Il Domenicale

Domenico Losurdo

 

Il libro di Domenico Losurdo ha suscitato un acceso dibattito sulla stampa ed è già un caso editoriale. Filosofia.it vi propone un resoconto completo degli articoli che si sono occupati del volume.


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Il Domenicale, 12 aprile 2003

L'individuo scatenato

La vitalità, la forza e la natura selvaggia come chiavi dell'ur-fascismo. Il filosofo della "morte di Dio" ne fu incarnazione e vate, non solo precursore. Bomba lanciata contro la "menzogna millenaria", Nietzsche non è stato però fascista in senso politico. Una lettura critica del "ribelle aristocratico" di Domenico Losurdo.

di Sossio Giametta

Nietzsche, il ribelle aristocratico, di Domenico Losurdo, ha fatto discutere prima e dopo la sua pubblicazione ed è tuttora al centro di un vivo dibattito (ci sono stati due convegni a Napoli e a Milano dedicati al volume). È comprensibile: non è un libro come tanti altri. È, se lo si prende per quello che è e non per quello che pretende di essere, un'impresa, frutto di sette anni di lavoro, che, per la passione, la tenacia, gli alti intenti, la cultura, la maestria e il rigore profusivi, si può dire eroica senza spreco del termine. Si impone già con la sua mole, insieme pachidermica e monumentale (1168 pagine fuori tutto). Ma s'impone soprattutto per la gesta che vi è racchiusa: una ricca, agguerrita, rigorosa rassegna, alla luce della critica aristocratica, cioè reazionaria di Nietzsche, dell'idea rivoluzionaria nei suoi cicli storici, a cominciare da Socrate e Gesù fino al tardo Ottocento e passando in particolare per Lutero e Rousseau. Si sarebbe quindi potuta più giustamente intitolare: Storia dell'idea di rivoluzione alla luce della critica aristocratica di Nietzsche. Soltanto che Nietzsche non è affatto il solo a prendere qui la parola. Nel libro trovano infatti ampio posto anche Burke, Taine, Constant, Tocqueville, Cortés, Dostoevskij, Schopenhauer e tanti altri oppositori della rivoluzione, oltre alla pletora dei loro avversari, sicché Nietzsche rimane spesso in letargo per pagine e pagine.
Tuttavia, anche se il tema è limitato e come tale fatalmente destinato a ingenerare monotonia e stanchezza, la trattazione sempre tesa, scorrevole e piena di aperture, tiene sempre viva l'attenzione, il che, per un libro di tale vastità, è un fatto eccezionale.
L'unica cosa che non va bene è appunto la pretesa dell'Autore di aver scritto un libro su Nietzsche. Perché Nietzsche, in questo libro, non c'è. Come non ci sono Heidegger, Jaspers, Deleuze, Bertram, Klossowski, Löwith, Janz, Andler e i tanti altri famosi interpreti e biografi di Nietzsche, anche se ci sono - dulcis in fundo o piuttosto in cauda venenum - i due grandi editori di Nietzsche, Colli e Montinari (ma solo per esservi maltrattati). Certo è questa una semplificazione brutale, perché di Nietzsche si parla sempre e anche gli interpreti fanno qua e là capolino. Ma questi sembrano ombre di se stessi, fantasmi che appaiono e scompaiono, figure tangenziali che non fanno parte della trama, mentre si sa che la filosofia sulla filosofia è parte integrante della filosofia. Nietzsche stesso è come un fantasma. Non perché non si parli di lui ma per come se ne parla. Con l'eccezione del capitolo 29, dedicato all'"eccedenza teorica" del ribelle aristocratico, se ne parla infatti solo o quasi solo (ma le eccezioni sono ridicole o grottesche) come pensatore "totus politicus".
Nietzsche pensatore totus politicus? Vediamo cosa ne dice Colli. Pur ammettendo che "un modello di aristocrazia dello sguardo e del pensiero è stato proposto da Nietzsche", egli specifica: "Nietzsche sputa sulla politica, è l'antipolitico per eccellenza. La sua è la dottrina del distacco totale dell'uomo dagli interessi sociali e politici. Questa sua natura spesso Nietzsche la vuole mascherare, e allora parla con trasporto di politica. … L'occuparsi di politica è l'attività disinvolta, smaliziata, frivola di Nietzsche, con cui egli vuole soprattutto convincere se stesso di non essere un uomo dei libri, di essere dentro alle cose. … Il suo intelletto demolisce ogni mito politico, ogni credenza nella politica… uno sguardo come il suo … è antipolitico nell'essenza". Dunque siamo agli antipodi. Ma cosa ne pensa Nietzsche stesso? "Nessuna situazione politica o economica merita che possano e debbano essere proprio gli spiriti più dotati ad occuparsene; un tale consumo dello spirito è in fondo peggiore di uno stato di privazione. Questi sono e rimangono campi di attività per le teste mediocri, e le altre diverse dalle mediocri non dovrebbero stare al servizio di questo laboratorio: che piuttosto la macchina vada di nuovo in pezzi!" (Aurora 179). Che cos'era allora Nietzsche, autore totus impoliticus, che Losurdo, interprete totus politicus, non ha preso in considerazione, anche se, basandosi su briciole, lui dice di sì? Ci può mettere sulla retta via uno degli interpreti ritenuti meno qualificati per Nietzsche, ma che ha detto su di lui in breve cose essenziali che gli altri, specie il sesquipedale Heidegger, non hanno detto, per cui anche viene di nuovo citato: Benedetto Croce. Parlando della "scarsa disposizione e mente speculativa" degli uomini della sinistra hegeliana e di Marx, afferma: "al tipo di pseudofilosofo … si collega altresì Federico Nietzsche, che si nobilita in confronto di quelli per la sua sincera quanto tormentosa e aberrante ansia morale e per i suoi fulgori di poeta". Croce non distingueva tra pensatori moralisti e filosofi sistematici (come tra filosofi e critici), sicché il moralista, che si fonda sull'esperienza e non sul concetto, diventa per lui uno "pseudofilosofo". Nietzsche era per lui "un filosofo, che era piuttosto un poeta, e portava nel cuore l'anelito alla purezza e alla grandezza"; "il carattere intimo dell'opera del Nietzsche è un'ansiosa, anche se traviata, ricerca morale". Ecco che cos'era Nietzsche, un moralista con cuore di poeta, e la sua opera una grandiosa ricerca morale. Invano si cerca nel libro il nichilismo come rivoluzione copernicana dello spirito, che fonda una totale, tremenda responsabilità individuale. Considerare un genio moralistico con un cuore poetico uno scrittore totus politicus è la stortura di fondo che inficia non il libro, ma la pretesa di aver scritto la "biografia intellettuale" e di aver dato il "bilancio critico" di Nietzsche, come recita il sottotitolo.
Un gran merito comunque il libro lo ha: quello di porre fine, con gli strumenti storici, filologici e critici più validi, all'ermeneutica dell'innocenza, che strappa Nietzsche dal suo contesto storico e dalle sue stesse radici. Sorta in seguito a un capovolgimento, dopo la guerra, della mentalità vigente e in contrasto con una troppo bassa politicizzazione di Nietzsche quando, molto anche grazie all'edizione Colli-Montinari, furono dissepolti i tesori di pensiero e di poesia giacenti nell'opera nietzschiana, questa tendenza si è impadronita anche degli ingegni migliori, fra cui i due Editori, inducendoli a qualche errore su cui Losurdo si accanisce. Questa tendenza è tuttora predominante, e però contrasta non solo con quanto di chiaro ed essenziale, in fatto di ricadute politiche del pensiero nietzschiano, hanno sempre detto autorevoli interpreti di Nietzsche - basta fare i nomi di Löwith e di Thomas Mann - ma anche con innumerevoli, esplicite enunciazioni di Nietzsche e, soprattutto, con la sua dottrina pura. Sostenendo l'irresponsabilità di tutti per qualsiasi cosa si compia, il "se Dio non esiste tutto è permesso" e l'innocenza del divenire al di là del bene e del male; negando la morale come la Circe degli uomini, affermando la sopraffazione e lo sfruttamento come il principio fondamentale e imprescindibile della vita, negando l'esistenza di una realtà come configurazione stabile delle cose e la verità come corrispondenza a una tale realtà, affermando dunque la realtà come caos ingovernabile e imperscrutabile, e la conoscenza come mero prospettivismo, qualificando la verità come l'errore di cui abbiamo bisogno per sopravvivere, la logica come un apparato di falsificazione a scopo di autoconservazione, esaltando la durezza e la cattiveria e stabilendo infine come criterio di validità della filosofia non la verità ma la capacità di aiutare i forti contro la massa, Nietzsche salva solo la vitalità, la forza, la natura selvaggia, cioè il Gewaltmensch, l'individuo scatenato, la bestia bionda, e diventa il costruttore di quello che sarà il cuore teorico del fascismo, non solo un precursore di quest'ultimo. È questo il suo traviamento. Ma suo solo in quanto dell'epoca. Tutti si accapigliano per stabilire i rapporti di Nietzsche col fascismo. Ma il vero problema è stabilire che cos'era il fascismo, e naturalmente la sua intensificazione nazista. E il fascismo non era, in origine almeno, una malvagità gratuita, bensì un portato storico, una fatalità storica, come precipitato della crisi autodistruttiva della civiltà cristiano-europea giunta al suo tramonto. Ma proprio questa dottrina pura, appunto, concepita da Nietzsche in quanto non politico, che però proprio perciò ha le più gravi conseguenze politiche, non è presa in considerazione, studiata e fatta valere in quanto tale da Losurdo. Questi politicizza una ben più ampia e generica crisi storica, e ciò segna il più grave limite della sua indagine. Mentre, infatti, gli altri aspetti essenziali di Nietzsche, quelli che fanno di Nietsche Nietzsche, cioè la sua grandezza di moralista, educatore, psicologo, diagnostico della décadence, profeta e, per la sostanza, poeta tragico, non servivano alla sua tesi, questo era il solo modo di dimostrarla. Per arrivarci Losurdo avrebbe dovuto pensare più in grande, più in alto, risalire dal "prodotto dell'epoca" Nietzsche ("Gli uomini sono da considerare organi del loro secolo che si muovono perlopiù inconsciamente", dice Goethe) all'epoca e a ciò che l'aveva prodotta. La crisi di cui Nietzsche è il principale esponente non è quella crisi continua, che va da Socrate e Gesù ai nostri giorni, come Losurdo la intende (attribuendo a Nietzsche il merito di averne scoperto la longue durèe), ma una crisi diversa, specifica e unica, quella della civiltà europea sorta sulle ceneri della civiltà classica e di cui il cristianesimo è stato il motore, il tramonto dell'Occidente dopo duemila anni di storia, il decline and fall di questa civiltà che deterrà il primato politico nel mondo fino alla seconda guerra mondiale, scatenata per prolungarlo.
Questa crisi non fu dovuta a fatti degli uomini, ma a un fatto naturale, messo in luce da Nietzsche (poi dal suo seguace Spengler): l'invecchiamento, che è di ogni civiltà e di tutto quanto vive, grande o piccolo. Era a questo tramonto che Nietzsche e tutta la cultura aristocratica, cioè tutta la cultura a parte la sinistra, si opponeva. Si voleva resistere al disgregamento della società e al fatale deperimento del cristianesimo come motore spirituale e politico, preservare i preziosi valori creati con millenni di lotte e conquiste, che si erano ritirati dalle masse, ormai scatenate nella ricerca dei beni materiali, e si erano concentrati nelle élites, spingendo però automaticamente alla concentrazione anche la parte contraria. Ed ecco formarsi i due corni del dilemma che, ritorcendosi poi l'uno contro l'altro, avrebbero lacerato il corpo europeo per tutto il "secolo breve", lasciandolo infine svuotato, esanime, e costringendolo a cedere il testimonio ad altri più vivi e agguerriti soggetti politici, soprattutto, per via ereditaria agli Stati Uniti d'America.

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