolo come il filosofo della liberazione dell'individuo da tutte le "strutture sociali che implicano necessariamente la divisione tra dominanti e dominati", Vattimo ne denunciava il fallimento finale proprio nel mancato incontro con il "movimento rivoluzionario" degli "esclusi" e "sfruttati" dalla ratio capitalistica, lamentando però l'ostilità della cultura comunista. Né diverso era il senso della ricerca di Cacciari sul "pensiero negativo".

L'errore della sinistra
Le ragioni di ciò che secondo Domenico Losurdo è stato un grave equivoco investono il problema generale della crisi di autonomia della cultura marxista italiana e della sua dissoluzione post-moderna. Per impostare oggi una lettura più realistica di Nietzsche, non è necessario ma utile, però, ricordare banalmente l'uso politico che del suo pensiero è stato fatto da parte del nazismo. Né Losurdo, in questo volume dedicato al filosofo tedesco (Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 1.167, euro 68,00), intende riattualizzare un'interpretazione pur importante come quella di Lukàcs (i cui presupposti, la decadenza ideologica della borghesia e l'inarrestabile avanzata del movimento operaio, si sono rivelati caduchi). Ciò che a suo avviso è indispensabile, piuttosto, è operare una rigorosa contestualizzazione storica: leggere Nietzsche "nel suo tempo", dice, significa mantenere un costante riferimento alle concrete trasformazioni che a fine Ottocento animavano la storia mondiale, nonchè ripercorrerne l'evoluzione alla luce dell'intero dibattito filosofico e ideologico nel quale egli era immerso.
E' l'unica metodologia corretta, secondo Losurdo, per riconoscere davvero l'importanza di questo filosofo, la cui indiscutibile grandezza - che non necessita di maquillages a posteriori o letture "metaforiche" - consiste proprio nell'essersi confrontato con tutte le principali contraddizioni storico-politiche della sua epoca, cogliendone le tendenze di fondo ed elaborando un ambizioso progetto di superamento integrale della modernità.
Attraversando questo volume, scopriamo allora che il problema di Nietzsche è quello che un'intera fase storica pone alle classi dirigenti europee. Il blocco aristocratico-borghese delle élites al potere (Mayer) si trova di fronte le conseguenze di un imponente processo di emancipazione innescato dalla Rivoluzione francese e proseguito dal movimento operaio organizzato. L'epoca delle masse è cominciata e l'avanzata della democrazia moderna (politica, economica e sociale) è inarrestabile. Come evitare uno sconvolgimento radicale degli ordinamenti che storicamente garantivano la proprietà privata e il dominio dei ceti privilegiati? Il liberalismo europeo si divide e cerca nuove strade: ormai inane la difesa conservatrice dell'esistente, non resta forse che il compromesso, una "rivoluzione dall'alto" che tenga conto dei nuovi rapporti di forza e punti all'inclusione delle masse e all'assorbimento dei loro gruppi dirigenti. E però, identificando la democratizzazione con la fine della stessa civiltà europea, ampi settori del liberalismo si orientano, al contrario, per una controffensiva in grande stile, progettando
una "reazione aristocratica" che, lungi dall'accettare mediazioni, sfidi i processi di emancipazione sul loro stesso terreno: politica di massa, cesarismo plebiscitario, agitazione sciovinistica e colonialista.
A quest'altezza, ben immersa nel suo tempo e tutt'altro che "inattuale", si dipana la filosofia di Nietzsche. Un pensiero "totus politicus", dice Losurdo, che - sin dall'orrore disperato per la Comune di Parigi e con configurazioni molto diverse - trova il proprio cuore "nella critica della rivoluzione". Affinché vi sia "Civiltà", è necessario che la maggioranza degli uomini sia impiegata nella produzione e liberi dall'abbrutimento del lavoro l'élite dei pochi individui pienamente umani e capaci di vera creazione. L'epoca del "nichilismo europeo" e della "decadenza", l'epoca della fine del genio, è dunque in realtà quella della rivoluzione e dell'avanzata delle masse, i "nuovi barbari" che assediano i santuari della cultura e della distinzione di ceto. Ma la "rivolta degli schiavi", che sovverte ogni "ordinamento naturale" e impone il culto del progresso e del lavoro, ha una storia millennaria che va aggredita alla radice. Già la scoperta socratico-platonica del concetto individuava sul terreno della comune ragione i fondamenti logici dell'eguaglianza umana. Non diverso è l'esito dell'universalismo dei profeti ebraici o della predicazione d'amore e fratellanza del Cristianesimo…

I diritti della gerarchia
Riconducendo ad unità fili di per sé dispersi, Losurdo mostra come per Nietzsche l'intera storia della cultura europea e della formazione dei nostri "sentimenti morali", la storia dello stesso concetto di "umanità", sia egemonizzata dal ressentiment e dall'invidia plebea dei "malriusciti", che hanno castrato la superiore volontà di potenza dei "dominatori" attraverso l'induzione del più subdolo senso di colpa. E' con la modernità però, con l'emergere di un ceto di intellettuali fanatizzati dal loro credo criptoreligioso nella ragione universale e nel progresso, che la rivolta si fa organizzata e prorompe nella Rivoluzione francese e nel movimento socialista. Contro questa catastrofe dalle radici antiche, a nulla servono per Nietzsche tradizione o religione. Occorre semmai, spiega Losurdo, smantellare i freni inibitori che esse pongono alla controffensiva del "partito della vita" ed elaborare un "contromovimento" (Heidegger), una risposta filosofico-politica nuova. L'"immoralista" ora ribadisce con coraggio i diritti della "gerarchia" e mira a risolvere per sempre, attraverso misure drastiche, la questione del potere posta dalle "guerre socialiste" già in corso: non bisogna più arretrare di fronte all'idea di nuove forme di schiavitù, né a programmi eugenetici di "annientamento di milioni di malriusciti" e "allevamento" dell'"umanità superiore", né allo sterminio delle "razze inferiori".
E' un progetto grandioso, nella sua portata reazionaria e nella sua capacità, commenta Losurdo, di "mettere in discussione due millenni di storia". Nell'esprimere il fondo oscuro e ancora sconosciuto dell'estremismo liberale, esso sa ammantarsi di ribellismo e usare la parola d'ordine della rivoluzione, ed è anche capace di criticare cinicamente le ipocrisie della borghesia del suo tempo (come quando smaschera la natura imperialista di guerre condotte in nome della "civiltà", della "morale" o dei "diritti umani"). Ciò non toglie che la critica nietzscheana dell'ideologia, la sua contestazione della falsità dell'universalismo borghese e dei suoi ideali morali, conduca per Losurdo non alla ricerca di un universalismo pieno e compiuto ma alla rimozione di ogni vincolo e alla trasfigurazione della più brutale parzialità insita nella legge del più forte. La legge che il "popolo dei signori" pratica da sempre, prima contro le classi subalterne e poi contro i "sottouomini" delle colonie. La "liberazione" dagli assoluti della metafisica promessa da Nietzsche si rivela, allora, l'elaborazione di un progetto di dominio così radicale ed orgoglioso che nemmeno l'epoca terribile che si aprirà con la sua morte sarà capace di farlo pienamente proprio.

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