Intervista a Michel Onfray

MICHEL ONFRAY

 

MICHEL ONFRAY

Michel Onfray,
Trattato di ateologia

INTERVISTA A MICHEL ONFRAY


Cosa significa per Lei il termine “ateologia”?

È Bataille che ha proposto ma non sviluppato questo termine: egli ha espresso il desiderio di essere “ateologici”, cosa che faceva l’occhiolino alla Summa Theologica di san Tommaso d’Aquino, ma non ha dato poi seguito al progetto.
Trovo il concetto estremamente interessante dunque ringrazio in ogni caso Bataille di averlo inventato. Io propongo una possibilità di ateologia che permetterebbe di fare il contrario di ciò che fa la teologia, quella che si basa sul nome di Dio, sulla costruzione di Dio, sulle qualità di Dio, sulle prove dell’esistenza di Dio.
L’ateologia si propone esattamente il contrario nel senso che non vuole provare l’inesistenza di Dio, non si preoccupa del fatto che esista o no, ovvero non si pone sullo stesso piano di quelli che ne affermano l’esistenza, con tutto il discorso sulle prove dell’esistenza…
L’ateologia persegue uno “smontaggio” – una sorta di decostruzione - dei testi consacrati: si può spiegare che ci sono informazioni stravaganti in questi testi, ma si può sollecitare anche l’archeologia (paleocristiana) dei siti. Tante discipline possono quindi convergere verso un simile progetto che si basa sulla tesi secondo cui Dio non esiste altrimenti che come finzione fabbricata dagli uomini. Bisogna perciò attivare gli psicologi, gli psicoanalisti, i filologi, i filosofi, lessicologi ecc. ossia tutta una serie di “saperi” al fine di mostrare che la religione cristiana, le religioni monoteiste sono finzioni: è la proposta che si fa in questa mia opera, il Trattato di ateologia: è almeno un invito a parlarne…


Che rapporto c’è tra ateologia e secolarizzazione?

Chiaramente esiste la possibilità di “identificare”, di sostenere un’idea religiosa da una posizione legata al potere politico… Sappiamo bene che gli uomini politici difendono la religione cristiana, molti i politici ci dicono che sono cristiani…
Direi che il cristianesimo e il monoteismo producono degli effetti molto oltre la “lettera”, in modo molto subdolo, dunque bisogna individuarli anche quando ci si crede integri, quando ci si professa agnostici.
In generale penso che la secolarizzazione sia la dimostrazione che abbiamo perso molto in fretta l’origine sacra, ma credo anche che si debba lavorare sulla scristianizzazione ideologica. Non dico di proibire e chiudere le chiese eccetera, ma di scristianizzare tutti i campi della vita civile: la politica, l’etica, l’estetica, la bioetica e di dimostrare che il cristianesimo non è più presente, ad esempio, negli ospedali: non lo è perché le suore non fanno più il lavoro delle infermiere, perché non c’è più il crocefisso nelle camere, perché si cura con farmaci e non con preghiere.
Ma è bene altresì che si sappia che oggi il corpo che viene analizzato, il corpo che “pensiamo” e che “usiamo”, che il medico affronta, resta ancora cristiano cioè ancora dualista, con una parte materiale e una immateriale, con dei frammenti nobili e altri meno nobili: c’è infatti ancora una medicina e chirurgia “nobile”, quella del cuore e del cervello, e una meno nobile, come l’urologia.
Se veramente fossimo decristianizzati, non ci sarebbe tutto questo e l’idea che il dolore e la sofferenza siano necessari e che quindi gli antalgici e gli analgesici bisogna prescriverli con parsimonia: che vi sia un’utilità del dolore e della sofferenza. Tutto questo fa sì che si proibisca, per esempio, la marijuana negli ospedali quando questa potrebbe stimolare l’appetito o calmare qualche sofferenza fisica.
Tutto ciò presume un’ideologia che pretende di essere laica, “pagana”, quando è ancora cristiana. Lavoriamo allora piuttosto su questo terreno, con le persone che sono dedite a questo lavoro - medici, chirurghi, anestesisti, infermieri - perché si possano concepire correttamente l’eutanasia, le cure palliative. È ancora da un discorso religioso sostenuto dalla Chiesa cattolica Apostolica Romana che dipende la cura palliativa e anche l’eutanasia, che non è legalizzata in Francia. La Repubblica Francese spende molti soldi per sostenere le cure palliative ma proibisce, guarda caso, proprio l’eutanasia.
Dunque, quello che io faccio è invitare ognuno a riflettere sul suo mondo: questa rapida riflessione sugli ospedali si può fare anche riguardo a molti altri temi: sulla scuola, sugli omosessuali, sulle adozioni.
Lo Stato francese si proclama molto più laico di quello che è, e si mostra molto orgoglioso della sua presunta laicità: bisogna che si lasci credere questo per la “mitologia” della nostra storia, che invece è fortemente e aggressivamente cristiana. Ad esempio, nel campo giuridico è dimostrabile che l’80% delle leggi non contraddicono i princìpi del cristianesimo. Ci sono solo una o due leggi “postcristiane”: il divorzio, l’aborto (la contraccezione): troppo poco.
Una Repubblica laica, cristiana all’80%, non è abbastanza per la mia idea di laicità: vorrei ci fossero molte più leggi che dimostrino davvero che siamo laici, cioè liberi dal cristianesimo, e che dimostrino che ci si preoccupa del bene pubblico, dell’interesse generale, della giustizia sociale, dell’equità, della felicità della maggioranza.
Credo che la laicità sia portatrice di un importante progetto politico. Mi sembra utile, per esempio, un progetto politico laico che sostenga che il lavoro non è un valore in sé, che lavorare non è necessariamente “bene”: quando in Francia si è passati dalle 39 alle 35 ore [di lavoro settimanale, n.d.r.], un sacco di gente ha detto che i Francesi sono dei fannulloni. C’è stata una specie di “sollevazione” ideologica perché il cristianesimo dice che il lavoro è dolore e sofferenza, una redenzione, una virtù; che bisogna lavorare e che quelli che non vogliono lavorare sono colpevoli e viziosi, che la virtù è nel lavoro.
Si potrebbe cominciare a scristianizzare questo terreno e dimostrare invece che il lavoro è ciò che serve alla produzione di beni ma che non è in fine in sé: è un mezzo. Si vede che si può laicizzare su tutti i terreni e proporre una vera laicità, una laicità postcristiana, tale che vada veramente oltre gli effetti che ancora produce il cristianesimo.

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