Intervista a Remo Bodei

 

 

 

 

 

Intervista a Remo Bodei
di Lara Ferrari

Si è tenuto da venerdì 19 a domenica 21 settembre, a Modena, Carpi e Sassuolo, la terza edizione del Festivalfilosofia, dedicato alla Vita. Questo imponente raduno di filosofi, antropologi e grandi pensatori del nostro tempo, nazionali e internazionali, è organizzato dalla Fondazione Collegio San Carlo di Modena. Coordinatore scientifico del festival, nonché delle attività della fondazione, è Remo Bodei, tra i protagonisti della manifestazione.
Docente di Storia della Filosofia all’Università di Pisa, città nella quale ha insegnato anche presso la Scuola Normale Superiore, Bodei è esperto dell’idealismo classico tedesco e dell’età romantica. Fra le sue opere più significative,”Geometria delle passioni” (1991), “Il dottor Freud e i nervi dell’anima” (2001) e “Destini personali” (2002). Alla vigilia del festival, ecco le sue riflessioni, da studioso e organizzatore.

L.F. - Professor Bodei, può darci qualche anticipazione sul suo intervento al Festival di quest’anno? Dove è orientata attualmente la sua ricerca?
R.B. - Sarò impegnato in tre conferenze. Per l’inaugurazione, discuterò di “A cosa serve la filosofia? ”, alle ore 11 a Modena. Alle 17, mi aspetta la lezione magistrale in piazza Grande, con il titolo di “Vite parallele”. Infine, domenica 21 settembre, al Palazzo Ducale di Sassuolo, il dibattito in mattinata con Bruno Forte, “Vita eterna, vita mortale”. E’ ovvio che gran parte dell’attenzione sarà concentrata sulla lezione magistrale. Il rapporto tra vita e morte assumerà un’importanza decisiva nell’edizione di quest’anno, ma io mi soffermerò sul ruolo delle “vite immaginarie”, su cui si fonda, nel mondo di oggi, la costruzione dell’identità delle persone. Dal cinema al teatro, dalla musica alla televisione, per arrivare a internet, noi siamo intrisi di vite altrui. D’altra parte queste riflessioni si possono già applicare a Plutarco, Alessandro Magno, Cesare e Bruto. Anticamente si coltivavano ideali di gloria, e queste vite immaginarie erano in prevalenza tratte dalla letteratura. La stessa Madame de Staël, agli inizi dell’Ottocento, affermava che non esiste più esperienza che non sia già mediata o letta da qualche parte. D’altro canto, l’immaginazione non è più qualcosa di inerte. Un esempio ce lo danno gli albanesi, i tunisini che sono venuti in Italia perché sedotti da qualche nostro programma televisivo. Oppure gli stessi modelli di vita dei filosofi ci trasmettono la prospettiva che la filosofia non sia fatta per la conoscenza, ma per plasmare la nostra esistenza. La svolta è avvenuta con Cartesio, per non parlare dell’avvento del pensiero di Rousseau, che con l’“Emilio” ci ha spiegato quanto la vita non sia altro che un “Fai da te”. Racconterò un episodio pruriginoso, perché vedo che questo genere di storielle ha sempre successo sul pubblico, che riguarda Max Scheler. Ebbene, fu trovato dal Rettore della sua Università in un bordello. Questo per dimostrare che i filosofi indicano la strada, ma non sempre la seguono. Esiste insomma una “scollatura” tra teoria filosofica e vita personale. Venendo alla gente, si nota il successo delle soap opera come *Incantesimo*, *Beautiful* e *Sentieri*. Molti sono portati a sagomare i propri desideri sulla vita dei personaggi di questi programmi. In America Latina per esempio le telenovele badano di più all’amore, negli Stati Uniti invece conta di più il denaro. L’importante è non finire come Don Chisciotte, a rincorrere un’utopia. Anche se non bisogna eliminare il ruolo dell’immaginario. L’ideale sarebbe mediare tra questi e Sancho Panza, più attaccato alla dimensione del reale. Certo che se io leggo Shakespeare, Sofocle e i poeti cinesi, è facile immedesimarsi in drammi così coinvolgenti.

L.F. - Come sono cambiati i concetti di bello, brutto e sublime?
R.B. - Il Bello è un concetto a “grappolo”. Anticamente vigeva la triade del “Bello-buono e vero”. Ma le proporzioni matematiche perfette le troviamo solo in musica e in architettura. Non vigono più le regole della metrica greca, un’idea principale volta a stabilire l’armonia del tutto. Nell’era moderna il bello è stato sorpassato dall’idea di gusto. Il bello non è più legato alla “cataloganeità”, è invece diventato “creazione e imponderabilità”. Io credo che valga il detto di “Suonare con la sinistra la chiave di basso e con la destra la chiave di violino”, se no la vita è monca. Venendo al sublime, fino alla metà del Settecento era legato ai testi letterari. Leggendo Omero mi sublimavo, mi gonfiavo, avevo l’illusione di credermi come lui. Da Kant in avanti il sublime assume connotati naturali, da cui il noto aforisma sul “Cielo stellato”. Il cielo, i vulcani, i deserti mi umiliano, mi schiacciano. Il sublime quindi non è altro che la sfida dell’uomo nei confronti della natura. Assistiamo ad una sorta di “revanscismo” dell’uomo, cavalcato dai critici americani di Yale, in particolare da Harold Bloom, che guardava a una rosa senza amplificarne la suggestione, ma vedendovi niente altro che una rosa.

L.F. - Lei è il coordinatore del Festival. Quali sono i risultati di cui va più orgoglioso?
R.B.- Con il nostro lavoro cerchiamo di fare della filosofia non una riflessione saltuaria, ma una condivisione di domande, dei grandi interrogativi dell’uomo. Credo che ora più che mai ci sia una fame di senso nelle persone. Lo dimostrano anche i numeri: l’anno scorso abbiamo registrato 30mila presenze. Il nostro scopo non è sicuramente quello di distribuire delle “pillole” di filosofia. Viceversa, c’è anche l’aspetto del feticismo, che si materializza nell’accorrere a vedere il filosofo fuori dal suo guscio. Ma se questo serve a diffondere la notizia, come si dice a Roma, ben venga.

L.F. - Dove conducono le nuove frontiere dell’etica?
R.B. - Si tratta proprio del tema di quest’anno. La vita filtrata attraverso la bioetica e le biotecnologie, che hanno soppiantato le procedure delle medicine tadizionali sulla materia vivente. L’umanità ha fatto un passo da gigante con la mappatura del Genoma. Una scoperta che ha permesso di curare l’anemia falciforme di Falconi, malattia rarissima da cui era affetta una bambina. Attraverso il Genoma è possibile levare dalla “clandestinità” un bambino. Ma gli interrogativi che si pone la bioetica sono molteplici, da che cosa significa essere madre “in triplice veste” a quale comportamento assumere con gli ogm.

L.F. - L'attualità del pensiero di Spinoza.
R.B. - Spinoza, alla fine del Settecento considerato "un cane morto", gode da allora di vivo interesse: Goethe, Hegel, Schopenhauer e Nietzsche ne sono stati grandi ammiratori. Ma è dagli anni Sessanta del Novecento che è ricominciata una sua ennesima resurrezione. In due campi: in quello per cui Dio e natura coincidono, nel senso che non esiste un Dio creatore separato da essa, ma una forza intrinseca a tutte le cose, che le fa muovere e vivere, per cui ogni aspetto della natura, per quanto apparentemente insignificante, ha la sua dignità e la sua forza. La natura non ha però come scopo il benessere dell'uomo e non sa di bene e di male in assoluto: quel che è bene per il lupo è male per l'agnello, ma l'uomo può orientare la sua vita a sviluppare le sue potenzialità, a dire di sì alla vita. L'altro aspetto che è stato posto in rilievo è quello per cui il desiderio (cupiditas) e non la ragione costituisce l'essenza dell'uomo, l'uomo è un essere desiderante più che un essere razionale. Non che Spinoza sia irrazionalista: semplicemente considera la ragione un gradino intermedio tra le passioni e l'amore intellettuale. La ragione, conoscenza dell'universale astratto, è troppo sulla difensiva nel dire "vade retro!" alle passioni, mentre l'amore intellettuale, che
ha metabolizzato le leggi universali è conoscenza delle "res singulares". E' come quando impariamo una lingua straniera, si studiano le regole generali della sintassi e della grammatica e si sta attenti a non fare errori. Quando poi la lingaua è stata assimilita formuliamo questioni su tutti i campi specifici secondo regole che ormai abbiamo somatizzato e non ricordiamo neppure.

L.F. -In Italia e nel mondo c'è un proliferare di pubblicazioni che hanno per argomento la filosofia per i bambini o la natura del pensiero filosofico in genere. Opinionisti e tuttologi ci si sono buttati. Lei da addetto ai lavori che risponderebbe?
R.B. - Che è bene interrogarsi sin da piccoli sulle grandi questioni che interessano tutti e che la filosofia può costituire una sorta di tessuto connettivo rispetto alle nozioni frammentarie che immagazziniamo e un antidoto utile al fast food intellettuale che ci viene propinato. Fermarsi a riflettere, a meditare, giova anche alla
salute, pare.

L.F. - Lei ha lavorato molto sul concetto di identità. Quali progressi sono stati raggiunti dopo Schelling ed Hegel?
R.B. - Mentre in Hegel vi era una concezione eroica e piramidale dell'individualità, nel senso che l'individuo costruiva se stesso dialetticamente, ossia si sviluppava attraverso le contraddizioni, successivamente ci si è accorti che esistono anche forme di sviluppo senza contraddizione e di contraddizione senza sviluppo. Si è allora insistito sulla frammentazione dell'io, sulla sua molteplicità, sull'essere ciascuno di noi più 'dividuo' che individuo e si è posto quindi il problema di come organizzare e gerarchizzare questa pluralità riconosciuta, per limitarci all'Italia, da Pirandello. I regimi totalitari del Novecento hanno cercato di ricompattare il soggetto, secondo modelli come Stalin (l'uomo d'acciaio) o le "quadrate legioni" mussoliniane. Dopo il crollo di questi regimi l'io ha preso sopravvento sul "Noi" sulla comunità e sembra che ciascuno - malgrado qualche segnale di controtendenza - pensi soprattutto a se stesso.

L.F. - Trova che abbia tuttora fondamento una filosofia "mortificante" per l'individuo come quella di Schopenhauer?
R.B. - Sì, serve a perimetrare le esorbitanti esigenze del singolo, che si considera il sole di un suo sistema planetario e pretende che il mondo gli giri attorno. Ci ricorda che siamo animali come gli altri, che nascono, soffrono e muoiono e che siamo (in parte, aggiungo) modellati da forze anonime. E' solo da respingere l'idea che l'individuo sia - come dice lui - un segno tracciato e subito cancellato nella grande lavagna del tempo e dello spazio. Che non abbia quindi diritti.

L.F. - Sulla mancanza di senso storico. Pensavo alle dichiarazioni di Berlusconi. Che pericoli può produrre sulla democrazia la mancanza di conoscenza storica?
R.B. - Il senso storico è necessario per avere una prospettiva
sull'esistenza dell'individuo e delle comunità, perché vivere nell'istante non insegna nulla. L'esperienza è appunto la presenza in noi di un passato sigificativo. Senza la presenza del passato non solo non si comprende il presente e non si può progettare il futuro, ma si è sottoposti a qualsiasi manipolazione, si finisce per credere - come direbbero in Toscana - che Cristo è morto dal sonno.

L.F.- Lei ha partecipato anche al Festivaletteratura di Mantova, dove ha spiegato Socrate ai bambini e alle famiglie. E’ la prosecuzione di un trend che sta prendendo sempre più piede in America o c’è qualcosa di più?
R.B. - Quello della filosofia insegnata ai bambini delle scuole elementari è un metodo anglosassone. Io credo che i bambini siano molto adatti alla filosofia, perché hanno la meraviglia di fronte alle cose, lo “stupore” che deve essere proprio del filosofo di fronte al mondo. E’ una tradizione di pensiero che affonda lontano le sue radici, addirittura al Platone del “Teeteto”. A Mantova abbiamo proiettato il *Socrate *di Roberto Rossellini, quello con la scena del filosofo che beve la cicuta. L’impatto del tutto è stato molto positivo, anche presso il pubblico adulto.

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