Diario Settimana

Domenico Losurdo

 

Il libro di Domenico Losurdo ha suscitato un acceso dibattito sulla stampa ed è già un caso editoriale. Filosofia.it vi propone un resoconto completo degli articoli che si sono occupati del volume.


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Diario Settimana dal 7/3/2003 al 13/3/2003

Eterni Ritorni
Dedicato a chi ha la passione del pensiero

di Giuseppe Montesano

E' probabile che una sorta di silenzio disgustato o di scettico fare spallucce accolga Nietzsche, il ribelle aristocratico di Domenico Losurdo: il Nietzsche candeggiato per le nuove masse alfabetizzate è così leggero! Così emozionante! Così oracolarmente profondo! Ecco invece arrivare un librone di 1167 pagine che pretende di svegliare i Begli Addormentati nell'Eterno Ritorno: ci riuscirà? A spulciare un po' nelle recensioni, si direbbe che il moto pavloviano più diffuso sia quello di una schifiltosa commiserazione: "Ma come! Si vuole forse privare la Filosofia dei suoi diritti? E trascinare il più inattuale degli inattuali nel volgare mercato della politica? Orrore! E' un puerile fraintendimento, ecc. ecc.". Ma cosa avrà mai fatto Losurdo per suscitare tanta risentita indifferenza? Ha solo provato a togliere a Nietzsche l'aura dell'antipolitico par excellence, lo ha calato nel clima intellettuale del suo tempo e lo ha messo a confronto con oscuri seguaci e illustri "maestri" come il Burke nemico della Rivoluzione Francese o il Gobineau teorico delle differenze razziali, arrivando alla conclusione che Nietzsche è un pensatore reazionario, dotato di una radicalità estrema ma tutt'altro che un "inattuale".
La tesi di Domenico Losurdo è che idee fisse nietzscheane come la necessità di una divisione in caste della società, come il dominio dei forti sui deboli per la creazione di una élite antidemocratica mondiale, come l'accusa alle Rivoluzioni di essere la prosecuzione del Cristianesimo in chiave socialista, come il darwinismo sociale predicante "l'annientamento di milioni di malriusciti", siano da interpretarsi alla maniera di verità letterali sostenute dal presunto apolitico Nietzsche con chiara coscienza politica. Losurdo prova a smontare quella che chiama "l'ermeneutica dell'innocenza", che ha interpretato tutto ciò in maniera metaforizzante, e a ricostruire l'influsso che queste idee e altre idee nietzscheane hanno avuto sui Rosenberg, sugli Hitler o sui Mussolini.
Già tutto questo non è poco, e soprattutto non va da sé: ma Losurdo ci aggiunge anche una continua, capillare demolizione della vecchia e nuova mitologia del pensiero liberale assolutizzato che non è certo facile da digerire nell'epoca che ha fatto e fa del termine "liberismo" un abuso intellettualmente terroristico svuotandolo di ogni significato. Si scopre allora che per un padre fondatore del liberalismo come Locke, la difesa dell'inviolabilità dell'individuo contro l'assolutismo si accompagna alla teorizzazione della schiavitù nelle colonie; che la morale del superlaico Mandeville prevede che l'indottrinamento religioso diventi un obbligo "per i poveri e gli illetterati"; che per Stuart Mill è possibile esportare la civiltà occidentale in "società arretrate in cui la razza stessa può essere considerata minorenne", solo con un "dispotismo" che in questo caso è "legittimo"; che per Tocqueville le miserie umane sono "opera della provvidenza", ed è impossibile "sopprimere la povertà cambiando l'ordinamento sociale"; che l'ultraliberale Hayek, come un Nietzsche a dispense, dice che tutte le richieste di "giustizia sociale" vengono sempre dai "falliti" e dal loro "risentimento". Sono convincenti le argomentazioni di Nietzsche, il ribelle aristocratico? Nella chiave di storia delle idee proposta, sicuramente sì. Sono "giuste" nei confronti di interpreti insigni come Colli, o esauriscono un pensiero che ha portato l'arte del sospetto conoscitivo al punto da sospettare delle verità e del "sospetto"? Come è inevitabile, no. Del resto è lo stesso Losurdo a parlare dell'"eccedenza teorica" del pensiero di Nietzsche e del suo sottrarsi alla morsa delle interpretazioni monocratiche, della possibilità di imparare da Nietzsche l'arte dello smascheramento e di "far valere la sua metodologia contro il progetto politico a lui caro e, soprattutto, contro l'ideologia oggi dominante".
E' ovvio che a questo punto il lettore-recensore si arresti, senza pretendere né da sé né da chiunque altro la famigerata e fasulla "obiettività", e si ponga invece una domanda che gli sembra più urgente: arriverà questo libro nelle mani di chi ha ancora abbastanza passione per pensare? Perché varrebbe davvero la pena leggerlo, e arrabbiarsi, e trovarlo discutibile, e criticarlo con la mancanza di riguardi che c'è in ogni vero pensare: come varrebbe la pena rimettere in discussione tutte le idee belle e fatte che già un Flaubert disperato e sopraffatto collezionava per l'infinito Dictionnaire des idées reçues, e che oggi nessuna discarica intellettuale riuscirebbe più a contenere. Le questioni importanti, e quelle agitate da questo libro lo sono, devono essere sottratte agli accademici golosi di mistero e diventare dei lettori: con buona pace delle vestali che immaginano la filosofia come il magico gesto di un prestigiatore che fa sparire la cosa per far apparire il suo pensiero della cosa. Compratelo, prendetelo in prestito, andate in biblioteca, ma leggete, leggete Friedrich Nietzsche, il ribelle aristocratico.

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