Marxismo oggi

Domenico Losurdo

 

Il libro di Domenico Losurdo ha suscitato un acceso dibattito sulla stampa ed è già un caso editoriale. Filosofia.it vi propone un resoconto completo degli articoli che si sono occupati del volume.


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Marxismo oggi, n. 2, maggio/agosto 2003, pp. 14-26

Il dibattito su Nietzsche
di Caterina De Bortoli

Sommario: 1) Il rovesciamento del paradigma interpretativo; 2) La critica alle interpretazioni di Foucault e di Vattimo; 3) La teoria del complotto; 4) Il confronto con l’interpretazione di Lukács; 5) Conclusioni.

1) Il rovesciamento del paradigma interpretativo

“Nietzsche, il ribelle aristocratico” (Bollati Boringhieri) è il titolo dell’ultimo libro di Domenico Losurdo. Si tratta di un libro che ha dato luogo ad un dibattito molto acceso sulla stampa e che ha visto schierarsi tutte le principali testate italiane, da Liberazione al Secolo d’Italia. Non si può quindi oggi recensire il libro prescindendo dalla discussione, ad un tempo filosofica e politica, che ha suscitato.

Quella di Losurdo è una rilettura “dotta e poderosa dell’intera opera di Nietzsche” (Kurt Flasch, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 21/2/2003) al fine di ricostruire, attraverso un uso rigoroso del metodo storico-filologico, la biografia intellettuale del filosofo. All’interno delle tre diverse fasi del pensiero di Nietzsche – tripartizione condivisa anche da studi precedenti -, Losurdo individua il tratto costante e unitario di questo pensiero: il radicalismo aristocratico. Che cosa si deve intendere con “radicalismo aristocratico”? L’aristocrazia si definisce necessariamente in rapporto alla schiavitù. La civiltà si fonda, secondo Nietzsche, sulla schiavitù. L’universalità (razionale ed etica) della natura umana (tutti gli uomini sono razionali, tutti gli uomini sono liberi) viene radicalmente negata da Nietzsche a favore di una ristretta razza di signori. Le masse non partecipano del concetto di uomo, ma sono sussunte al concetto di schiavi, di “strumenti di lavoro”, di “materiali di rigetto e di scarto”. Il “radicalismo aristocratico” indica la reazione aristocratica alla rivolta degli schiavi. Con “radicalismo aristocratico” non si deve però intendere solo la reazione aristocratica alla rivoluzione francese o alla Comune di Parigi e, quindi, più in generale, ai moderni principi di egualitarismo, socialismo e democrazia. La rivolta degli schiavi infatti, secondo Nietzsche, ha una storia bimilennaria e viene ricondotta, oltre che all’Illuminismo e al socialismo, al cristianesimo e all’ebraismo post-esilico. Nietzsche interpreta quindi il cristianesimo come una tappa fondamentale di quella rivolta degli schiavi a cui si oppone. Questa interpretazione sarebbe stata condivisa da Hegel, anche se con conseguenze filosofiche e politiche di segno opposto rispetto a quelle di Nietzsche: anche per Hegel infatti il cristianesimo aveva anticipato una verità – tutti gli uomini sono liberi, tutti gli uomini sono uguali - che si sarebbe realizzata storicamente solo con la rivoluzione francese.

Volendo mettere in discussione due millenni di storia, Nietzsche si impegna a ridefinire tutte le categorie (epistemologiche e filosofiche). Nietzsche individua il conflitto politico-sociale non solo “nella predicazione evangelica, ma anche nel sillogismo socratico, nella logica e nella scienza in quanto tali”. Losurdo mostra come in Nietzsche il discorso epistemologico sfoci sempre nella filosofia politica. Le questioni teoriche più speculative, come ad esempio l’eterno ritorno o la dissoluzione del soggetto, il prospettivismo o il nominalismo, vengono rilette alla luce del radicalismo aristocratico. La filosofia politica diventa anche la chiave per interpretare le critiche teoretiche e morali che Nietzsche rivolge contro Gesù, Socrate, Lutero e Rousseau.

Riesce Losurdo a individuare l’elemento invariante e unitario nel corso delle svolte e delle rotture che hanno segnato lo sviluppo del pensiero filosofico di Nietzsche? Coloro che, nel dibattito a cui ha dato luogo il libro, si sono espressi su questo specifico punto, e cioè Severino (Liberal, febbraio/marzo 2003), Illuminati (Manifesto, 11/1/03) e Flasch (Frankfurter Allgemeine Zeitung, 21/2/03), hanno risposto positivamente. Illuminati si chiede però se fosse proprio indispensabile individuare la chiave di lettura che tiene insieme le diverse fasi del pensiero di Nietzsche: secondo me, per un libro che vuole essere una biografia intellettuale, sì. Nell’interpretazione di Losurdo l’opera di Nietzsche appare più coerente e unitaria che nelle interpretazioni precedenti.

Poiché da molti anni è prevalsa una lettura impolitica del pensiero di Nietzsche, il tema della schiavitù, ossessivamente ricorrente nell’opera del filosofo, quando non è stato del tutto ignorato, è stato interpretato ora come metafora, ora come paradosso. Losurdo inserisce invece il tema della schiavitù nel contesto storico, mostrando come, negli anni in cui vive Nietzsche, fosse di grande attualità: l’abolizione della schiavitù in Usa (la guerra di secessione), l’abolizione della servitù della gleba in Russia, il dibattito sul lavoro coatto che le potenze coloniali andavano introducendo nelle colonie. Nietzsche segue questi eventi storici e prende parte agli accesi dibattiti in merito. Nietzsche era quindi molto meno inattuale di quanto amasse stilizzarsi. Losurdo mostra come molte tesi, che si ritrovano presenti in Nietzsche, fossero sostenute dagli antiabolizionisti del Sud degli Usa. Nietzsche si oppone alla legislazione sociale di Bismarck che intende rendere pubblica l’istruzione elementare ed afferma: "Se si vogliono degli schiavi - e di essi si ha bisogno - non si devono educare come padroni". Rispetto alle guerre coloniali intraprese in nome dell’abolizione della schiavitù, l’analisi dissacratoria di Nietzsche può essere invece considerata una sorta di critica ante litteram delle moderne guerre umanitarie: “abolizione della schiavitù”, “parità dei diritti” e “giustizia” sono per Nietzsche “le abbaglianti parole d’ordine” sotto cui in realtà si nasconde “un opposto significato” (Picardo, Il Secolo d’Italia, 1/2/03).

Rispetto alla lettura impolitica oggi vigente, Losurdo propone quindi una lettura radicalmente politica della filosofia di Nietzsche. Si assiste chiaramente ad un rovesciamento del paradigma interpretativo: ciò che prima era quasi scomparso dall’orizzonte, ora balza in primo piano. Perché questo libro ha suscitato violente polemiche? La miccia è stata accesa da Repubblica che, prima ancora dell’uscita di “Nietzsche, il ribelle aristocratico” in libreria, ha rivolto due pagine di strilli rabbiosi contro il libro e il suo autore. Le pagine culturali di Repubblica si sono letteralmente infuocate.

Losurdo avrebbe usato contro Nietzsche l’accusa “tanto antipatica, quanto ipocrita e infondata” dell’antisemitismo (Volpi, Repubblica, 1/10/02) e tornerebbe quindi “ad accreditare il fantasma dell’”antisemitismo” di Nietzsche” (Gravagnuolo, Unità,12/1/03). In realtà Losurdo distingue l’antisemitismo (pratica di oppressione ed esclusione motivata naturalisticamente, ovvero da ragioni razziali), la giudeofobia (ostilità nei confronti della cultura e della religione ebraica che può indurre ad una discriminazione sul piano politico e/o sociale) e l’antigiudaismo (atteggiamento critico nei confronti della cultura e della tradizione ebraica che non mette in discussione l’eguaglianza civile e politica). In riferimento alla prima fase del pensiero di Nietzsche, quella problematica rispetto a questo argomento e dalla quale successivamente il filosofo prenderà nettamente le distanze, Losurdo afferma che non si può parlare di “antisemitismo” – mentre, ad esempio, si può parlare “dell’antisemitismo di Wagner” - ma “di antigiduaismo che sconfina nella giudeofobia, col rifiuto forse di riconoscere agli ebrei tedeschi la piena eguaglianza civile e politica”(pp.189-192).

Ma qual è, in realtà, il punto del contendere? Il nocciolo della questione, secondo me, viene fuori nell’articolo uscito sull’Unità. Gravagnuolo, autore del pezzo, vuole semplicemente fare da cassa di risonanza a Repubblica, ma indica con semplicità un percorso che è bene sottolineare: a partire dalla professione di fede per una lettura impolitica del pensiero di Nietzsche, Gravagnuolo ammicca alla sua carica emancipatrice e finisce per perorare la causa di una lettura politicamente orientata a sinistra. Il Nietzsche “ribelle” prende il posto del Nietzsche “aristocratico”. Da una lettura impolitica di Nietzsche ad una sua lettura politicamente orientata a sinistra il passo è breve. Lunga è la storia delle interpretazioni “a sinistra” del pensiero di Nietzsche e diversi possono essere i filosofi a cui fare riferimento: in Francia si può pensare ad esempio a Deleuze e Foucault, in Italia a Vattimo e a Cacciari. In Italia, nelle facoltà di Filosofia, queste sono diventate le diverse interpretazioni canoniche di Nietzsche. Per questo motivo, secondo me, il libro di Losurdo è stato accolto con una alzata di scudi da Repubblica e dall’Unità. Uno dei grandi meriti di questo libro è infatti, secondo me, proprio quello di aver riaperto il dibattito sul rapporto tra Nietzsche e la sinistra. Il 7 maggio, alla Fondazione Basso di Roma, di questo si è parlato: oltre all’autore, sono intervenuti Negri, Illuminati e Marramao. Era presente anche Mario Tronti, che però non è intervenuto.

2) La critica alle interpretazioni di Foucault e di Vattimo

Losurdo si sofferma in particolare sulle interpretazioni di Foucault e di Vattimo. Viene citato un passo della Microfisica del potere di Foucault: “Il solo segno di riconoscenza che si possa testimoniare ad un pensiero come quello di Nietzsche è proprio di usarlo, di deformarlo, di farlo stridere, gridare. Che poi i commentatori dicano se si è fedeli o no, non ha nessun interesse”. E’ proprio questo atto sovrano che Losurdo rifiuta, rivendicando il primato di una lettura attenta ad un tempo sia alla ricostruzione filologica che alla contestualizzazione storica del pensiero di Nietzsche. Poiché l’epoca del postmoderno ha decretato la fine di tutte le grandi narrazioni (filologiche, storiche, dialettiche o sistematiche) e ha reso omaggio al primato del frammento, ecco che il discorso di Losurdo può apparire immediatamente molto demodé. Naturalmente possiamo prendere dei passi o dei brani di Nietzsche, staccarli dal loro contesto ed usarli o deformarli come più ci aggrada. Qual è il rischio però? Il rischio è quello di dilatare a tal punto la categoria di interpretazione da spalancare le porte all’arbitrio. Foucault pone, ad esempio, accanto al filosofo del “rapporto di produzione” (Marx) il “filosofo del potere” (Nietzsche). Questa contrapposizione fa un torto a Marx, per il quale il rapporto di produzione è sempre anche rapporto di potere. Il punto però è un altro: Nietzsche è effettivamente un “filosofo del potere”, ma in Foucault surrettiziamente si trasforma in un “critico del potere”. La volontà di potenza, secondo Nietzsche, è ineludibile: agisce nello schiavo come nel signore. Agli occhi di Nietzsche tanto la scienza quanto la morale non sono trascendenti rispetto al conflitto e alla lotta per il potere, ma entrambe sono animate dalla volontà di potenza e dominio dei servi e dei plebei. Foucault si sofferma sulla critica di Nietzsche alla logica di potere e di dominio implicita nella verità scientifica: a partire dal rapporto tra il potere e la verità degli enunciati scientifici (rapporto che spiega anche la fortuna che Nietzsche ha avuto nel Novecento come autore di riferimento della filosofia continentale), deduce che il rapporto di potere è il bersaglio del discorso filosofico di Nietzsche. In realtà, spiega Losurdo, il bersaglio del discorso filosofico di Nietzsche è proprio il tentativo dei servi di mettere in discussione il potere dei signori. Foucault “deforma” il pensiero di Nietzsche nel senso che fa passare la decostruzione nietzscheana dei progetti di emancipazione delle classi subalterne per una critica del potere tout court. Nietzsche vuole smascherare la volontà di dominio e di potenza dei servi che si annida anche nella scienza e l’obiettivo della sua critica non è affatto una negazione del potere, ma una affermazione incondizionata e priva di impacci della volontà di potenza e di dominio dei signori.

La critica che viene rivolta a Vattimo è quella di una lettura completamente allegorica e metaforica di Nietzsche. Vattimo, secondo Losurdo, chiude le porte non solo alla contestualizzazione storica, ma anche alla ricostruzione filologica, impegnandosi in prima persona a depurare Nietzsche dei suoi stessi “autofraintendimennti”. Vattimo, ad esempio, propone di tradurre Übermensch non con “superuomo”, ma con “oltreuomo”: a Nietzsche, secondo Vattimo, starebbe a cuore esclusivamente il trascendimento dell’uomo della tradizione. La celebrazione che Nietzsche fa della guerra, diviene nell’interpretazione di Vattimo la “negazione nietzscheana dell’unità dell’essere” ovvero l’”insistenza sul conflitto, il caos, il carattere interpretativo di tutto”. Si può anche pensare, ma su questo tornerò più avanti, alla traduzione del termine Züchtung con “educazione” e non con “allevamento”, perché questo biologismo sarebbe, secondo Vattimo, puramente allegorico. Losurdo cita a tale proposito il Crepuscolo degli idoli, dove Nietzsche afferma che “sia l’addomesticamento della bestia uomo sia l’allevamento di una determinata specie umana” sono due “termini zoologici” ed è “il prete a non volerne sapere nulla di tutto ciò”. Non si possono leggere determinati passi di Nietzsche senza fare riferimento all’eugenetica, scienza salutata con entusiasmo dal filosofo e dominante nella cultura europea e occidentale della seconda metà dell’Ottocento. Nietzsche ha compreso perfettamente Galton e “invoca un “partito della vita” che si impegni in primo luogo nella realizzazione di un programma eugenetico” (652). Nietzsche teorizza la soppressione dei mendicanti e della plebaglia, l’annientamento dei malriusciti, dei deboli e dei falliti della vita e lo sterminio delle razze decadenti. Come interpretare tutto questo, si chiede Losurdo, in chiave metaforica?

Secondo Vattimo la condizione postmoderna, e quindi la fine delle grandi narrazioni moderne, non sarebbe pensabile senza Nietzsche. Nietzsche avrebbe infatti criticato in modo radicale i miti della Ragione, della Storia e del Progresso, liberando il singolo individuo da una ideologia ispirata “da progetti collettivi e metaindividuali di liberazione e emancipazione”: questa ideologia ,sottesa alla moderna filosofia della storia, era pronta “a sacrificare l’individuo sull’altare di un universale teologizzante e olistico” (1045). Nietzsche sarebbe quindi il teorico dell’individuo liberato dal peso delle grandi narrazioni moderne. Secondo Losurdo, invece, si può leggere Nietzsche in chiave individualista “solo a condizione di leggerlo a metà” (1050): lo schiavo non è infatti sussumibile sotto la categoria di individuo in quanto non è sussumibile sotto la categoria di uomo. I falliti e i malriusciti sono, secondo Nietzsche, “dappertutto superiori per numero” e i “più non sono nessuna persona”. Il pathos per la conservazione della specie “è un elemento essenziale del pensiero del presunto profeta del postmoderno” (1049): i falliti, i malriusciti e i deboli pesano in modo intollerabile sulla società e sulla vita e bisognerebbe sollecitarli a porre fine alla loro esistenza priva di valore. L’irresponsabilità del socialismo e della religione è proprio quella di rafforzare, parlando di altruismo, l’egoismo dei deboli e dei malriusciti e in tal modo l’individuo, rimprovera Nietzsche, “è diventato così rilevante che non è più possibile sacrificarlo”. Tanto l’egoismo dei malriusciti quanto la complicità dei compassionevoli fanno correre alla specie, secondo Nietzsche, un pericolo mortale. La “civiltà”, la “vita”, la “specie” rappresentano in Nietzsche l’universale che esige il sacrificio delle sue vittime e che “inghiotte la stragrande maggioranza della popolazione” (1061). Quando parla dell’élite aristocratica Nietzsche sottolinea con forza il valore dell’individuo e la libertà dell’individuo viene pensata nei termini più inediti e radicali (superamento della divisione del lavoro, elogio dell’ozio, emancipazione della carne e del pensiero critico ecc.); quando parla della massa degli schiavi, dei deboli o dei malriusciti interviene invece con forza l’argomentazione di tipo olistico. Leggere in Nietzsche la fine delle grandi narrazioni è, secondo Losurdo, una ingenuità. Nietzsche sostituisce una grande narrazione con un’altra grande narrazione: al posto dell’ingegneria sociale democratica troviamo l’ingegneria sociale aristocratica auspicata da Zarathustra. Non “si comprende perché il rinvio alla “grande economia del Tutto”, ovvero alla “vita”, alla “legge suprema della vita”, all’”avvenire” di questa unità cosmica che è il mondo debba essere una spiegazione meno totalizzante di quella che rinvia al progresso dell’umanità” (1065).

3) La teoria del complotto

Ma come si è giunti ad una lettura che elude completamente il significato politico del pensiero di Nietzsche e che rifiuta ogni sua contestualizzazione storica? Il problema è quello della teoria del complotto in riferimento al rapporto tra il pensiero di Nietzsche e il Terzo Reich. In primo luogo bisogna considerare l’accusa alla sorella di Nietzsche, Elisabeth, di aver manipolato La volontà di potenza in modo da trasformarlo in uno dei libri di riferimento del Terzo Reich. E’ questa la versione oggi dominante: ideologi di primo piano del nazismo si sarebbero richiamati a Nietzsche a causa dell’intervento della sorella. Contro questa teoria Losurdo scrive pagine durissime (767-806). Innanzitutto Elisabeth scrive la biografia di Nietzsche circa 10 anni prima lo scoppio della prima guerra mondiale (La volontà di potenza è pubblicata nel 1906): neanche il profeta più straordinario avrebbe potuto prevedere allora l’avvento del Terzo Reich. Se poi si va a leggere questa biografia, si scopre che Elisabeth si sforza di rappresentare Nietzsche come campione della lotta contro la teutomania e contro l’antisemitismo. Per quanto riguarda il testo della Volontà di potenza, si tratta di una interpretazione nella quale i curatori hanno cercato di smussare certe asperità di Nietzsche. Quali asperità? Quelle contro la religione, le donne, la Chiesa e il Reich. Losurdo confronta un brano preso dalla Volontà di potenza con quello corrispondente nei Frammenti postumi per comprendere lo spirito con cui lavorava Elisabeth. Nella Volontà di potenza si legge: “La maggioranza degli uomini non ha diritto all’esistenza, ma costituisce una disgrazia per gli uomini superiori”. Nei Frammenti postumi l’aforisma prosegue così: “Ai malriusciti io non riconosco neppure il diritto [all’esistenza]. Ci sono anche popoli malriusciti” (772). La considerazione per cui a interi popoli può essere negato il diritto di esistenza imbarazza Elisabeth, che censura il passo:“Tutto si può dire dell’opera della sorella di Nietzsche come biografa e come editrice, tranne che abbia reso un servigio all’interpretazione nazionalsocialista di alcuni decenni dopo!” (772). D’altra parte Losurdo mostra come gli autori e gli interpreti di diverso orientamento politico avessero già dato, tra Otto e Novecento, ovvero prima della pubblicazione della Volontà di potenza, una lettura in chiave socialdarwinistica di Nietzsche e sottolineato quindi il significato politico reazionario della sua filosofia (con giudizio di valore positivo o negativo).

4) Il confronto con l’interpretazione di Lukács

Ad essere accusato di manipolazione è però anche Lukács, che, mosso dal suo dogmatismo marxista, nel suo libro La distruzione della ragione avrebbe tirato in ballo il Terzo Reich. La lettura di Lukács coincide, secondo Vattimo, con quella degli ideologi del nazismo: l’unica differenza sta nel giudizio di valore. Losurdo difende Lukács dalle accuse di Vattimo, ma esprime una posizione teoricamente molto critica nei confronti della Distruzione della ragione. Questo doppio binario ha dato luogo a valutazioni opposte da parte di coloro che hanno recensito “Nietzsche il ribelle aristocratico”. Sul rapporto tra l’interpretazione di Lukács e quella di Losurdo si è affermato di tutto: che Losurdo ripropone semplicemente la vecchia interpretazione di Lukács (Repubblica) , che “Losurdo ha posto su nuove basi metodologiche la critica di Georg Lukács” (Flash, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 21 febbraio), che Losurdo non “intende riattualizzare un'interpretazione pur importante come quella di Lukàcs” (Azzarà, Liberazione, 5/2/03), che “l’approccio di Losurdo non ha nulla a che vedere con quello di Lukács” (Preve, l’Ernesto, gennaio-febbraio 2003).

In che senso Losurdo difende Lukács dagli attuali interpreti di Nietzsche? Lo difende fondamentalmente su un punto: la lettura in chiave politico reazionaria della filosofia di Nietzsche non è affatto il frutto di una manipolazione, un fraintendimento o una lettura dogmatica, come l’interpretazione canonica oggi vigente vuol far credere. Losurdo mostra come il filosofo ungherese, per esempio, non sia l’unico a porsi il problema del rapporto tra Nietzsche e il Terzo Reich: Croce, Bloch, Thomas Mann hanno sottolineato questo motivo. Anche Adorno, critico feroce della Distruzione della ragione, richiama l’attenzione in questo senso sui brani politicamente più inquietanti di Nietzsche. Bedeschi sottolinea come Löwith, grande estimatore di Nietzsche, nella sua autobiografia faccia riferimento al rapporto tra il suo pensiero e il nazismo (Bedeschi, Sole 24 ore, 23/2/03). Heidegger, che opta per una lettura tutta speculativa di Nietzsche come filosofo antiplatonico e antimetafisico, nel 1936 saluta in Mussolini e Hitler coloro che hanno iniziato un contromovimento nei confronti del nichilismo dopo essere stati “entrambi alla scuola di Nietzsche, sia pure in modo essenzialmente diverso”(792). Si deve anche aggiungere che non c’è storico che abbia pensato di poter eludere il significato politico reazionario della filosofia di Nietzsche. Nel procedere alla ricostruzione non solo della storia delle idee, ma anche della storia politica e sociale della seconda metà dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, storici e sociologi si imbattono in Nietzsche e ne danno una lettura opposta a quella oggi in auge nelle aule di filosofia, ovvero una lettura politica. Losurdo analizza le posizioni di storici e sociologi dei più diversi orientamenti ideali e politici: Mayer, Hobsbawm, Elias, Ritter, Struve, Nolte, Pareto, Weber, Pick, Conrad-Martius, Schmul, Lichtheim. Le posizioni oscillano tra coloro che interpretano Nietzsche come uno tra gli intellettuali che alimentano la corrente culturale e ideologica sfociata poi nel movimento nazista, a coloro che stabiliscono un rapporto ben più diretto tra Nietzsche da un lato e il regime nazista e la sua politica di genocidio dall’altro.

Nietzsche però non può essere interpretato come il profeta del nazismo. Losurdo si scaglia contro la tendenza “a chiamare Nietzsche dinanzi a una sorta di Norimberga ideologica” (656). La differenza con Lukács in primo luogo sta in questo: la contestualizzazione storica del pensiero di Nietzsche deve essere fatta in riferimento al suo tempo, ovvero al Secondo Reich, e non in riferimento al Terzo Reich. Il salto dall’orizzonte del Secondo Reich a quello del Terzo Reich è causa di distorsioni e conclusioni unilaterali. Lukács, dice Losurdo, ha ragione a non interpretare la celebrazione della schiavitù come metafora, ma questo non lo autorizza a concludere che Nietzsche sia il profeta del lavoro servile di massa a cui fa ricorso il Terzo Reich. La vita di Nietzsche si colloca, come abbiamo visto, in un periodo di tempo attraversato dal dibattito storico sulla schiavitù (guerra di secessione negli Usa, abolizione della servitù in Russia ecc.) ed a questo bisogna fare riferimento se si vuole contestualizzare storicamente il suo pensiero. Poiché di queste vicende storiche non c’è traccia nel libro di Lukács, la schiavitù invocata da Nietzsche rischia di essere accostata in modo immediato al lavoro coatto imposto dal Terzo Reich. Anche per quanto riguarda il tema dell’”allevamento”, “l’alternativa alla sua rimozione non è l’affermazione di una linea senza soluzione di continuità sino all’igene razziale nazista” (655). Nietzsche si richiama all’eugenetica, scienza fiorente nella seconda metà dell’Ottocento che “incontra fortuna ben al di là della Germania e dell’Europa” (655). Secondo Losurdo è motivo di stupore non trovare “neppure nell’indice dei nomi” della Distruzione della ragione “né l’americano Emerson, né l’inglese Galton”. Il rischio è quello che le dichiarazioni in cui Nietzsche si augura l’annientamento delle razze decadenti e dei malriusciti siano lette esclusivamente guardando “al profilarsi all’orizzonte del Terzo Reich” piuttosto che essere accostate “a motivi analoghi, circolanti ampiamente nella cultura europea e americana di fine Ottocento” (658). Dall’indice dei nomi della Distruzione della ragione è assente anche Disraeli, la cui lettura della storia “è ben più rigidamente e univocamente razziale di quella che può essere imputata a Nietzsche” (658). Lukács non ha saputo vedere “quanto di inglese, francese e americano c’è in Nietzsche” (661). Il giudizio di Losurdo su Lukács è molto duro: “non è storicamente attendibile un quadro, in base al quale irrazionalismo da una parte e teorizzazione e trasfigurazione ideologica della schiavitù dall’altra procederebbero in Germania di pari passo, fino alla completa distruzione della ragione e della comunità politica nel Terzo Reich” (655). L’orrore del Terzo Reich è “inscritto già nella deriva reazionaria e “irrazionalistica” della cultura tedesca”? Secondo Lukács sì, secondo Losurdo no: il “quadro ideologico della Germania della seconda metà dell’Ottocento non è molto diverso da quello di altri paesi occidentali” (659). Per comprendere l’avvento del Terzo Reich bisogna quindi “rinviare a fattori che vanno ben al di là dello sviluppo storico e culturale” (659), come ad esempio la prima guerra mondiale e l’umiliazione di Versailles, la crisi economica internazionale del 1929 ecc..

Per comprendere pienamente il discorso di Losurdo, bisognerebbe rinviare anche ad altri suoi lavori, come Il peccato originale del Novecento ( l’unica risposta sensata, secondo me, alla pubblicazione del Libro nero del comunismo) e Il revisionismo storico. Non è possibile naturalmente entrare nel merito, ma si può comunque accennare al fatto che, secondo Losurdo, il nazismo può essere considerato come una sorta di colonialismo instaurato però nel cuore dell’Europa. E’ il concetto di despecificazione naturalistica dell’individuo che presiede al colonialismo e al genocidio. Torna il tema dell’universalismo, ovvero dell’universalità della natura umana, che viene negata non solo da un esponente del “radicalismo aristocratico” e antiliberale come Nietzsche, ma anche da molti esponenti del liberalismo classico: “si scopre allora che per un padre fondatore del liberalismo come Locke, la difesa dell'inviolabilità dell'individuo contro l'assolutismo si accompagna alla teorizzazione della schiavitù nelle colonie” (Montesano, Diario 7-13/3/03). Losurdo procede in questo senso ad una demolizione della mitologia del pensiero liberale: Locke, Mandeville, Stuart Mill, Tocqueville, Hayek. Naturalmente Bedeschi esprime le sue riserve proprio su questo punto (Bedeschi, Il Sole 24 ore, 23/2/03).

5) Conclusioni

Qual è in sintesi l’immagine di Nietzsche che viene fuori dalla lettura di questo libro? “Losurdo ci aiuta a leggere Nietzsche dopo il suo uso fascista e dopo il suo uso postmoderno” (Preve, L’Ernesto, gennaio-febbraio 2003).

Concludo con una considerazione sul problema della traduzione. Losurdo attacca la lettura “innocente” di Nietzsche, ovvero l’interpretazione impolitica del pensiero di Nietzsche. Questa interpretazione impolitica o “purificata” dalla storia è teorizzata da Colli, che parla di una interpretazione musicale di Nietzsche. Qui entra in ballo la polemica con la traduzione italiana dell’opera di Nietzsche curata da Colli e Montanari per Adelphi. Secondo me bisogna partire dalla considerazione che non esistono traduzioni scientifiche e intoccabili, a meno di non volere ricadere in una concezione strumentale del linguaggio che credo non abbia più ragione di esistere. La storia delle traduzioni procede di pari passo con la storia delle interpretazioni. Interpretare un testo significa comprendere un testo. Ogni comprendere è, secondo Gadamer, un tradurre, tradurre il linguaggio dell’altro o di un testo nel mio linguaggio. Il problema del tradurre supera quindi i limiti e la complessa specificità della traduzione da una lingua all’altra. Rispetto alla traduzione italiana delle opere di Nietzsche, Losurdo afferma di voler contribuire "al miglioramento della versione italiana dell'edizione Colli-Montinari" e propone di modificare la traduzione di alcuni termini chiave (per esempio di tradurre “Züchtung” non con “educazione”, ma con “allevamento”, oppure “Krankenbehandlung” non con “cura dei malati”, ma con “trattamento dei malati” ecc.). Il punto, secondo me, non è che “Züchtung” o “Krankenbehandlung” letteralmente in italiano significano “allevamento” e “trattamento dei malati”. Una buona traduzione non deve essere necessariamente letterale. D’altra parte non esiste una corrispondenza biunivoca tra termini di lingue diverse: segni di lingue diverse sono diversi tanto per il significante quanto per il significato. Si può anche aggiungere che “allevamento” ed “educazione” – per esempio - sono termini che, in determinati contesti, nella lingua italiana sono scambiabili: “ho allevato mio figlio”, “ho educato il mio cane”. Non credo – e penso che Losurdo sarebbe d’accordo con me - che i traduttori dell’edizione Adelphi abbiano voluto consapevolmente nascondere o oscurare nel testo italiano, ad esempio, il termine “allevamento” per dare di Nietzsche una immagine più accettabile o tranquillizzante. Le interpretazioni - anche quelle innocenti, impolitiche o “purificate” dalla storia - operano infatti sempre surrettiziamente e, dunque, inconsapevolmente nelle traduzioni. In un certo senso si trova in un testo ciò che si cerca. O meglio: si vede in un testo originale ciò che si conosce e che si è in grado di riconoscere. Così, per esempio, la dicotomia concettuale resa da Nietzsche nell’opposizione dei termini Cultur e Civilisation, sulla quale si sofferma Losurdo, non è colta dai traduttori che, nel testo italiano, non mantengono l’opposizione funzionale dei termini “cultura” e “civilizzazione”. Non sono i traduttori a nascondere consapevolmente un significato già noto, ma è Losurdo che rivela un nuovo significato. Il punto, secondo me, è che Losurdo ha dato vita con questo libro ad una interpretazione, fondata e forte, del pensiero di Nietzsche. Alla fine tutto questo lavoro non poteva non sfociare nell’appendice, ovvero nella critica alle traduzioni esistenti. Losurdo critica magistralmente la traduzione di alcuni termini nella edizione italiana della Adelphi e in questo modo mostra i limiti dell’interpretazione precedente. Per tornare al nostro esempio, Losurdo ha ricostruito dettagliatamente il rapporto di Nietzsche con l’eugenetica ed è proprio sulla base di questa nuova lettura che può con diritto affermare che il termine “Züchtung” non può essere tradotto con “educazione”: pena, uno stravolgimento del pensiero di Nietzsche. Una volta che le roventi polemiche si saranno placate, credo che le proposte di traduzione di Losurdo saranno accolte. Giametta, che è stato membro dell'équipe Colli-Montinari e che è un autorevole interprete di Nietzsche, sottolinea la buona fede e la correttezza filologica di Colli e Montanari, ma critica la tendenza a spoliticizzare Nietzsche e a non studiarlo nel suo contesto storico-politico. In questo quadro afferma che le “(buone) traduzioni” “sono tutte imperfette” (Il Giornale, 31/1/03).

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